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martedì 10 novembre 2015

Trent’anni bussando con il Re quarto



Penso ai vecchi amici dell’università e ai nostri viaggi  e le interminabili partite a tressette, mattina e pomeriggio… Il nostro amico Oboe, agronomo fattosi frate poi chissà, forse sposato e felice da qualche parte, che giocava a occhio: “mi la meto lí” diceva mettendo giù una carta senza che si capisse a cosa stava giocando. E chi giocava con lui diventava matto… Io trovai in un vecchio libro a casa, eredità di mia madre, le vecchie regole del Chitarrella, praticamente il vangelo per i giocatori di tressette. Imparai così a giocare di rimessa, provando ad attaccare anche quando le carte non erano granché. Da lì viene la storia del busso col Re quarto, che chi ha giocato a tressette sa essere una carta rischiosa, soprattutto se il tuo compare ha l’asso ma non abbastanza coperto.

Tutta sta trafila per spiegare come mi sento in questi giorni. Di fatto, tirando le somme dopo l’ennesima bastonata ricevuta, mi è venuta chiara la similitudine con la storia del Re quarto. Una carriera, se di carriera posso parlare, dove ho giocato praticamente sempre attaccando col Re quarto. Mai che avessi una Napoli o un bongioco in mano, sempre sto maledetto Re quarto che mi ha fatto perdere tante partite ma anche, a volte, a portare a casa qualche punticino insperato.

Alla fine uno però si stanca, e io sono come quella sottile linea rossa che pian piano si sta assottigliando sempre più e la cui resistenza può venir meno in qualsiasi momento. L’ultima partita che ho perso l’avevo iniziata oltre vent’anni fa; all’inizio non sembrava una cosa che dovesse andare per le lunghe ma pian piano mi sono reso conto di aver messo il dito in un punto critico e più si andava avanti a giocare più aumentavano le complicazioni. Gli altri giocavano con Napoli e bon gioco, io col mio Reuccio che a malapena sopravviveva ma che, pian piano, era riuscito a trovare il modo di portare a casa quei pezzi di punto, una figura di qua, un’altra di là che sembrava far basculare il punteggio finale verso una vittoria attesa per tanti anni.

Ma è solo nei libri che vincono i più deboli, nella vita vera vince il più forte e basta. Ed eccomi qui, svuotato dentro, non trovo più stimoli per andare avanti perché questa era la madre di una filosofia di lavoro che portavo avanti da sempre: inclusione, condivisione, trasparenza, mettere assieme le nostre piccole forze per osare attaccare i castelli più difficili.

La delusione è grande e non riesce ad uscir fuori per evacuarla. Non sto bene, proprio no.

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