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mercoledì 22 febbraio 2017

La battaglia di Mosul e un warning che continuo a ripetere


Quasi tutti i giorni riceviamo notizie riguardanti la battaglia di Mosul in Iraq. Decine di migliaia di rifugiati, un numero che si sta avvicinando ai centomila e in continua crescita. La speranza che si tratti di una battaglia veloce non è mai esistita, fin da subito si sapeva che ci sarebbero voluti parecchi mesi per riconquistare la città e che quindi il problema dei profughi si sarebbe posto in maniera allarmante. Da parecchi mesi le nazioni unite, in contatto con parecchi donatori, si preparavano agli aiuti da portare in questa emergenza. 
Nuovi campi profughi vengono aperti per dare un sollievo a popolazioni sfinite. Il nuovo segretario generale delle NNUU vuole fare di questa operazione un esempio di come le varie agenzie lavorano bene, velocemente e con risultati sostenibili. Totalmente d’accordo. E proprio per questa ragione da tempo sto cercando di allertare i colleghi che lavorano in zona su un problema del quale non si sente parlare ma che potrebbe avere effetti sul medio-lungo termine. Parlo della questione delle terre dove i campi dei rifugiati sono creati. 
Nella mia vita lavorativa non mi è ancora capitato di trovare un caso dove, prima di decidere se installare un campo profughi, venga fatta un’analisi con gli aventi diritto locali, siano essi diritti formali o informali, e poi una negoziazione sia avviata con loro in modo da ottenere una certa sicurezza rispetto al luogo. Casi del genere devono sicuramente esistere, anche se la mia impressione è che preferisca saltare questo passaggio in nome della famosa “emergenza”. Sulla sacia delle esperienze italiane dove con le procedure d’urgenza sono saltati tutti i controlli e si sono aperte le falle per lasciar spazio a personaggi molto dubbiosi, la mia paura è che anche in questi casi le terre dove installare i campi non siano mai oggetto di una rigorosa analisi. Nel caso specifico di Mosul, una alta responsabile del HCR (agenzia Onu per i rifugiati) ha dichiarato pochi giorni fa su Al Jazeera che negoziare con i “proprietari” di queste terre è una procedura lunga (time-consuming). Nel gergo emergenziale, questa frase va interpretata con: non abbiamo tempo da perdere!
Che la situazione in Iraq sia complicata lo sanno anche i bambini ma, come diceva il mio vecchio Professore parigino: dobbiamo sapere a cosa stiamo giocando! Se togliamo delle terre ad aventi diritto per il solo fatto che non abbiamo tempo da perdere, ricordiamoci che questo significa creare nuovo rancore, addizionale, in una zona dove per molto meno hanno preso le armi.

Io ci provo, ma finora non mi ascoltano. Ecco perché ho deciso di scrivere questo blog a futura memoria. Soluzioni, quando si vuole, se ne trovano sempre, soprattutto quando i preparativi della battaglia erano noti da parecchi mesi così come la questione dei profughi, per cui le negoziazioni sulla installazione dei campi potevano iniziare subito, guadagnando tempo prezioso. Chiudo con la speranza di essermi sbagliato e che questo blog sia una allerta inutile.

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