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martedì 3 novembre 2015

Chi ha paura erige muri



L’ultimo (in ordine di tempo) è quello austriaco. Oramai abbiamo perso i conti dei tanti, troppi muri fisici che si stanno ricostruendo, nella vana speranza di contenere la fiumana umana che dal sud economico viene a condividere il “benessere” percepito che esisterebbe al nord.

La storia sembra non aver insegnato nulla. Il muro che avevamo conosciuto nel dopoguerra è crollato 26 anni fa, e tutti ci rallegrammo di quella che sembrava la fine di un’epoca. Purtroppo invece il Muro con la M maiuscola ha lasciato in eredità tanti muretti dove non vanno i giovani per sedersi e fare quattro chiacchiere, ma muri che dividono e che, soprattutto, muri che mostrano la paura di chi si chiude dentro.

Quanto sembrano lontani quegli anni disgraziati quando un soggetto poco raccomandabile eletto con truffa alla presidenza degli Stati Uniti andava cianciando di esportare la nostra “democrazia”. Noi eravamo più forti e gli altri, arretrati, dovevano capirlo. Arrivò il “meticcio” franco-ungherese, quello sempre incazzato, che arrivò a blaterare che l’Africa non era ancora entrata nella storia … adesso forse siamo noi che stiamo uscendo dalla storia… ne stiamo uscendo perché non riusciamo più a capire come vada il mondo, il nostro ruolo come parte di un tutt’uno e crediamo che l’avvenire sia fatto dal ritorno al medioevo. Ma i muri fisici sono solo la parte emersa di un iceberg la cui parte sommersa è costituita dai muri mentali che ci stiamo costruendo attorno. Lo vediamo nei luoghi di lavoro, nella politica, nelle istituzioni, nazionali e internazionali … chiudiamo gli spazi agli altri, abbiamo paura di confrontarci, di essere messi in discussione e allora ciò che ci divide diventa argomento per costruire effimere piattaforme elettorali. La paura ha già vinto in Ungheria, con i due terzi degli ungheresi ad appoggiare partiti di ispirazione fascista. Lo stesso sta accadendo in Polonia, quindi perché stupirci se la Turchia prende la stessa direzione? Domani magari sarà la Francia, insomma la paura diventa una moneta spendibilissima.

Nel comune vicino casa mia, Cesano di Roma, sobborgo che fa parte dell’agglomerato della Capitale, da qualche settimana sono apparsi dei cartelloni di fantomatici cittadini “residenti-attenti”, insomma le ronde di leghista memoria. Oramai il virus ci sta infettando, e noi guardiamo altrove. Nel mio piccolo, a parte cercare di scrivere queste cose, ogni volta che ne ho la possibilità vado nelle Università o negli incontri pubblici organizzati da gruppi di varia ispirazione per spiegare loro la centralità dell’alterità nel patto sociale che ci tiene tutti assieme. L’evoluzione degli approcci metodologici che usiamo nei nostri programmi di terreno, ci sta portando verso due frontiere che vanno tenute assieme: partivamo dai principi del dialogo e la negoziazione, per cercare di arrivare a dei patti socio-territoriali; ecco adesso diventa strutturale anche la dimensione della biodiversità ambientale, cercare un equilibrio tra noi umani e madre natura, attaccando le crescenti asimmetrie di potere che fanno sì che il “sud” economico ed ecologico sia sempre più tagliato fuori dai meccanismi di scelta sull’avvenire. Ma a questo aggiungiamo una riflessione centrale sul necessario  cammino verso gli altri, che diventa un cammino verso il più profondo di noi stessi. Andare verso gli altri è difficile, poco capito, anche dai giovani che si mettono a far politica. Anni fa proposi a un gruppetto di giovani simpatici ed attivi che entravano nell’agone politico di Anguillara, di provare a stimolare una riflessione cittadina, con mezzi semplici e partendo dalle scuole, sul concetto di “chi è il mio altro?”. Vinsero le elezioni, sono stati eletti come assessori di qua e di là, gli anni sono passati e nulla è stato fatto. Non ho comunque perso la speranza, e malgrado l’assoluta mancanza di risposte dai non più giovani “anguillarini”, ho proposto l’iniziativa ad una piccola organizzazione che lavora negli altri due comuni del lago. Le ultime notizie dicono che se ne stia parlando a Bracciano. Ringrazio l’amico Alberto Tabellini che ci sta provando. Un muretto da abbattere, prima che diventi troppo grande.

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