lunedì 23 novembre 2015
Palestine: Status od Land Tenure, Planning and Management in WB and GS
This is the result of a study undertaken by FAO and just published by the local office. This is the pro-active FAO I am proud of. The issue is extremely complicate as everyone can imagine, but it is a proof that the UN can do something, a drop into the Ocean, to move ahead this endless conflict based on the control of natural resources.
domenica 22 novembre 2015
Povera patria
Povera Patria cantava anni fa Franco Battiato. Leggo gli
articoli sui giornali, ascolto i tanti commentatori sulle reti italiane,
francesi e latinoamericane e trovo sempre la stessa analisi. Hanno colpito i
nostri valori e la Francia in quanto simbolo di questi valori. Mi sembra
incredibile non leggere o ascltare nessuna analisi che parta dalla duplice
costatazione di cosa siano diventati i “nostri” di valori e cosa sia diventata
la vita per la metà dell’umanità. I nostri valori hanno smesso da tempo di essere
quelli di libertà, uguaglianza e fratellanza, per diventare i valori di borsa,
il MIB, il CAC40 e simili. Siamo diventati una società di rapaci dove pochi
riescono a mettersi in tasca somme enormi delle quali non sanno nemmeno cosa
fare, e il resto sopravvive in una transizione verso il terzo mondo che abbiamo
davanti e che oramai è venuto da noi. Inutile chiuderci gli occhi e cercare le
gocce nel mare. Ci sono. Non dico di no, ma sono gocce nel mare di una finanza
di ladri, in mezzo a una crisi ecologica dalla quale non vogliamo venirne fuori
per non toccare i soliti noti della finanza mondiale. Le nostre istituzioni
sono carta straccia, trovare un sindaco o un presidente di regione che sia
persona sana e onesta sembra quasi missione impossibile. Spingiamo sempre più
verso una società di consumi che oramai non possiamo più permetterci, ed ecco
che la crisi arriva anche da noi. Le nostre pubblicità ci spigono a cambiare la
macchina ogni due per quattro, il telefono prima ancora di sapere usarlo, i vestiti
almeno due volte al giorno, profumi, giocattoli e tutto il resto, con il
condimento finale che se per caso vi restano due lire in tasca andate a
giocarvele a ste macchinette fregasoldi.
Siamo risuciti a distruggere anche l’unico sogno che ci
teneva assieme, noi più grandi e le generazioni Erasmus, quello di un’Europa
unita ed aperta. Oramai meglio chiamarla FEU, Former European Union, dato che
siamo tornati indietro di 50 anni.
Alcuni mi dicono: stai sempre a criticare, ma cosa si
potrebbe fare? Da anni vado in giro a ripetere che le imposizioni dei programmi
di aggiustamento strutturale che la Banca Mondiale e l’FMI hanno imposto ai
paesi del sud, tagliando educazione, salute e servizi agli agricoltori, hanno
preparato il terreno ai problemi attuali, così come le insensate sovvenzioni
che continuiamo a dare alle nostre agricolture del nord. Basta fare il
contrario di tutto ciò. Spendere e spandere per educazione, salute e agricoltura
familiare, e allora comincieremmo a discutere. I soldi? I soldi ci sono, lo
sanno benissimo i nostri politici. I soldi sono o messi dentro il buco nero
delle spese militari, che sarebbero sufficienti, se eliminate del tutto, a
risolvere i problemi del mondo e rinforzare una classe media dappertutto,
oppure i soldi, come ben sanno i maghi della finanza, ed anche il nostro
Draghi, si inventano. La massa monetaria attuale è composta per lo più di
moneta virtuale, creata dal nulla dai maghi della finanza. Comunque, anche
senza andare a creare moneta virtuale, basterebbe quella vera. Se per caso
sentite uno dei politici, al governo o all’opposizione, dire una cosa del
genere, fatemi un fischio.
sabato 21 novembre 2015
2015 L49: Peine perdue - Olivier Adam
J'ai lu 2015
Les touristes ont déserté les lieux, la ville est calme, les plages à l'abandon. Pourtant, en quelques jours, deux événements vont secouer cette station balnéaire de la Côte d'Azur: la sauvage agression d'Antoine, jeune homme instable et gloire locale du football amateur, qu'on a laissé pour mort devant l'hôpital, et une tempête inattendue qui ravage le littoral, provoquant une étrange série de noyades et de disparitions.
Familles des victimes, personnel hospitalier, retraités en villégiature, barmaids, saisonniers, petits mafieux, ils sont vingt-deux personnages à se succéder dans une ronde étourdissante. Vingt-deux hommes et femmes aux prises avec leur propre histoire, emportés par les drames qui agitent la côte.
Avec Peine perdue, Olivier Adam signe un livre d'une densité romanesque inédite, aux allures de roman noir, et dresse le portrait d'une communauté désemparée, reflet d'un pays en crise.
Ce livre fait partie du tiercé final du prix des libraires 2015.
Un libro nero, una serie di ritratti di difficile digestione, una periferia di quelle che ti verrebbe da lasciar perdere... non ne trovi uno di positivo... paumés, questo sono, leggerlo in un periodo nero come questo ti fa venire voglia di passare ad altro...
Familles des victimes, personnel hospitalier, retraités en villégiature, barmaids, saisonniers, petits mafieux, ils sont vingt-deux personnages à se succéder dans une ronde étourdissante. Vingt-deux hommes et femmes aux prises avec leur propre histoire, emportés par les drames qui agitent la côte.
Avec Peine perdue, Olivier Adam signe un livre d'une densité romanesque inédite, aux allures de roman noir, et dresse le portrait d'une communauté désemparée, reflet d'un pays en crise.
Ce livre fait partie du tiercé final du prix des libraires 2015.
