Sono pronto a scommettere che i nostri candidati alla carica di Primo Ministro non hanno idea di cosa voglia dire. Oramai il contatto col mondo contadino si è perso e, credo, anche la capacità di guardare al di là del nostro giardino.
Il furto d'animali era pratica corrente anche nelle nostre campagne ma in questi anni più recenti caratterizza molto di più il mondo dei pastori nomadi del sud del mondo.
La fascia subsahariana, dalla Mauritania ad ovest fino alla Somalia all'est è tutta terra di conflitti, legati, fra l'altro, al problema dell'abigeato. Ultimo in data il conflitto di ieri nel nord della Nigeria dove si annunciano (ma i numeri non sono ancora confermati) 45 morti a causa di una razzia fatta per rubare animali.
Dovremmo forse interessarci di più di questi fatti che, anche se accadono lontano da casa nostra, indicano il fuoco che continua ad ardere sotto la brace e che pian piano alimenta il flusso continuo di chi non riesce più a sopravvivere a casa propria e comincia il peregrinaggio verso altri lidi.
I pastori sono quelli forse più deboli in questi anni: il semplice fatto che si muovano da un posto all'altro li rende sospetti: non rispettano confini (artificiali), vanno di qua e di la e quindi magari fanno intelligence per il nemico; non rispettano i terreni coltivati degli agricoltori (che spesso mettono a coltura zone tradizionali di passaggio delle mandrie)... Nessuno in fondo li ama. Al massimo li sfruttano commercialmente, ma tutti i governi preferirebbero renderli stanziali, fermarli in un posto così da poterli controllare.
Non sto idealizzando il mondo pastorile nomade, ci mancherebbe, ma la mancanza di rispetto di tradizioni e di culture, in nome di paure nostre sempre più forti, non augura nulla di buono per il futuro.
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