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giovedì 2 febbraio 2017

Bangkok: Odori e profumi


Camminavo per strada, stavo andando in un ospedale alla ricerca di medicine per le varie rognette di salute. L’esercizio oramai è facile: si tratta di fare slalom tra le innumerevoli venditrici di street-food che dalle 7 di mattina a notte inoltrata continuano a cucinare di tutto e di più. Oltre a loro, a volte incontri qualche raro senzatetto allungato sul marciapiede a dormire (o almeno a fare finta), raramente a chiederti un’elemosina – allora sono donne con bambini a seguito. Malgrado l’inquinamento e le vie orali che sono intasate, soprattutto nei primi tempi, questi odori ti entrano dentro, mescolati, diversi, e provocano qualcosa in te che va dalla voglia di provare allo schifio per le condizioni igienico sanitarie in cui questi cibi sono preparati e poi mangiati lì in mezzo alle macchine e ai tubi di scappamento.

Poi sono entrato un attimo in uno di questi mall dove trovi tutto quello che gli occidentali possono cercare: dalla baguette appena cotta, il formaggio appena arrivato dall’Europa, qualche fiore, fino all’ultimo profumo di Sisley. 

Il tuo naso comincia a respirare altri aromi, e ti vien da pensare alla metafora della vita che questo passaggio dagli odori ai profumi ti indica.

Vien da pensare come cerchiamo tutti di allontanarci, nel corso della nostra vita, dagli odori, maleodoranti, puzzolenti, siano le fogne a cielo aperto di molte città del sud del mondo, o questi venditori di cibi cotti in strada, per non parlare dei panini che ci facevamo fare a Luanda prima di andare sul terreno a lavorare con le comunità: in mezzo a una delle più grandi favela del continente africano, con rivoli di liquido nero che uscivano da muri di mondezza, trovavi delle gentili persone intente  a preparare panini con una omelette cotta a dieci centimetri dal suolo. Lo facevamo perché non avevamo alternative, ma anche perché sapevamo che noi saremmo rimasti pochi giorni, settimane al massimo e poi tornavamo nei nostri conforti, passando dall’odore di monnezza fermentata ai più piacevoli profumi dei giardini di casa nostra.

Fuggire da questo e cercare di raggiungere il nirvana dei profumi. Ma un fuggire che dimentica, spesso, che da lì veniamo. Ed ecco che la dimenticanza, che poi ci riprende ogni volta che andiamo in bagno, ci porta a non volerlo conoscere quel mondo, a starne lontani, perché so’ Brutti, Sporchi e Cattivi.

Il guardarsi indietro lo facciamo sempre meno, come per cercare di mettere una barriera fra il livello dove siamo arrivati, per poi cercare di andare ancora più su, nei profumi e nelle essenze rare, sinonimo che abbiamo fatto fortuna nella nostra vita e che gli odori del piano di sotto non li sentiamo più. 

Non vogliamo sentirli, perché ci ricordano che esiste anche una umanità dentro quegli odori e che fra quei brutti, sporchi e cattivi ci siamo impelagati anche noi. Guardiamo altrove, ma finché non ci ricorderemo che siamo flusso, respiriamo profumi ma poi dobbiamo espellere odori, che tutti e due sono parte di noi, e che quindi dobbiamo imparare di nuovo a voltarci indietro, ecco senza questo ritorno alle radici dell’esistenza, come possiamo pensare di andare avanti? Come? Io proprio non lo so.

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