Un libro nero, una serie di ritratti di difficile digestione, una periferia di quelle che ti verrebbe da lasciar perdere... non ne trovi uno di positivo... paumés, questo sono, leggerlo in un periodo nero come questo ti fa venire voglia di passare ad altro...
venerdì 20 novembre 2015
Linguine alle vongole
Poi capita che uno abbia una figlia che ci abita in quel
quartiere di Parigi dove è successo di tutto. E sei lì a dirti che hai avuto
fortuna che proprio quel giorno stesse viaggiando per tornare in Italia a
salutare un po’ di amici ed anche noi, i genitori.
Lasciava là il suo ragazzo, che ha scelto di barricarsi in
casa in quei primi giorni di cui ricorderemo per lungo tempo le foto, le grida
e le parole di un Presidente dichiarare, per la prima volta dal 1945, che
eravamo in guerra.
Una settimana dopo, serate con amici, a Milano e a Roma,
aperitivi, cene, discussioni, partite a carte e poi tutto il gruppo che abbiamo
visto crescere in questi quindici anni, a ritrovarsi a casa nostra ieri sera.
Momenti di relax per non pensare all’oggi, a quel volo che la sta riportando a
casa, in quella città dove è nata.
Una giornata di riunioni per me, interessanti o meno, legate
alle tante cose che sto cercando di portare avanti. Tutto con serietà, con
quella professionalità che si richiede nel lavoro, soprattutto quando lavori
per combattere la povertà nel sud del mondo.
Poi arriva una proposta, per condividere un piatto di
linguine alle vongole con tua figlia, e allora non esiti. Il mestiere del padre
è anche questo, esserci in questi momenti di stress per noi tutti, per lei che
torna a Parigi, per noi genitori … Mandi all’aria le riunioni, cambi priorità,
perché, come diceva una volta un caro amico vicentino, altre sono le cose
importanti della vita. Caro Roberto, che dicesti quella frase rimasta misteriosa
per noi compagni di università, ecco oggi quella frase ha preso tutto il suo
significato. Un piatto di linguine con tua figlia non ha prezzo.
giovedì 19 novembre 2015
La Via Campesina: cari amici, come dicono a Roma "nun t'allargà"
Ieri ho sentito una cifra che mi sembrava spropositata da parte di un paio di portavoci della Via Campesina, organizzazione lider nel mondo dei movimenti sociali contadini. Parlavano di 300 milioni di persone che sarebbero rappresentate da loro.
Ho deciso di andare a dare un occhio sulla rete, per capire meglio il valzer dei numeri, ed ecco cosa ho trovato, con relativi links:
(Alegría - primo
Presidente della VC - representa a 64 millones de personas de más de
200 ONG´s de los cinco continentes)" http://www.cronica.com.mx/notas/2003/84516.html
(2003)
La Vía Campesina de hoy se compone de
más de 150 grupos y más de 150 millones de afiliados (Paul Nicholson) http://www.revistapueblos.org/old/spip.php?article1292
2004
La organización internacional Vía
Campesina, que representa a más de 160 millones
La Vía Campesina Internacional [e]
stá
integrada por 150 organizaciones nacionales y regionales de todos los
continentes y representa a 200 millones de campesinos/as.
It would
be fair to say the La Vıa Campesina organisations represent some 500 million
rural families worldwide (P. Rossett) http://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/03066150903498804 (2010)
Una crescita incredibile, devo ammettere.. quindi forse
adesso la cifra di 300 milioni é un primo passo verso il ritorno alla realtá?
domenica 15 novembre 2015
I pezzi del puzzle
Cerchiamo di mettere ordine, dopo l’emozione di
questi primi momenti. Gli elementi che dobbiamo considerare, a mio giudizio,
sono i seguenti: il substrato molle in permanente crescita, chi ci mette la
faccia e chi ci mette i soldi, il tutto condito dalla solita domanda: perchè lo
fanno.
Io continuo ad interrogarmi sul primo
livello, lo stagno dove nuotano ed anzi crescono i pesci che poi passano
all’azione.
La questione del gap nord-sud non è più solo un gap
economico (poveri e ricchi), ma è anche un gap culturale in senso lato. Il gap
economico, malgrado quello che provano a dirci, continua a aumentare. Qui non
si tratta solo di chi soffre la fame o la malnutrizione, ma di quanti non
arrivano a mettere assieme meno di due dollari al giorno, cioè la metà
dell’umanità. La massa potenziale quindi è enorme. Gran parte di questi hanno
un livello di educazione formale bassissimo e l’unica risposta che trovano ai
loro problemi è quella di incamminarsi verso nord, cioè verso luoghi dove ci
siano maggiori possibilità di lavoro. Questo nord non è esattamente il Nord
come lo immaginiamo, sono tanti nord che diventano tali quando rappresentano
una fonte di vita migliore dell’esistente. Quindi il Sudafrica rappresenta un
nord per molti mozambicani che vanno lì a cercar lavoro nelle miniere. L’Angola
sta diventando un nord anche per il suo ex paese colonizzatore, il Portogallo,
perchè fino a qualche tempo fa l’economia petrolifera dell’Angola cresceva
molto di più, per cui erano i portoghesi a cercare di ottenere visti per andar
a lavorare laggiù. Noi europei o, per aprire maggiormente i cancelli, noi paesi
OCSE, rappresentiamo globalmente un nord di ricchezza, o almeno percepita come
tale, ma anche una regione del mondo dove non ci sono così tanti conflitti come
nei paesi del sud. Quindi una prima risposta alla mancanza di lavoro, di
educazione, di salute, insomma di avvenire, consiste nel mettersi in cammino.
E’ ovvio che le ragioni che spingono ad avventure come quelle che vediamo
quotidianamente, ad affrontare quelle violenze e quei pericoli devono essere
molto ma molto forti, e finchè non saremo intervenuti sul serio su quelle
cause, il flusso non potrà far altro che continuare, che ci piaccia o meno.
Da quel flusso di poveri, può saltar fuori una
avanguardia molto più arrabbiata. Gli africani neri per il momento si sono
dimostrati più interessati a un livello locale o al massimo regionale di
conflitti e guerre. Ai nostri venditori d’armi andava bene così. Diamanti,
petrolio, risorse minerali rare contro armi e appoggio politico hanno fatto
prosperare una casta locale a cui tutto è permesso e dall’altra parte hanno
ingrossato i flussi finanziari verso le nostre banche.
