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venerdì 10 gennaio 2020

Sahel: crisi, guerre e risposte sbagliate


L’occidente si ostina a proporre une risposta militare a un problema che militare non è. Potremmo sintetizzare con queste parole la situazione attuale nel Sahel e le risposte sbagliate che stiamo promuovendo.

Il più guerrafondaio di tutti resta il Presidente francese, che ha interessi economici chiari da difendere in nome di settori (privati e pubblici) strategici per l’economia transalpina. Siccome però sul terreno non riesce ad ottenere risultati ed anzi, la situazione si mette sempre peggio, sta cercando adesso di convincere i suoi reticenti alleati a mandare anche loro truppe fresche, sotto il comando francese, ça va sans dire.

A dicembre aveva convocato i presidenti dei paesi del Sahel per annunciare loro il nuovo verbo francese. L’operazione è andata male perché molti di loro si sono offuscati di essere convocati come fossero degli agenti di commercio richiamati dalla casa madre. Ecco allora ripartito il circo per un’altra riunione, che si terrà lunedì prossimo, alla quale, stavolta, saranno “invitati”. Difficile capire cosa possano dirsi con la loro terminologia diplomatica. Macron almeno non potrà dire di non essere stato avvertito, dato che il su Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha ripetuto, davanti alla commissione congiunta di difesa di Camera e Senato che “non ci sarà soluzione militare nel Sahel”. 

Da anni andiamo ripetendo che la fonte, alla quale si abbeverano i vari gruppi terroristici che operano nel Sahel, è alimentata dalla corruzione, la disoccupazione, le elezioni truccate, le violenze etniche, il non rispetto dei diritti sulla terra e una situazione umanitaria al di là dell’immaginabile per i nostri standard. La questione delle risorse naturali, terra (e acqua) in primis, è al centro del problema, ma siccome noi occidentali facciamo parte di quelli che soffiano sul fuoco invece di contribuire a spegnerlo, non sembra restare altra scelta che veder aumentare le tensioni e i conflitti in quella regione.

Durante i miei anni lavorativi alla FAO, avevo provato a mettere in piedi dei progetti sul terreno che andassero all’essenza del problema, e cioè il riconoscimento dei diritti consuetudinari delle popolazioni locali, promuovendo il metodo del dialogo e della negoziazione per provare a risolvere i momenti critici e conflittuali che inevitabilmente nascono in situazioni di crisi prolungate, a volte determinate da cause esterne, ma troppo spesso essendo tutte di origine umana. Con calma e perseveranza eravamo riusciti a portare a casa dei risultati interessanti: cambi di politica e di legislazione, formazione di quadri locali al riconoscimento e al rispetto dei diritti storici, sia delle comunità che, al loro interno, delle donne. Uno sforzo grande che, speravamo, avrebbe indotto i capoccioni dell’organizzazione ad appoggiarci, sia politicamente che con maggiori risorse. Successe tutto il contrario: io, l’unico funzionario del settore “land tenure”, ad occuparsi dei conflitti in Africa, venni mandato in esilio a Bangkok, e gli altri miei consulenti, sono rimasti appiedati una volta i loro contratti finiti. All’inizio pensavo, e speravo, fosse solo l’idiosincrasia di un Direttore Generale inetto, un incapace messo a quel posto per semplici ragioni statistiche (mai prima di lui un latinoamericano era stato nominato a quel posto, ed essendo il Brasile il paese in voga al momento delle elezioni, venne eletto. Ma poi anche lui è passato, ed è risultato chiaro che anche ai piani inferiori, laddove la FAO opera e decide le operazioni nei paesi, la volontà di lavorare concretamente sulle questioni di fondo legate ai conflitti, non interessava. Ci misi un po’, data la mia ingenuità di fondo, a capire che non si fa carriera disturbando i potenti del mondo, siano essi i corrotti governanti dei paesi del Sahel, ma al contrario la si fa facendo finta di far qualcosa, un inutile balletto che alla fine noi europei paghiamo tutti, essendo in prima fila quando, risultato di quei conflitti e delle distruzioni dei sistemi agrari locali, le popolazioni si muovono e ce li ritroviamo pronti ad attraversare il Mediterraneo.

Quindi, il vertice di lunedì prossimo non servirà a nulla a Macron e agli altri. Resta la mia amarezza nel constatare come nessuna forza politica progressista italiana sia capace di portare avanti una riflessione seria su questi temi, sulla quale basare poi una proposta di agenda politica.


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