Io continuo ad interrogarmi sul primo
livello, lo stagno dove nuotano ed anzi crescono i pesci che poi passano
all’azione.
La questione del gap nord-sud non è più solo un gap
economico (poveri e ricchi), ma è anche un gap culturale in senso lato. Il gap
economico, malgrado quello che provano a dirci, continua a aumentare. Qui non
si tratta solo di chi soffre la fame o la malnutrizione, ma di quanti non
arrivano a mettere assieme meno di due dollari al giorno, cioè la metà
dell’umanità. La massa potenziale quindi è enorme. Gran parte di questi hanno
un livello di educazione formale bassissimo e l’unica risposta che trovano ai
loro problemi è quella di incamminarsi verso nord, cioè verso luoghi dove ci
siano maggiori possibilità di lavoro. Questo nord non è esattamente il Nord
come lo immaginiamo, sono tanti nord che diventano tali quando rappresentano
una fonte di vita migliore dell’esistente. Quindi il Sudafrica rappresenta un
nord per molti mozambicani che vanno lì a cercar lavoro nelle miniere. L’Angola
sta diventando un nord anche per il suo ex paese colonizzatore, il Portogallo,
perchè fino a qualche tempo fa l’economia petrolifera dell’Angola cresceva
molto di più, per cui erano i portoghesi a cercare di ottenere visti per andar
a lavorare laggiù. Noi europei o, per aprire maggiormente i cancelli, noi paesi
OCSE, rappresentiamo globalmente un nord di ricchezza, o almeno percepita come
tale, ma anche una regione del mondo dove non ci sono così tanti conflitti come
nei paesi del sud. Quindi una prima risposta alla mancanza di lavoro, di
educazione, di salute, insomma di avvenire, consiste nel mettersi in cammino.
E’ ovvio che le ragioni che spingono ad avventure come quelle che vediamo
quotidianamente, ad affrontare quelle violenze e quei pericoli devono essere
molto ma molto forti, e finchè non saremo intervenuti sul serio su quelle
cause, il flusso non potrà far altro che continuare, che ci piaccia o meno.
Da quel flusso di poveri, può saltar fuori una
avanguardia molto più arrabbiata. Gli africani neri per il momento si sono
dimostrati più interessati a un livello locale o al massimo regionale di
conflitti e guerre. Ai nostri venditori d’armi andava bene così. Diamanti,
petrolio, risorse minerali rare contro armi e appoggio politico hanno fatto
prosperare una casta locale a cui tutto è permesso e dall’altra parte hanno
ingrossato i flussi finanziari verso le nostre banche.
Forse agli africani neri mancava il collante, un
qualcosa che potesse trasformare le querelle locali in qualcosa di più grande,
una vera rivolta contro chi li aveva colonizzati e, dall’indipendenza in poi,
li teneva sotto scacco in modo più sottile ma non certo meno efficace. Negli
anni sessanta i movimenti di ispirazione socialista ci avevano provato, lo
stesso Che Guevara era andato a far proseliti in Africa ma senza successo. La
dimensione tribale ed etnica limitava il raggio d’azione di questi attori e i
loro interessi.
Lo scontro con le popolazioni arabe del nord era
limitato, per via della presenza dei deserti. Gli arabi avevano a disposizione
una serie di elementi che erano e sono meno presenti nella parte nera del
continente. Innanzitutto una tradizione scolastica, universitaria presente da
moltissimi secoli, che fa delle loro elite una parte integrante dell’elite
mediterranea e mondiale. C’era, e c’è, una classe media non solo mediamente
ricca in beni materiali, ma anche partecipe alle grandi correnti di pensiero.
La differenza è che mentre da noi il secondo dopoguerra vede la nostra classe
media e l’intelletualità entrare nel giro del potere e capace quindi di
influenzare l’evoluzione delle nostre società (lo sbocciare della tematica dei
diritti è un frutto tipico di questa primavera intellettuale, ostacolata dalle
forze conservatrici, religiose, militari o economiche). In questo movimento si
inserisce il rafforzamento del sindacalismo operaio, uscito dal modello delle
Gilde corporative fasciste per prendere parte attiva nella difesa di una classe
in transizione dalla campagna alla città. A tutto ciò si somma una presenza
forte e organizzata di partiti politici che, pur nelle loro diversità e nei
loro scontri continui, portano avanti un disegno che è certamente più
democratico delle società europee dell’anteguerra.