Forse agli africani neri mancava il collante, un
qualcosa che potesse trasformare le querelle locali in qualcosa di più grande,
una vera rivolta contro chi li aveva colonizzati e, dall’indipendenza in poi,
li teneva sotto scacco in modo più sottile ma non certo meno efficace. Negli
anni sessanta i movimenti di ispirazione socialista ci avevano provato, lo
stesso Che Guevara era andato a far proseliti in Africa ma senza successo. La
dimensione tribale ed etnica limitava il raggio d’azione di questi attori e i
loro interessi.
Lo scontro con le popolazioni arabe del nord era
limitato, per via della presenza dei deserti. Gli arabi avevano a disposizione
una serie di elementi che erano e sono meno presenti nella parte nera del
continente. Innanzitutto una tradizione scolastica, universitaria presente da
moltissimi secoli, che fa delle loro elite una parte integrante dell’elite
mediterranea e mondiale. C’era, e c’è, una classe media non solo mediamente
ricca in beni materiali, ma anche partecipe alle grandi correnti di pensiero.
La differenza è che mentre da noi il secondo dopoguerra vede la nostra classe
media e l’intelletualità entrare nel giro del potere e capace quindi di
influenzare l’evoluzione delle nostre società (lo sbocciare della tematica dei
diritti è un frutto tipico di questa primavera intellettuale, ostacolata dalle
forze conservatrici, religiose, militari o economiche). In questo movimento si
inserisce il rafforzamento del sindacalismo operaio, uscito dal modello delle
Gilde corporative fasciste per prendere parte attiva nella difesa di una classe
in transizione dalla campagna alla città. A tutto ciò si somma una presenza
forte e organizzata di partiti politici che, pur nelle loro diversità e nei
loro scontri continui, portano avanti un disegno che è certamente più
democratico delle società europee dell’anteguerra.
Questo non succede aldilà del mediterraneo o in
medio oriente. Le decolonizzazioni, fortemente volute da questa nuova classe
media che non accetta più il mondo arcaico precedente (e questo senza essere
necessariamente di sinistra), restano comunque degli spazi di libertà limitati
e, come dicevo ieri, la casta che viene messa al potere deve rispondere
innanzitutto ai precedenti interessi coloniali. Non si arricchisce una classe
media e non si integrano gli intellettuali nei circoli di potere. Restano ai margini
oppure emigrano da noi, per scrivere, cantare, dipingere e raccontarci la vita
dall’altra parte del mare come fossimo fratelli. Ma non lo siamo, il gap inizia
ad aumentare. Da noi le battaglie per diritti accellerano su vari fronti,
tipico l’esempio della legge sull’aborto in Francia portata avanti da una donna
ministro di un governo di destra. Questo gap culturale lo troviamo oggi di
fronte a noi. Da noi miglioravano le condizioni medie del cittadino lambda, da
loro non succedeva. Le frustrazioni aumentavano, soprattutto in società ancora
molto maschiliste che difficilmente potevano assistere alla “liberazione della
donna” come succedeva al nord. Se questi erano i segnali della modernità, chi
controllava quelle società non aveva nessun interesse a farli propri, con il
rischio di perdere il controllo. D’altronde non c’erano forze sociali
organizzate, come lo erano da noi i partiti, i sindacati e pian piano i movimenti
ribelli e antagonisti. Da loro eravamo ancora fermi al sindacati corporativi,
creati dal governo per assicurare la stabilità del governo. Lo stesso per i
partiti politici e la pseudo democrazia. La società veniva imballata, e i
giovani erano i primi a pagarne il prezzo.
Il collante arriva con la religione, meglio con una
interpretazione manicheista e estremista dell’islam. Ma ricordiamoci che la
colla prende se si sono delle superfici pronte all’uso. In Algeria è quello che
succede con il GIA. Alle prime elezioni libere, il ras-le-bol dei giovani porta
alla vittoria l’unico partito nuovo e diverso, gli islamisti. La reazione
occidentale è di stupore e subito dopo di paura. Gli estremisti islamici al
potere in un paese che interessa a noi, questo era impossibile. Pertanto i
militari vengono pregati di fare il lavoro sporco, a cambio del mantenimento
dei loro privilegi. Lo stesso schema succedutosi in Egitto poco tempo fa. I
Fratelli Mussulmani, da sempre tenuti in carcere da Mubarak e i precedenti
Rais, alla prima occasione vincono democraticamente le elezioni. Anche questo è
inaccettabile. Per cui si richiamano i militari, con l’appoggio di tutto l’occidente,
e i fratelli mussulmani e il loro presidente si ritrovano o in galera o fatti
fuori.
Non ricordo manifestazioni nelle piazze europee per
difendere i risultati delle elezioni libere in quei paesi. La politica dello
struzzo continuava.
In fin dei conti ci dicevamo che queste erano
battaglie interne fra sciiti e sunniti, quel casino che in medio oriente
significa una guerra dietro l’altra che a noi interessano molto poco. L’importante
è che non tocchino i nostri affari. Questo fu l’errore dell’amico Saddam il
quale non avesse deciso di andarsi a prednere il petrolio con le armi in
Kuwait, paese amico degli americani e di noi europei, sarebbe ancora qui a
giocare il ruolo di pacificatore. La guerra contro di lui permise di mostrare
che non avevamo capito niente di quella regione e nemmeno della regione
tibetano-himalayana. Abbiamo iniziato delle guerre che non riusciremo mai a
vincere, mostrando così che al di là delle chiacchiere, i nostri eserciti sono
battibili, basta volerlo.
Capito che la supremazia occidentale stava poggiando
su basi di vetro, che l’antico potere sovietico era troppo preso dai problemi
interni per poter occuparsi del resto del mondo, e che le nuove potenze BRICS
quella parte del mondo era terra incognita, qualcuno ha deciso di provare a
giocre la partita.
