Penso ai vecchi
amici dell’università e ai nostri viaggi
e le interminabili partite a tressette, mattina e pomeriggio… Il nostro
amico Oboe, agronomo fattosi frate poi chissà, forse sposato e felice da
qualche parte, che giocava a occhio: “mi la meto lí” diceva mettendo giù una
carta senza che si capisse a cosa stava giocando. E chi giocava con lui
diventava matto… Io trovai in un vecchio libro a casa, eredità di mia madre, le
vecchie regole del Chitarrella, praticamente il vangelo per i giocatori di
tressette. Imparai così a giocare di rimessa, provando ad attaccare anche
quando le carte non erano granché. Da lì viene la storia del busso col Re
quarto, che chi ha giocato a tressette sa essere una carta rischiosa,
soprattutto se il tuo compare ha l’asso ma non abbastanza coperto.
Tutta sta trafila
per spiegare come mi sento in questi giorni. Di fatto, tirando le somme dopo l’ennesima
bastonata ricevuta, mi è venuta chiara la similitudine con la storia del Re
quarto. Una carriera, se di carriera posso parlare, dove ho giocato
praticamente sempre attaccando col Re quarto. Mai che avessi una Napoli o un bongioco
in mano, sempre sto maledetto Re quarto che mi ha fatto perdere tante partite
ma anche, a volte, a portare a casa qualche punticino insperato.
Alla fine uno
però si stanca, e io sono come quella sottile linea rossa che pian piano si sta
assottigliando sempre più e la cui resistenza può venir meno in qualsiasi
momento. L’ultima partita che ho perso l’avevo iniziata oltre vent’anni fa; all’inizio
non sembrava una cosa che dovesse andare per le lunghe ma pian piano mi sono
reso conto di aver messo il dito in un punto critico e più si andava avanti a
giocare più aumentavano le complicazioni. Gli altri giocavano con Napoli e bon
gioco, io col mio Reuccio che a malapena sopravviveva ma che, pian piano, era
riuscito a trovare il modo di portare a casa quei pezzi di punto, una figura di
qua, un’altra di là che sembrava far basculare il punteggio finale verso una
vittoria attesa per tanti anni.
Ma è solo nei
libri che vincono i più deboli, nella vita vera vince il più forte e basta. Ed
eccomi qui, svuotato dentro, non trovo più stimoli per andare avanti perché questa
era la madre di una filosofia di lavoro che portavo avanti da sempre:
inclusione, condivisione, trasparenza, mettere assieme le nostre piccole forze
per osare attaccare i castelli più difficili.
La delusione è
grande e non riesce ad uscir fuori per evacuarla. Non sto bene, proprio no.
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