Due notizie lette in questi giorni sulla Repubblica e su L’Espresso: una presentazione di un libro di un intellettuale di sinistra sul tema dell’immigrazione e una riflessione sul tema della crescente instabilità nel Sahara.
Nel primo caso l’autore consiglia, come parte di una nuova politica sull’immigrazione, la possibilità di scegliere in funzione di criteri (primo esempio citato: il titolo di studio). Va da sé che l’intellettuale di sinistra pensa a privilegiare quelli che ce l’hanno un titolo di studio, magari anche una laurea e specializzazione, e non certo di privilegiare chi non ha nulla di tutto ciò. Tutto il suo libro e la presentazione gira attorno a questi problemi, solo alla fine e come contentino, arriva la frase “bisogna intervenire anche nei paesi dei migranti. E naturalmente dovremmo assumerci anche le responsabilità delle cause che spingono gli africani alla fuga: lo sfruttamento, la desertificazione, il land grabbing, …”. Queste posizioni le aveva presentate pubblicamente, una decina di anni fa, Nicolas Sarkozy, il Presidente della Repubblica più fascista e razzista che la Francia abbia avuto negli ultimi decenni. Senza accorgersene, anche la sinistra “governativa”, è arrivata a pensare le stesse politiche della destra. Ci chiudiamo sempre più dentro il nostro “benessere”, che continua a calare, come fossimo su un’isola deserta, senza riuscire più a pensare cosa facciamo in questo mondo e cosa potremmo fare per migliorarlo.
Gli anni passano, e adesso scopriamo che il Sahel sta diventando il nuovo Afghanistan (interessante articolo di Francesca Caruso sull’Espresso della settimana scorsa). La giornalista ricorda una frase pronunciata da Romano Prodi nel 2012, quando lavorava come segretario generale per il Sahel alle Nazioni Unite: “Il mondo occidentale non aveva nessuna idea di che cos’è il Sahel, perché la Storia ha focalizzato l’attenzione sulla Nato e i Paesi occidentali, sull’Iraq e l’Afghanistan; ma il Sahel è potenzialmente ancora più pericoloso”. Sono passati quasi sei anni, nessuna riflessione seria è stata fatta in casa nostra, a livello europeo e ancor meno mondiale, a parte pensare di mandare truppe (come l’ultima brillante idea del governo Gentiloni). La cosa che mi preoccupa è di dover notare che Prodi, prima di essere a capo del tema Sahel alle Nazioni Unite, è stato due volte presidente del consiglio nonché Presidente della Commissione europea. Non ricordo che, grazie al suo passaggio in questi ambiti di potere, siano cambiate le politiche europee o italiane o almeno si sia lanciata una riflessione amplia sul tema migrazioni e sottosviluppo. Delle due l’una: o i famosi “poteri forti”, glielo hanno impedito, oppure anche lui ha scoperto il tema tardi.
Resta il fatto che la sinistra in tutti questi ultimi decenni, da quando, nel 1985, quei rompiballe dei radicali fecero approvare una legge per l’intervento straordinario contro lo sterminio per fame (http://www.radicalparty.org/it/content/pannella-non-cerco-elettori-tra-i-morti-fame-dafrica), non solo non è riuscita a elaborare una visione seria del problema, ma nemmeno uno stranio di sforzo per pensare qualcosa di diverso dalla destra. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi: tra quello che dice e fa il nostro ministro dell’Inferno Minniti, o quello che propone la Lega, oramai è difficile trovare delle differenze. Che questo sia esattamente lo stato delle sinistre europee tutte, non mi rende meno triste.
Quindi, alla domanda banale dell’amico o amica che chiedano cosa fare adesso che siamo nell’emergenza, vien da ricordare che ci sono stati oltre trent’anni di tempo per non cadere nella trappola della emergenzialità. Oramai tutto si fa all’ultimo momento, o meglio ancora si annuncia che si farà e poi nemmeno quello. Ma se questo è l’andazzo, dopo anni e anni con governi cosiddetti “progressisti”, perché dovrei continuare ad andare a votarli? Il primo unto è proprio quello di uscire dalla cultura, fondamentalmente di destra, delle emergenze. Non possiamo seriamente pensare di trattare temi come questi, di portanza storica, sull’onda di emozioni televisive o per fotografie di bambini morti sull’arenile. Siamo seri: la classe politica ha il compito di pensare al di là degli orizzonti del Bar Sport, altrimenti tanto vale mandare a fare il primo ministro anche uno come Di Maio.
Che la destra ci sguazzi in questo mondo è ovvio. Che la sinistra da decenni non sia capace di elaborare un pensiero, questo mi preoccupa un po’ di più. In questa gazzarra elettorale partita in questi giorni tanti giornalisti fanno notare il pochissimo spazio dell’Europa, come se l’orizzonte, anche il nostro, italiano, finisse a Bruxelles, le nuove colonne d’Ercole. Non trovi uno straccioni partito o movimento che pensi al di là di questo, per cui sei costretto a pensare che la classe politica tutta ci stia allenando a rinchiuderci sempre più dentro casa nostra, pronti a “difenderci” dagli “attacchi” che gli “stranieri” porterebbero al nostro modo di vivere. Che queste cose le pensi un frequentatore del bar di Anguillara dove ogni tanto vado a bere un cappuccino, bar pieno da mattina a sera di poveracci che vanno a buttar via i pochi soldi che hanno in scommesse di tutti i tipi, ecco, che un pensiero basso provenga da quei poveracci, lo posso capire. Ma che questo stia diventando l’obiettivo dove ci vuol portare un governo che continua a definirsi “progressista”, una classe politica infatuata del Macron francese, allora proprio no.
Continuare su questa strada forse servirà a far vendere qualche copia all’autore del libro di cui sopra, ma sicuramente contribuirà a farci star peggio negli anni a venire.
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