Lo scontento sociale era ed è crescente, dall’Africa
al medio oriente e continua verso est nella fascia dei paesi tibeto-himalayani
e anche più a sud. La religione islamica è quella che può fare da collante,
sempre che si riesca una operazione di indottrinamento accellerato. Per le armi
non ci sono problemi perchè i mercanti di armi sono da sempre amici con chi ha
i soldi per comprare. L’intellettualità repressa, quella che ha deciso di non
accettare l’evoluzione del nostro mondo sempre più complesso, dove a fianco
della dominazione dei finanzieri ci sono spazi di libertà individuale
inconcepibili in contesti di società ancora patriarcali, quell’intellettualità
dicevo si mette a disposizione, in particolare nelle uniche scuole che i piani
di aggiustamento strutturali, l’arma fatale usata dal Nord per distruggere
quelle economie, non sono riusciti a toccare: le Madras, le scuole coraniche.
Ed è così che si cominciano ad allevare milioni di giovani studenti il cui
unico libro preso in mano sarà il Corano, interpretato non da insegnanti delle
scuole pubbliche e laiche, ma da teologi sciolti, molti dei quali sono
facilmente recrutabili per avventure come le attuali.
La storia delle torri gemelle con gran parte degli
attentatori aventi passaporto saudita, non ci ha fatto cambiare politica.
Siccome sono ricchi, continuiamo a fare affari con loro, pur sapendo che il
loro credo politico religioso è quanto di più conservatore ci sia al mondo. Al
confronto l’Iran di Khomeini fa quasi figura di debosciato. Ma siccome noi
occidentali abbiamo bisogno del petrolio saudita, allora i sauditi sono i
nostri amici e gli iraniani (essendo sciiti, contro i primi che sono sunniti)
diventano i nostri nemici.
Le evidenze che i soldi per il terrorismo arrivino
da quella parte del mondo non riesce proprio a smuoverci. Loro hanno dietro un
bacino di reclutamento in forte espansione, oramai le nostre periferie ne fanno
parte da quando quelle zone sono Res Nullius, terra di nessuno dove lo Stato
non osa più avventurarsi. Povertà, miseria economica e culturale, ne fanno un
brodo di cottura dove i predicatori estremisti hanno vita facile, come gli
spacciatori di droga alle Vele di Scampia a Napoli.
Il perchè questo succeda è, come spesso succede,
materia opinabile. Io penso che ci siano una serie di fattori, alcuni
strutturali ed altri più casuali storicamente. Fra questi ultimi metterei
proprio l’evidenza che noi del nord non abbiamo più voglia di fare la guerra e
non vogliamo vedere i nostri figli morire in guerra e quindi quando dobbiamo
andarci siamo poco preparati e quindi battibili. Un altro mondo, multipolare,
diventa quindi possibile, ma non quello sognato dai movimenti, un mondo di
macroregioni dove varie potenze, espressione di inteerssi vari, possono avere
un ruolo egemonico. Lasciamo l’Asia alla Cina, l’America Latina agli americani,
ma qui nel nordafrica (e magari anche nell’Africa nera) e nel medio oriente (e
chissà fin dove si possa arrivare nella parte bassa dell’Asia, magari potremmo
prnderci l’Indonesia, il paese mussulmano più grande al mondo). Ecco come
devono pensare questi sceicchi ultraconseratori. Il nostro modello può farcela
a prendersi in mano questa fetta del mondo, agli europei lasceremo l’altra
sponda del mediterraneo, purchè sia chiaro che alla prima cazzata che fanno,
gli mandiamo una serie di attentatori suicidi per scatenare l’opinione
pubblica. Penso sul serio che sia a questo che puntano. E per questo hanno
bisogno di portare la sfida da noi, per impaurirci e farci capire che è meglio
pensare agli affari nostri e basta. Dall’altro lato hanno il problema della
divisione con gli sciiti, e su questo la partita è ancora aperta. Certo che se
non vincono contro gli sciiti, cioè contro l’Iran, tutto il piano rischia di
venir giù.
In tutto questo l’elemento che secondo me
sottovalutano maggiormente riguarda la loro capacità di controllare il bacino
di reclutamento. Le ragioni per cui i giovani se ne vanno a combattere, prima
di essere di tipo religioso, cioè una attrazione per qualcosa che conoscono
solo superficialmente, è la forza che li spinge via da casa loro, cioè la crisi
economica, ecologica e sociale. Tatticamente in questo momento possono far
parte delle brigate di Daech, ma al fondo del problema resta che la
degradazione dei loro territori, il depredamento delle loro risorse, la
mancanza di scuole, ospedali, cinema e teatri, fa sì che la massa di incazzati
aumenti, ed è una massa anarchica. Se fosse solo una questione di supremazia
regionale con le potenze del golfo, un accordo alla fine si troverebbe, dato
che anche loro hanno bisogno di noi così come noi di loro. Ma io credo che vada
ben al di là di questo, che il vulcano che si sta scaldando sia molto più
complicato, potenzialmente alleabile con chi in un certo momento può essere
utile, una Idra dalle tante teste che non si lascerà ricondurre facilmente alla
ragione.
La vera questione è saper quando cominceremo a fare
il contrario di quanto facciamo da oltre trent’anni, e cioè politiche pubbliche
di sviluppo, rispetto degli altri paesi e ricerca di collaborazione economica
reale e non basata sulla sopraffazione, mettere sotto stretto controllo finanze
e banche perchè sia chiaro che la mano pubblica deve riprendere il comando
delle operazioni. Tagli drastici ai budget militari e investimenti massicci,
anche in deficit, sul sociale, partendo proprio dalle zone più deficitarie, nel
sud come da noi. Solo così potremo difendere sul serio i “diritti” di cui i nostri politici si riempiono la
bocca.
sabato 14 novembre 2015
Parigi 13 novembre 2015: A mente fredda
Innanzitutto
un momento di silenzio per tutte le vittime di ieri sera che, molto
probabilmente, saranno solo alcune delle tante che verranno.