Questo non succede aldilà del mediterraneo o in
medio oriente. Le decolonizzazioni, fortemente volute da questa nuova classe
media che non accetta più il mondo arcaico precedente (e questo senza essere
necessariamente di sinistra), restano comunque degli spazi di libertà limitati
e, come dicevo ieri, la casta che viene messa al potere deve rispondere
innanzitutto ai precedenti interessi coloniali. Non si arricchisce una classe
media e non si integrano gli intellettuali nei circoli di potere. Restano ai margini
oppure emigrano da noi, per scrivere, cantare, dipingere e raccontarci la vita
dall’altra parte del mare come fossimo fratelli. Ma non lo siamo, il gap inizia
ad aumentare. Da noi le battaglie per diritti accellerano su vari fronti,
tipico l’esempio della legge sull’aborto in Francia portata avanti da una donna
ministro di un governo di destra. Questo gap culturale lo troviamo oggi di
fronte a noi. Da noi miglioravano le condizioni medie del cittadino lambda, da
loro non succedeva. Le frustrazioni aumentavano, soprattutto in società ancora
molto maschiliste che difficilmente potevano assistere alla “liberazione della
donna” come succedeva al nord. Se questi erano i segnali della modernità, chi
controllava quelle società non aveva nessun interesse a farli propri, con il
rischio di perdere il controllo. D’altronde non c’erano forze sociali
organizzate, come lo erano da noi i partiti, i sindacati e pian piano i movimenti
ribelli e antagonisti. Da loro eravamo ancora fermi al sindacati corporativi,
creati dal governo per assicurare la stabilità del governo. Lo stesso per i
partiti politici e la pseudo democrazia. La società veniva imballata, e i
giovani erano i primi a pagarne il prezzo.
Il collante arriva con la religione, meglio con una
interpretazione manicheista e estremista dell’islam. Ma ricordiamoci che la
colla prende se si sono delle superfici pronte all’uso. In Algeria è quello che
succede con il GIA. Alle prime elezioni libere, il ras-le-bol dei giovani porta
alla vittoria l’unico partito nuovo e diverso, gli islamisti. La reazione
occidentale è di stupore e subito dopo di paura. Gli estremisti islamici al
potere in un paese che interessa a noi, questo era impossibile. Pertanto i
militari vengono pregati di fare il lavoro sporco, a cambio del mantenimento
dei loro privilegi. Lo stesso schema succedutosi in Egitto poco tempo fa. I
Fratelli Mussulmani, da sempre tenuti in carcere da Mubarak e i precedenti
Rais, alla prima occasione vincono democraticamente le elezioni. Anche questo è
inaccettabile. Per cui si richiamano i militari, con l’appoggio di tutto l’occidente,
e i fratelli mussulmani e il loro presidente si ritrovano o in galera o fatti
fuori.
Non ricordo manifestazioni nelle piazze europee per
difendere i risultati delle elezioni libere in quei paesi. La politica dello
struzzo continuava.
In fin dei conti ci dicevamo che queste erano
battaglie interne fra sciiti e sunniti, quel casino che in medio oriente
significa una guerra dietro l’altra che a noi interessano molto poco. L’importante
è che non tocchino i nostri affari. Questo fu l’errore dell’amico Saddam il
quale non avesse deciso di andarsi a prednere il petrolio con le armi in
Kuwait, paese amico degli americani e di noi europei, sarebbe ancora qui a
giocare il ruolo di pacificatore. La guerra contro di lui permise di mostrare
che non avevamo capito niente di quella regione e nemmeno della regione
tibetano-himalayana. Abbiamo iniziato delle guerre che non riusciremo mai a
vincere, mostrando così che al di là delle chiacchiere, i nostri eserciti sono
battibili, basta volerlo.
Capito che la supremazia occidentale stava poggiando
su basi di vetro, che l’antico potere sovietico era troppo preso dai problemi
interni per poter occuparsi del resto del mondo, e che le nuove potenze BRICS
quella parte del mondo era terra incognita, qualcuno ha deciso di provare a
giocre la partita.
Lo scontento sociale era ed è crescente, dall’Africa
al medio oriente e continua verso est nella fascia dei paesi tibeto-himalayani
e anche più a sud. La religione islamica è quella che può fare da collante,
sempre che si riesca una operazione di indottrinamento accellerato. Per le armi
non ci sono problemi perchè i mercanti di armi sono da sempre amici con chi ha
i soldi per comprare. L’intellettualità repressa, quella che ha deciso di non
accettare l’evoluzione del nostro mondo sempre più complesso, dove a fianco
della dominazione dei finanzieri ci sono spazi di libertà individuale
inconcepibili in contesti di società ancora patriarcali, quell’intellettualità
dicevo si mette a disposizione, in particolare nelle uniche scuole che i piani
di aggiustamento strutturali, l’arma fatale usata dal Nord per distruggere
quelle economie, non sono riusciti a toccare: le Madras, le scuole coraniche.
Ed è così che si cominciano ad allevare milioni di giovani studenti il cui
unico libro preso in mano sarà il Corano, interpretato non da insegnanti delle
scuole pubbliche e laiche, ma da teologi sciolti, molti dei quali sono
facilmente recrutabili per avventure come le attuali.
