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domenica 8 novembre 2015

Precisazioni ulteriori per i ragazzi a cui vado spiegando le origini dei conflitti legati alla terra e altre risorse naturali


Per chi avesse bisogno di ulteriori fonti che certificassero quanto vo dicendo sulle origini lontane della crisi attuale, legate al calo progressivo del saggio di profitto a mano a mano che la ricostruzione del dopoguerra andava avanti, e quindi la necessità per il gran capitale di trovare altre vie per rimettersi a far soldi, tanti e subito, invito a leggere quanto da anni scrive Luciano Gallino. Qui sotto un paio di citazioni interessanti a mio modo di vedere:


Vi è stato in questi ultimi trent’anni un enorme sviluppo del sistema finanziario a paragone dello sviluppo del sistema dell’“economia reale”: se all’inizio degli anni ottanta il volume degli attivi finanziari corrispondeva al Pil mondiale, al momento della crisi ammontava a oltre quattro volte il Pil. Il mondo è stato radicalmente trasformato da un processo patologico.

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Peraltro questo processo, lei lo mette in chiaro molto bene nel libro, è stato determinato dalle scelte della politica, contrariamente alla vulgata proposta e introiettata dalla politica stessa che si è dipinta come passiva e impotente di fronte ad esso.
Non è stato per nulla un processo naturale. E’ stato invece un grande progetto ideologico, culturale e politico avviato dagli anni cinquanta e che ha preso piede a partire dagli anni ottanta. Non è vero che la politica è stata sopraffatta dalla finanza: l’assoluta libertà di agire che ha acquisito la finanza è stata un’operazione politica, iniziata peraltro in Europa. Si parla, a questo di proposito, di un “consenso di Parigi” che ha preceduto il “consenso di Washington”. La crisi ha dimostrato l’assoluta falsità della tesi ideologica dell’autoregolazione del mercato, eppure essa continua a presentarsi come l’unica possibile. E questo lo verifichiamo anche nella continuità delle persone: il consiglio economico di Obama, ad esempio, è composto da banchieri che hanno avuto parte importante nella deregulation fatta sotto Reagan e Bush.

La ricerca di maggiori e nuovi profitti (che avrebbe portato alla finanziarizzazione della natura) si è scontrata negli anni sessanta con una resistenza operaia e sindacale molto forte nel paesi del Nord, che aveva permesso di spostare una massa rilevante di base monetaria dal capitale al lavoro, di fatto permettendo l’emergere di una classe media di cui siamo tutti (o quasi) figli nei paesi OCDE. Questo però non è durato molto e i risultati della riscossa capitalista, guidata dai neoliberali, Reagan e Thatcher, riuscì a rispostare il pendolo nella direzione del capitale:


«Nei maggiori paesi Ocse, nel periodo 1976-2006, la quota salari sul Pil è scesa in media di 10 punti, i quali sono passati alla quota profitti dando origine a diseguaglianze di reddito e ricchezza mai viste dopo il Medioevo

In questo periodo non solo si impoveriscono i lavoratori ma si cooptano dal di dentro le principali forze di opposizione di sinistra che, col tempo, finiscono per accettare i precetti economici neoliberali, tanto che, alla fine, diventa sempre più difficile capire chi sia di sinistra e chi sia di destra. Se questo avvenisse in un periodo di conclamata crescita economica per tutti, saremmo tutti lì a gioire. Al contrario questo avviene quando i primi segnali della crisi attuale si fanno sentire per cui noi, classe media, entriamo nella crisi apertasi ufficialmente nel 2008, già più poveri, globalmente, degli anni settanta ma soprattutto senza più riferimenti politici affidabili. La sfera economica, sempre più in mano alle corporations e alla finanza, non subisce più controlli dalla sfera democratica, anzi, riesce sempre più a metterla ai suoi ordini. In mezzo cresce quella che chiamo la sfera della mancata fiducia, dove tutte le avventure politiche sono possibili:

Questo sotto viene da un articolo sulle controdemocrazie di Ilvo Diamanti del 5 novembre: http://www.repubblica.it/politica/2015/11/03/news/titolo_non_esportato_da_hermes_-_id_articolo_1682479-126511352/

Perfino la fiducia verso lo Stato oggi non supera il 15% (Sondaggi Demos). Cioè: la metà rispetto al 2010. Mentre la fiducia nei partiti - lo abbiamo ripetuto spesso - è ormai scesa al 3%.

Ecco perchè la situazione attuale è ben peggiore di quanto abbiamo conosciuto fin’ora. Non è solo crisi economica, mancanza di lavoro e di prospettive, è anche e soprattutto la resa di istituzioni sempre più  subordinate al capitale che non riescono più a dire nulla di positivo al cittadino comune. Se quest’ultimo punto non entra prepotentemente nell’agenda politica, si preannunciano orizzonti molto foschi a breve termine.

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