Di fronte a
questi atti, che sembrano inumani, come dice il Papa, abbiamo il dovere di
porci le domande giuste se vogliamo capire cosa sta succedendo e cosa si
prepara.
Noi del Nord
siamo cresciuti in un mondo che ci ha convinti di essere dalla parte del
giusto, portatori di valori morali e di risultati economici e sociali che hanno
fatto di tutti noi, anche involontariamente, degli ambasciatori del “giusto”.
Chi fa come noi avrà gli stessi risultati, basta impegnarsi, quante volte l’abbiamo
sentito dire a casa nostra o attorno a noi. Il modello importato dagli
americani nel dopoguerra ha funzionato in Europa. Ricordo che eravamo usciti
dalla guerra come dei morti di fame e i nostri paesi erano deficitari in
alimenti di base. Il rischio che potessimo cadere sotto la propaganda
sovietica, comunista, era forte. Ed ecco che il Piano Marshall ci riempie di soldi
ma, ancor più importante, le novità agricole arrivano da noi.
Motomeccanizzazione, chimizzazione e varietà migliorate hanno fatto si che, in
una quindicina d’anni, l’ovest europeo diventasse esportare netto di derrate
alimentare. Dagli anni sessanta cominciamo ad avere i noti problemi di
sovraproduzione e di distruzione di cibo, frutta e tutto il resto.
Si tratta di
un modello che funziona perchè siamo nelle stesse condizioni agroclimatiche, le
istituzioni esistono e l’educazione basica dei contadini è sufficente per fare
il salto. Tanti di loro usciranno dal settore agricolo, ma siccome siamo ancora
in un modello economico basato sul lavoro manuale, la manovalanza agricola si
sposta: dal Veneto alla Lombardia, dal Sud a Torino.
Le forze
sociali si organizzano, e grazie ai sindacati le condizioni materiali di
miglioni di italiani migliorano in modo strutturale. Fosse stato per gli
Agnelli e i Pirelli, saremmo continuati ad essere degli schiavi alla catena di
montaggio, ricordiamocelo.
Lo stesso
modello proposto al sud del mondo non funziona. Non ha funzionato mai, da
nessuna parte. Le ragioni sono molteplici, ne ricordo alcune. Le condizioni
agroclimatiche sono diverse, per cui sarebbe stato necessario uno sforzo di
ricerca in agricoltura per mettere a punto le varietà possibili su quei climi e
su quei suoli. Ma questo significava rafforzare istituzioni pubbliche. I paesi
nati dalla decolonizzazione al contrario non hanno mai avuto la vera
possibilità di scegliere. Quando dei capi di Stato visionari hanno provato a
cercare strade nuove, sono stati semplicemente ammazzati (da Ben Barka a
Sankara la strada è lunga). Gli stessi limiti geografici dei nuovi Stati non
rispondevano che ai nostri interessi occidentali. Abbiamo messo dei fantocci al
governo, con una serie di esperti nostri a tenerli a bada. Hanno fatto le
nostre politiche ma non andava ancora bene. Negli anni 80 le nostre istituzioni
finanziarie li hanno costretti a degli “aggiustamenti strutturali”, centrati su
tre temi chiave: tagli alla salute pubblica, all’educazione e ai servizi agli
agricoltori. Li abbiamo messi in ginocchio.
Non
contenti, abbiamo continuato a mostrare le nostre ricchezze, permettendo solo
alla loro casta al governo di venire a spendere i soldi rubati al popolo nelle
nostre boutique, in modo che almeno loro potessero condividere il nostro sogno
di sviluppo giusto. L’importante era che i soldi rubati li mettessero nelle
nostre banche, da cui non sarebbero mai tornati ai legittimi proprietari, i
popoli africani e arabi.
Non ci siamo
resi conto che l’andare a braccetto fra l’economia e la finanza di rapina e il
nostro clero stava cominciando a far bollire un fuoco primordiale pericoloso.
Noi facevamo i soldi, avevamo sempre più “libertà”, loro si travano ogni giorno
di più la cinghia ma cominciavano a pensare.
Abbiamo
avuto un primo segnale dell’eruzione vulcanica che si sta preparando, quando il
GIA vinse democraticamente le elezioni in Algeria. Il risveglio fu brutale:
lasciare in mano a degli estremisti uno dei più ricchi paesi del mediterraneo?
Giammai. Ordine fu dato ai militari algerni che a prezzo di più di diecimila
vittime eliminarono il GIA e si mantennero al potere.
Nemmeno
quello fu però sufficente a capire cosa bolliva in pentola. Mi ricordo in
quegli anni spiegare ai miei giovani consulenti che il gioco è lo stesso di
quando siamo bambini. Quelli più forti dettano le regole, si gioca e vincono
sempre loro. A un certo punto, il calimero dice “basta, non gioco più” e se ne
va. Questo è successo già allora. Il GIA rifiutava in toto il nostro modello,
economico, finanziario, culturale e religioso, per loro tutto si teneva. La
povertà e la crisi delle loro società tradizionali erano il frutto dello stesso
movimento di occidentalizzazione. Hanno
perso in Algeria, e noi siamo stati contnti di celebrare.
Quando sono
tornati con la faccia di Bin Laden, in tanti ci siamo detti che tanto era un
problema con gli americani. Abbiamo assistio, e partecipato, alla crociata per
portare la nostra democrazia a casa loro, non capendo che era esattamente
contro quello che lottavano.
Nel
frattempo abbiamo fatto sprofondare ulteriormente le condizioni di vita di
milioni di poveri del sud, distruggendo i loro territori, deprendando le loro
risorse e quanto altro.
Da anni
avevano cominciato a dircelo in faccia, diventando specialisti nell’unica arte
che sembra contare davvero: la comunicazione. Verremo anche da voi, non
sentitevi al sicuro.