La storia delle torri gemelle con gran parte degli
attentatori aventi passaporto saudita, non ci ha fatto cambiare politica.
Siccome sono ricchi, continuiamo a fare affari con loro, pur sapendo che il
loro credo politico religioso è quanto di più conservatore ci sia al mondo. Al
confronto l’Iran di Khomeini fa quasi figura di debosciato. Ma siccome noi
occidentali abbiamo bisogno del petrolio saudita, allora i sauditi sono i
nostri amici e gli iraniani (essendo sciiti, contro i primi che sono sunniti)
diventano i nostri nemici.
Le evidenze che i soldi per il terrorismo arrivino
da quella parte del mondo non riesce proprio a smuoverci. Loro hanno dietro un
bacino di reclutamento in forte espansione, oramai le nostre periferie ne fanno
parte da quando quelle zone sono Res Nullius, terra di nessuno dove lo Stato
non osa più avventurarsi. Povertà, miseria economica e culturale, ne fanno un
brodo di cottura dove i predicatori estremisti hanno vita facile, come gli
spacciatori di droga alle Vele di Scampia a Napoli.
Il perchè questo succeda è, come spesso succede,
materia opinabile. Io penso che ci siano una serie di fattori, alcuni
strutturali ed altri più casuali storicamente. Fra questi ultimi metterei
proprio l’evidenza che noi del nord non abbiamo più voglia di fare la guerra e
non vogliamo vedere i nostri figli morire in guerra e quindi quando dobbiamo
andarci siamo poco preparati e quindi battibili. Un altro mondo, multipolare,
diventa quindi possibile, ma non quello sognato dai movimenti, un mondo di
macroregioni dove varie potenze, espressione di inteerssi vari, possono avere
un ruolo egemonico. Lasciamo l’Asia alla Cina, l’America Latina agli americani,
ma qui nel nordafrica (e magari anche nell’Africa nera) e nel medio oriente (e
chissà fin dove si possa arrivare nella parte bassa dell’Asia, magari potremmo
prnderci l’Indonesia, il paese mussulmano più grande al mondo). Ecco come
devono pensare questi sceicchi ultraconseratori. Il nostro modello può farcela
a prendersi in mano questa fetta del mondo, agli europei lasceremo l’altra
sponda del mediterraneo, purchè sia chiaro che alla prima cazzata che fanno,
gli mandiamo una serie di attentatori suicidi per scatenare l’opinione
pubblica. Penso sul serio che sia a questo che puntano. E per questo hanno
bisogno di portare la sfida da noi, per impaurirci e farci capire che è meglio
pensare agli affari nostri e basta. Dall’altro lato hanno il problema della
divisione con gli sciiti, e su questo la partita è ancora aperta. Certo che se
non vincono contro gli sciiti, cioè contro l’Iran, tutto il piano rischia di
venir giù.
In tutto questo l’elemento che secondo me
sottovalutano maggiormente riguarda la loro capacità di controllare il bacino
di reclutamento. Le ragioni per cui i giovani se ne vanno a combattere, prima
di essere di tipo religioso, cioè una attrazione per qualcosa che conoscono
solo superficialmente, è la forza che li spinge via da casa loro, cioè la crisi
economica, ecologica e sociale. Tatticamente in questo momento possono far
parte delle brigate di Daech, ma al fondo del problema resta che la
degradazione dei loro territori, il depredamento delle loro risorse, la
mancanza di scuole, ospedali, cinema e teatri, fa sì che la massa di incazzati
aumenti, ed è una massa anarchica. Se fosse solo una questione di supremazia
regionale con le potenze del golfo, un accordo alla fine si troverebbe, dato
che anche loro hanno bisogno di noi così come noi di loro. Ma io credo che vada
ben al di là di questo, che il vulcano che si sta scaldando sia molto più
complicato, potenzialmente alleabile con chi in un certo momento può essere
utile, una Idra dalle tante teste che non si lascerà ricondurre facilmente alla
ragione.
La vera questione è saper quando cominceremo a fare
il contrario di quanto facciamo da oltre trent’anni, e cioè politiche pubbliche
di sviluppo, rispetto degli altri paesi e ricerca di collaborazione economica
reale e non basata sulla sopraffazione, mettere sotto stretto controllo finanze
e banche perchè sia chiaro che la mano pubblica deve riprendere il comando
delle operazioni. Tagli drastici ai budget militari e investimenti massicci,
anche in deficit, sul sociale, partendo proprio dalle zone più deficitarie, nel
sud come da noi. Solo così potremo difendere sul serio i “diritti” di cui i nostri politici si riempiono la
bocca.
Articolo chiarificatore. Mario
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