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domenica 5 febbraio 2017

Bangkok: Ojalá






Ojalá è una bellissima canzone di Silvio Rodriguez che, per i casi della vita, ci è capitato di ascoltare ieri sera, dopo una giornata intensa a visitare un mercato di fiori (vedete le foto sopra) che rallegra l’anima, ed aver passato oltre un’ora chiusi in un taxi nel traffico bangkocchino per un tragitto di qualche chilometro. 
In quei momenti, oltre a contare i minuti fermi ai semafori, hai anche tempo per pensare ad altro, alla tua vita, al tuo lavoro, e magari anche a cosa ti farai da mangiare quando arriverai a casa. Per il momento l’idea di mangiare street food non è all’ordine del giorno. Vedremo più avanti.

Parlavo della canzone: scritta per una ragione, nota al compositore, ha finito per assumere altri significati e, come succede, ognuno la può interpretare come meglio crede. Che sia stata scritta a causa di un amore finito male, che molti l’abbiano interpretata come un inno di lotta contro le dittature, una in particolare e che al giorno d’oggi ci siano altrettante, se non di più, ragioni per scrivere e cantare versi come questi, ecco, io penso e voglio dedicarli a una persona in particolare:

Ojalá se te acabe la mirada constante, la palabra precisa, la sonrisa perfecta, ojalá pase algo que te borre de pronto:

Una luz cegadora, un disparo de nieve, ojalá por lo menos que me lleve la muerte, para no verte tanto, para no verte siempre, en todos lo segundos, en todas la visiones. 

Arrivati finalmente a casa, mi sono fatto due spaghi, amo, mio … senza peperoncino perchè, come dice l’amico Hernan Mora, inventore di neologismi oramai conosciuti (participulacion, per indicare la manipolazione che viene costantemente fatta ai più deboli, in nome di una falsa retorica partecipativa), il peperoncino … pica … y repica. A buon intenditor…

Parlo poco di lavoro oggi, tanto quello che avevo da dire in questi anni l’ho già scritto. Alla fine della fiera aveva ragione quel vecchio amico di mio nonno, poveraccio come lui, che così prendeva in giro se stesso e la sua classe sociale nell’immediato dopoguerra quando ricominciava la stagione degli scioperi in nome di diritti mai riconosciuti: i poveri ci sono sempre stati, cosa vogliono adesso?

Ecco, siamo ritornati a questa semplice e triste verità. Si lotta, ci si agita, ma alla fine diventiamo sempre prede del nostro io, crediamo che la nostra lotta, il nostro sforzo - individuale, al massimo col proprio progetto, sia quella goccia sufficiente a cambiare l’ordine delle cose.

La delusione più grande della mia vita professionale non sono stati quei governi profittatori, del nord come del sud, quei funzionari corrotti che cercano di estorcerti anche l’ultimo centesimo, o quei capi, direttori e più su, che, messi in quei posti per ragioni politiche, hanno fatto di tutto per impedire che si lottasse sul serio contro la fame e la povertà. In fin dei conti quella è la loro ragione sociale. Si è mai visto una persona pericolosamente di sinistra arrivare a gestire una qualsiasi di queste agenzie delle nazioni unite? Pochi anni fa sognammo quando Michelle Bachelet arrivò a UNWoman: integerrima, una storia personale che era la prova provata della capacità e serietà della persona… ed ecco che in quattro e quattr'otto molla tutto, dopo aver appena iniziato a lavorare, per tornare a lanciarsi, vincendo, nell’arena politica nazionale, tornare a fare la Presidente e poi trovarsi in mezzo a storie di corruzione con coinvolgimenti familiari. Un capitale di simpatia mondiale buttato via in un attimo. Ma a parte questo raro caso, la realtà è quella che è: la selezione naturale porta in alto non i più capaci o intelligenti, ma chi ha i legami politici, e quindi i voti, che permettono di arrivare lassù. Di conseguenza chi si preoccupa sul serio di chi sta sotto, viene tagliato/a fuori subito. Inutile tettarella strada delle promozioni interne, quando capiscono che razza di animale sei, cercano di parcheggiarti da qualche parte o buttarti fuori. Ripeto, fa parte del gioco. Bisogna proprio essere degli ignoranti come il neo presidente americano per non capire che la macchina nazioni unite è lì per servire gli interessi principalmente dei paesi del nord, America in primis. Interessi del settore privato chiaramente, come sono quelli difesi dentro il Codex Alimentarius. 

Quindi la delusione vera non viene da lì. Viene dal non esser riuscito a far capire a chi ha lavorato con me la necessità storica di fare gruppo, squadra, di costruire assieme. Lottare per difendere i diritti cosiddetti “commons”, ma poi farlo da soli, non saper costruire con chi condivide l’essenziale della stessa agenda di lotta, pur nelle sue differenze di persona, con storie alle spalle diverse, ecco, questa è una ferita che brucia e brucerà.

Loro, i miei “ex-giovani” lo sanno bene, perché gliel’ho ripetuto tante e tante volte, provando a creare degli spazi virtuali di condivisione di documenti, esperienze, uno sfogati nostro dove poter attingere anche dalle delusioni altrui, ma con lo scopo di costruire. Ho provato anche a provocare discussioni, riunioni fuori dal lavoro, ma neanche lì siamo andati lontano. 

Oggi sono in tanti a battersi su questi temi: molti di loro sono cresciuti con me, con altri ci siamo conosciuti e frequentati per brevi ma intensi periodi, tutti hanno l’indirizzo elettronico degli altri ma la maionese non prende. Peccato, più di tanto non posso fare. Se non ci arrivano da soli, amen. Io sto arrivando al capolinea di quello che potevo fare dalla mia posizione dentro questa organizzazione. Quando sarò fuori diventerò un possibile consulente come migliaia di altri già esistenti, nulla più. In tanti mi scriverete che non bisogna arrendersi, ma arrendersi a cosa? Io ho provato a fare due cose nella vita: stimolare una riflessione intellettuale che permettesse di aggiornare in tempo reale i nostri approcci, sulla base di uno scambio continuo con progetti veri di terreno, e dall’altra parte aiutare a tirar su una generazione di giovani diversi, curiosi e vogliosi di battersi a partire da principi non ideologici, ma consci di una realtà fatta di potere molto mal distribuito, di diritti negati e tutto il resto. A tutti loro ho sempre detto, dal primo giorno, che da soli non andremo da nessuna parte: sono arrivato a minacciarne alcuni (quelli passati per l’Angola se lo ricordano bene) di mettere per scritto nei loro termini di riferimento professionali, l’obbligo di scrivere le proprie esperienze, farne articoli o note interne da scambiare non solo con i colleghi ufficiali, ma con la squadra che pian piano veniva su. Non ha funzionato. Amen. La prima parte direi proprio di sì, e oggigiorno abbiamo del materiale molto interessante e abbastanza completo, sempre suscettibile di essere migliorato, ma chi ci conosce ha capito la natura dinamica delle nostre riflessioni. Peccato non avere una massa critica, una squadra che funzioni come tale. 


Un caro saluto a voi tutti, paolo  

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