Hanno
cominciato ad arruolare nelle nostre periferie, e ancora una volta non abbiamo
capito che siamo noi all’origine del male, col nostro modello che si crede
oramai superiore anche a Dio, comanda la natura con i Deriviati finanziari,
dove dieci Corporations decidono cosa dobbiamo seminare nei nostri campi e cosa
mangiare, dove ci dicono come vestirci, che film vedere e che musica ascoltare,
il tutto contrabbandandolo come democrazia e libertà.
Non vogliono
nulla di tutto questo, e il problema è che hanno fatto di tutta l’erba un
fascio. Si mescolano progressi innegabili dell’umanità, in particolare per le
donne, ma anche questo è un affronto per loro, perchè spingiamo per cambiamenti
accellerati dello loro società, e non sono pronti per questo. Le nostre nonne
avevano tutte il velo nero in testa, estate e inverno, ma non ricordo marce o
manifestazioni di piazza per la libertà delle nonne. C’è voluto del tempo, e
battaglie, vinte e perse, tutto ciò che neghiamo a loro. Li neghiamo da decenni
nel loro essere. Noi, dall’alto della nostra superiorità non accettiamo più l’altro.
L’alterità è un concetto che non si studia più. Siamo noi e basta, gli altri
devono adattarsi (t’a d’adattà, come dicono a Roma).
Peccato che
questo modello non funzioni più. E’ finita. Adesso sono pronti a rispondere
colpo su colpo. Guerra asimmetrica, ma sempre guerra è. Noi bombardiamo
(convinti di aver ragione) a casa loro, e loro vengono a metterci le bombe o a
sparare a casa nostra. Occhio che oramai hanno truppe già qui, le stiamo nutrendo
ogni giorno che passa nelle nostre periferie degradate. Quando dei governi di
sinistra o dei movimenti hanno provato a criticare queste politiche che ci
stanno portando in maniera accellerata alla terza guerra mondiale (già
iniziata, come ha detto anche il Papa), vengono trattai come si trattavano i
paesi africani.
Eppure i
soldi ci sono, spesi male, ma ci sono. La massa di soldi spesi in armamenti è 5
volte più grande (ogni anno) di quanto ci vorrebbe per debellare la fame nel
mondo e creare dinamiche di sviluppo. Quindi se non vogliamo cambiare modello,
so cazzi nostri. Ma ricordiamoci che, come hanno annunciato ieri sera, il
prossimo attacco sarà qui a Roma e a Londra. E non avremo nulla per fermarli,
perchè in realtà li stiamo incitando ogni giorno che passa.
venerdì 13 novembre 2015
2015 L48: Les italiens - Enrico Pandiani
Instar Libri, 2009
Una gragnuola di proiettili sparati attraverso la finestra devasta un ufficio della Brigata Criminale di Parigi straziando le persone che si trovano all'interno. Tre agenti e una donna rimangono sul pavimento in un lago di sangue. La squadra de «les italiens» viene decimata prima ancora di cominciare le indagini. Il commissario che la dirige, poliziotto disincantato e un po' indolente, assieme ai suoi flic di origine italiana si trova ben presto coinvolto in una feroce caccia all'uomo. È costretto a fuggire attraverso una Parigi assolata braccato da un gruppo di sicari senza scrupoli che non si fermano davanti a nulla pur di eliminare lui e la bellissima pittrice transessuale che si trova tra i piedi. Suo malgrado, tra litigi e malumori, deve proteggere e salvare quella giovane donna piena di sorprese. Un viaggio infernale che li porta lentamente a scoprirsi spingendoli l'uno verso l'altra, cambiando la loro prospettiva e rimettendo in gioco le loro convinzioni.
Ottimo per il treno. Si legge in un attimo. La storia sembra un po' esagerata ma comunque fila via bene.
martedì 10 novembre 2015
Trent’anni bussando con il Re quarto
Penso ai vecchi
amici dell’università e ai nostri viaggi
e le interminabili partite a tressette, mattina e pomeriggio… Il nostro
amico Oboe, agronomo fattosi frate poi chissà, forse sposato e felice da
qualche parte, che giocava a occhio: “mi la meto lí” diceva mettendo giù una
carta senza che si capisse a cosa stava giocando. E chi giocava con lui
diventava matto… Io trovai in un vecchio libro a casa, eredità di mia madre, le
vecchie regole del Chitarrella, praticamente il vangelo per i giocatori di
tressette. Imparai così a giocare di rimessa, provando ad attaccare anche
quando le carte non erano granché. Da lì viene la storia del busso col Re
quarto, che chi ha giocato a tressette sa essere una carta rischiosa,
soprattutto se il tuo compare ha l’asso ma non abbastanza coperto.
Tutta sta trafila
per spiegare come mi sento in questi giorni. Di fatto, tirando le somme dopo l’ennesima
bastonata ricevuta, mi è venuta chiara la similitudine con la storia del Re
quarto. Una carriera, se di carriera posso parlare, dove ho giocato
praticamente sempre attaccando col Re quarto. Mai che avessi una Napoli o un bongioco
in mano, sempre sto maledetto Re quarto che mi ha fatto perdere tante partite
ma anche, a volte, a portare a casa qualche punticino insperato.
Alla fine uno
però si stanca, e io sono come quella sottile linea rossa che pian piano si sta
assottigliando sempre più e la cui resistenza può venir meno in qualsiasi
momento. L’ultima partita che ho perso l’avevo iniziata oltre vent’anni fa; all’inizio
non sembrava una cosa che dovesse andare per le lunghe ma pian piano mi sono
reso conto di aver messo il dito in un punto critico e più si andava avanti a
giocare più aumentavano le complicazioni. Gli altri giocavano con Napoli e bon
gioco, io col mio Reuccio che a malapena sopravviveva ma che, pian piano, era
riuscito a trovare il modo di portare a casa quei pezzi di punto, una figura di
qua, un’altra di là che sembrava far basculare il punteggio finale verso una
vittoria attesa per tanti anni.
Ma è solo nei
libri che vincono i più deboli, nella vita vera vince il più forte e basta. Ed
eccomi qui, svuotato dentro, non trovo più stimoli per andare avanti perché questa
era la madre di una filosofia di lavoro che portavo avanti da sempre:
inclusione, condivisione, trasparenza, mettere assieme le nostre piccole forze
per osare attaccare i castelli più difficili.
