Partiamo dall'inizio e cioè dalla legge elettorale voluta a tutta forza da Renzi (https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/25/rosatellum-lobbrobrio-nato-per-premiare-i-fedelissimi-di-renzi/3934047/). Era chiaro a tutti fin da ottobre dell'anno scorso che quella legge avrebbe prodotto, nel migliore dei casi, tre blocchi più o meno equivalenti, tutti schierati su posizioni antagoniste uno all'altro per cui l'ingovernabilità sarebbe stata ovvia. Mattarella ha controfirmato quella legge, sapendo in anticipo quali sarebbero stati gli esiti e cioè il casino delle negoziazioni vere o fasulle iniziate l'indomani del 4 marzo.
Le elezioni sono andate peggio del previsto per Renzi e i resti del PD. Hanno vinto in due, centrodestra e pentastellati, ma senza maggioranza relativa. A partire dal momento che Renzi ha deciso, da segretario dimissionario, che il "suo" partito non doveva partecipare a nessun possibile governo, restava sul tavolo o un tentativo di dialogo fra 5stelle e Lega oppure tornare a elezioni subito con la stessa legge.
I programmi dei due partiti avevano molte divergenze e molte inamicizie personali. Detto questo, le loro tesi erano conosciute fin dalla campagna e ognuno aveva potuto farsi un'idea di quanto realiste fossero. Fatta la tara delle solite promesse elettorali che nessun partito ha mai mantenuto dopo, resta il fatto che la maggioranza degli italiani, piaccia o meno, ha votato per loro.
A partire dal momento in cui DiMaio e Salvini decidono di sedersi e discutere/negoziare un "contratto", era chiaro a tutti, in primis Mattarella, che questo si faceva fra due forze politicamente antagoniste e che non si fidavano l'una dell'altra. I punti comuni ai due era un certo scetticismo nei confronti di questa Unione Europea e la voglia di rimettere mano ai fondamenti della stessa. Fare politica vuol dire dialogare e negoziare, partendo dalle proprie posizioni, per arrivare poi a qualcosa che sia considerato accettabile. Oggigiorno in Europa moltissimi governi hanno, per ragioni diverse, come punto importante delle loro agende, quello di rivedere la governance europea. Visti la situazione italiana, col debito che aumenta ogni anno, con gli ospedali messi ogni anno peggio, la scuola che non funziona, il lavoro che si precarizza e tutto il resto, non dovrebbe stupire che, oltre a voler cacciar via la casta italiana, una parte del risentimento popolare si diriga verso l'Unione Europea e, dietro di loro, i veri padroni del mercato: banche e istituzioni finanziarie.
Quando due partiti che vogliono mettere mano al fondamentalismo ideologico neoliberale dell'Unione Europea (formalmente imposto dai tedeschi) e vincono le elezioni, ovviamente che si apre un problema di fondo. Da un lato chi, come i politici della maggioranza precedente (di cui Mattarella è l'espressione) vuole a tutti i costi mantenere quella fede nei suoi fondamentali, e dall'altro quelli che, avendo vinto le elezioni, vogliono fare un governo che metta sul tappeto anche questi temi.
Piaccia o non piaccia, la posizione assunta da Mattarella è percepita da molti italiani come quelladi un rappresetnante politico di una maggioranza che non esiste più nel paese. Le pressioni esistono dal basso, Salvini-Di Maio, così come dall'alto, cioè da quel mondo finanziario e bancario che, ricordiamocelo, è quello che ci ha portato alla crisi attuale.
Non mi pare quindi uno scandalo che questa "strana" maggioranza abbia chiesto che, in nome del voto del 4 marzo, il governo rappresentasse in toto quell'equilibrio negoziato a lungo fra di loro. Entrare a spagliare quel gioco, anche a nome del sacrosanto principio che il Presidente nomina i ministri, voleva dire mandare per aria tutti gli sforzi fatti per cercare di dare un governo in una situazione creata, di fatto, dalla legge di Renzi.
Il caso montato sul professor Savona, e la scelta di indicare un uomo del Fondo Monetario per formare un governo "neutro" che verosimilmente non avrà la fiducia del parlamento, è sintomatico di quel conflitto sotto traccia tra gli ordini calati dall'alto da una banda di neoliberali fondamentalisti e il ras-le-bol che monta dal basso. Un ras-le-bol che, come succede in questi casi, non è pendsato, riflettuto o del tutto razionale, ma è di pancia. Detto questo, resta il sentimento che hanno gli italiani in questo momento e, piaccia o meno, con questo si dovrà fare i conti.
Il buon D'Alema, che magari non ne azzecca una, diceva l'altro ieri a Grasso in un fuori onda mostrato dalla 7 ieri sera: se Mattarella rimanda a casa Conte questi faranno l'80% alle prossime elezioni. Ecco, magari non faranno così tanto, dato che Berlusconi non sa da che parte andare, ma è verosimile pensare che tanto i 5 stelle che la Lega aumenteranno i loro voti, rafforzando ancor di più la loro maggioranza parlamentare. Rischiamo quindi di ritrovarci nella stessa situazione (tanto la legge sarà ancora questa) e quindi che si riproponga il dilemma: decidono gli italiani cosa vogliono fare, attraverso i parlamentari che eleggono, oppure decide una casta superiore, illuminata, che pensa, col sostegno dellacricca finanziario-bancaria, cosa sia meglio per gli italiani?
Mattarella parla molto di fiducia. Parola corretta, ma allora avrebbe dovuto ammettere, e con lui gran parte di quelli che ci hanno governato negli ultimi anni e decenni, che sono loro ad avercela fatta perdere. Pensare di darla sempre vinta ai mercati, abbassare sempre il capo di fronte ai diktat di Washington, Bruxelles o New York, non è più una ricetta accettata dalla maggioranza degli italiani. Indicare poi un alto dirigente del Fondo Monetario come presidente incaricato indica chiaramente da che parte sta Mattarella: non dalla parte degli italiani ma dalla parte dei mercati e delle lobby finanziarie neoliberali. Che poi Scalfari proponga Draghi come futuro leader del rinnovato PD (La Repubblica di domencia scorsa), la dice ancor più lunga sul cammino intrapreso dai borghesi "progressisti" in questo paese.
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