La delusione è
grande e non riesce ad uscir fuori per evacuarla. Non sto bene, proprio no.
domenica 8 novembre 2015
Precisazioni ulteriori per i ragazzi a cui vado spiegando le origini dei conflitti legati alla terra e altre risorse naturali
Per chi avesse bisogno
di ulteriori fonti che certificassero quanto vo dicendo sulle origini lontane
della crisi attuale, legate al calo progressivo del saggio di profitto a mano a
mano che la ricostruzione del dopoguerra andava avanti, e quindi la necessità
per il gran capitale di trovare altre vie per rimettersi a far soldi, tanti e
subito, invito a leggere quanto da anni scrive Luciano Gallino. Qui sotto un
paio di citazioni interessanti a mio modo di vedere:
Intervista a Luciano Gallino http://temi.repubblica.it/micromega-online/finanzcapitalismo-ultima-chiamata-intervista-a-luciano-gallino/
Vi è stato in questi ultimi trent’anni
un enorme sviluppo del sistema finanziario a paragone dello sviluppo del
sistema dell’“economia reale”: se all’inizio degli anni ottanta il volume degli
attivi finanziari corrispondeva al Pil mondiale, al momento della crisi
ammontava a oltre quattro volte il Pil. Il mondo è stato radicalmente
trasformato da un processo patologico.
...
Peraltro questo processo, lei lo mette
in chiaro molto bene nel libro, è stato determinato dalle scelte della
politica, contrariamente alla vulgata proposta e introiettata dalla politica
stessa che si è dipinta come passiva e impotente di fronte ad esso.
Non è stato per nulla un processo naturale. E’ stato invece un grande progetto ideologico, culturale e politico avviato dagli anni cinquanta e che ha preso piede a partire dagli anni ottanta. Non è vero che la politica è stata sopraffatta dalla finanza: l’assoluta libertà di agire che ha acquisito la finanza è stata un’operazione politica, iniziata peraltro in Europa. Si parla, a questo di proposito, di un “consenso di Parigi” che ha preceduto il “consenso di Washington”. La crisi ha dimostrato l’assoluta falsità della tesi ideologica dell’autoregolazione del mercato, eppure essa continua a presentarsi come l’unica possibile. E questo lo verifichiamo anche nella continuità delle persone: il consiglio economico di Obama, ad esempio, è composto da banchieri che hanno avuto parte importante nella deregulation fatta sotto Reagan e Bush.
Non è stato per nulla un processo naturale. E’ stato invece un grande progetto ideologico, culturale e politico avviato dagli anni cinquanta e che ha preso piede a partire dagli anni ottanta. Non è vero che la politica è stata sopraffatta dalla finanza: l’assoluta libertà di agire che ha acquisito la finanza è stata un’operazione politica, iniziata peraltro in Europa. Si parla, a questo di proposito, di un “consenso di Parigi” che ha preceduto il “consenso di Washington”. La crisi ha dimostrato l’assoluta falsità della tesi ideologica dell’autoregolazione del mercato, eppure essa continua a presentarsi come l’unica possibile. E questo lo verifichiamo anche nella continuità delle persone: il consiglio economico di Obama, ad esempio, è composto da banchieri che hanno avuto parte importante nella deregulation fatta sotto Reagan e Bush.
La ricerca di
maggiori e nuovi profitti (che avrebbe portato alla finanziarizzazione della
natura) si è scontrata negli anni sessanta con una resistenza operaia e
sindacale molto forte nel paesi del Nord, che aveva permesso di spostare una
massa rilevante di base monetaria dal capitale al lavoro, di fatto permettendo
l’emergere di una classe media di cui siamo tutti (o quasi) figli nei paesi
OCDE. Questo però non è durato molto e i risultati della riscossa capitalista,
guidata dai neoliberali, Reagan e Thatcher, riuscì a rispostare il pendolo
nella direzione del capitale:
Da un’ altra intervista: http://newbazar.altervista.org/blog/gallino-con-leuro-ci-stanno-facendo-tornare-al-medioevo/
«Nei maggiori paesi Ocse, nel periodo 1976-2006, la quota
salari sul Pil è scesa in media di 10
punti, i quali sono passati alla quota profitti dando origine a diseguaglianze
di reddito e ricchezza mai viste dopo il Medioevo
In questo periodo non solo si impoveriscono i lavoratori ma
si cooptano dal di dentro le principali forze di opposizione di sinistra che,
col tempo, finiscono per accettare i precetti economici neoliberali, tanto che,
alla fine, diventa sempre più difficile capire chi sia di sinistra e chi sia di
destra. Se questo avvenisse in un periodo di conclamata crescita economica per
tutti, saremmo tutti lì a gioire. Al contrario questo avviene quando i primi
segnali della crisi attuale si fanno sentire per cui noi, classe media,
entriamo nella crisi apertasi ufficialmente nel 2008, già più poveri,
globalmente, degli anni settanta ma soprattutto senza più riferimenti politici
affidabili. La sfera economica, sempre più in mano alle corporations e alla
finanza, non subisce più controlli dalla sfera democratica, anzi, riesce sempre
più a metterla ai suoi ordini. In mezzo cresce quella che chiamo la sfera della
mancata fiducia, dove tutte le avventure politiche sono possibili:
Questo sotto viene da un articolo sulle controdemocrazie di Ilvo
Diamanti del 5 novembre: http://www.repubblica.it/politica/2015/11/03/news/titolo_non_esportato_da_hermes_-_id_articolo_1682479-126511352/
Perfino la fiducia verso lo Stato oggi non supera il 15%
(Sondaggi Demos). Cioè: la metà rispetto al 2010. Mentre la fiducia nei partiti
- lo abbiamo ripetuto spesso - è ormai scesa al 3%.
Ecco perchè la situazione attuale è ben peggiore di quanto
abbiamo conosciuto fin’ora. Non è solo crisi economica, mancanza di lavoro e di
prospettive, è anche e soprattutto la resa di istituzioni sempre più subordinate al capitale che non riescono più a
dire nulla di positivo al cittadino comune. Se quest’ultimo punto non entra
prepotentemente nell’agenda politica, si preannunciano orizzonti molto foschi a
breve termine.
2015 L47: Sempre caro - Marcello Fois
Nuoro, fine Ottocento. Bustianu Satta, al secolo Sebastiano Satta (1867-1914), un giovane avvocato e poeta, accetta di difendere Zenobi Sanna, un pastore accusato di furto di bestiame. Il giovane, inspiegabilmente, non solo si è dato alla latitanza ma pare voglia distruggere le possibili prove a suo favore complicando la vicenda che inizialmente appare di facile soluzione. In una narrazione a tre voci, "con una sapiente, calcolatissima commistione tra lingua e dialetto", come scrive Andrea Camilleri nella sua Prefazione, Fois immerge il lettore in una oscura e delittuosa storia che costringerà l'avvocato, tra reticenze, patrimoni contesi, lettere e fotografie misteriose, a improvvisarsi investigatore per risolvere il caso. "Dice che l'avevano visto pensieroso, come sempre quando aveva una causa difficile. Che tutto si poteva dire di lui, ma non che non prendesse sul serio il suo lavoro".
Bello, nella sua semplicità. Probabile candidato alla Top
Bello, nella sua semplicità. Probabile candidato alla Top
martedì 3 novembre 2015
Chi ha paura erige muri
L’ultimo (in
ordine di tempo) è quello austriaco. Oramai abbiamo perso i conti dei tanti,
troppi muri fisici che si stanno ricostruendo, nella vana speranza di contenere
la fiumana umana che dal sud economico viene a condividere il “benessere”
percepito che esisterebbe al nord.
La storia sembra
non aver insegnato nulla. Il muro che avevamo conosciuto nel dopoguerra è crollato
26 anni fa, e tutti ci rallegrammo di quella che sembrava la fine di un’epoca.
Purtroppo invece il Muro con la M maiuscola ha lasciato in eredità tanti
muretti dove non vanno i giovani per sedersi e fare quattro chiacchiere, ma
muri che dividono e che, soprattutto, muri che mostrano la paura di chi si
chiude dentro.
Quanto sembrano
lontani quegli anni disgraziati quando un soggetto poco raccomandabile eletto
con truffa alla presidenza degli Stati Uniti andava cianciando di esportare la
nostra “democrazia”. Noi eravamo più forti e gli altri, arretrati, dovevano
capirlo. Arrivò il “meticcio” franco-ungherese, quello sempre incazzato, che arrivò
a blaterare che l’Africa non era ancora entrata nella storia … adesso forse
siamo noi che stiamo uscendo dalla storia… ne stiamo uscendo perché non
riusciamo più a capire come vada il mondo, il nostro ruolo come parte di un
tutt’uno e crediamo che l’avvenire sia fatto dal ritorno al medioevo. Ma i muri
fisici sono solo la parte emersa di un iceberg la cui parte sommersa è costituita
dai muri mentali che ci stiamo costruendo attorno. Lo vediamo nei luoghi di
lavoro, nella politica, nelle istituzioni, nazionali e internazionali …
chiudiamo gli spazi agli altri, abbiamo paura di confrontarci, di essere messi
in discussione e allora ciò che ci divide diventa argomento per costruire
effimere piattaforme elettorali. La paura ha già vinto in Ungheria, con i due
terzi degli ungheresi ad appoggiare partiti di ispirazione fascista. Lo stesso
sta accadendo in Polonia, quindi perché stupirci se la Turchia prende la stessa
direzione? Domani magari sarà la Francia, insomma la paura diventa una moneta
spendibilissima.
Nel comune vicino
casa mia, Cesano di Roma, sobborgo che fa parte dell’agglomerato della
Capitale, da qualche settimana sono apparsi dei cartelloni di fantomatici
cittadini “residenti-attenti”, insomma le ronde di leghista memoria. Oramai il
virus ci sta infettando, e noi guardiamo altrove. Nel mio piccolo, a parte
cercare di scrivere queste cose, ogni volta che ne ho la possibilità vado nelle
Università o negli incontri pubblici organizzati da gruppi di varia ispirazione
per spiegare loro la centralità dell’alterità nel patto sociale che ci tiene
tutti assieme. L’evoluzione degli approcci metodologici che usiamo nei nostri
programmi di terreno, ci sta portando verso due frontiere che vanno tenute
assieme: partivamo dai principi del dialogo e la negoziazione, per cercare di
arrivare a dei patti socio-territoriali; ecco adesso diventa strutturale anche
la dimensione della biodiversità ambientale, cercare un equilibrio tra noi
umani e madre natura, attaccando le crescenti asimmetrie di potere che fanno sì
che il “sud” economico ed ecologico sia sempre più tagliato fuori dai
meccanismi di scelta sull’avvenire. Ma a questo aggiungiamo una riflessione centrale
sul necessario cammino verso gli altri,
che diventa un cammino verso il più profondo di noi stessi. Andare verso gli
altri è difficile, poco capito, anche dai giovani che si mettono a far
politica. Anni fa proposi a un gruppetto di giovani simpatici ed attivi che
entravano nell’agone politico di Anguillara, di provare a stimolare una
riflessione cittadina, con mezzi semplici e partendo dalle scuole, sul concetto
di “chi è il mio altro?”. Vinsero le elezioni, sono stati eletti come assessori
di qua e di là, gli anni sono passati e nulla è stato fatto. Non ho comunque
perso la speranza, e malgrado l’assoluta mancanza di risposte dai non più
giovani “anguillarini”, ho proposto l’iniziativa ad una piccola organizzazione
che lavora negli altri due comuni del lago. Le ultime notizie dicono che se ne
stia parlando a Bracciano. Ringrazio l’amico Alberto Tabellini che ci sta
provando. Un muretto da abbattere, prima che diventi troppo grande.
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