Esagerando un po’, verrebbe da dire che quasi non passa giorno senza un nuovo appello lanciato da volonterose persone del campo “progressista”, dirette in primis al capo del PD, in quanto forza maggioritaria, per promuovere una ammucchiata generale contro i futuri vincitori delle elezioni.
Il tono di questi appelli fa pensare che chi lo scriva abbia un livello educativo alto, raffinato e infatti i promotori sono, molto spesso, persone di quel mondo che i francesi hanno chiamato i Bo-Bo, Borghesi-Bohemiens (che è già meglio della gauche-caviar, la sinistra al caviale, dei tempi di Mitterand), dipinti molto bene nel film di Paolo Virzì, Caterina va in città.
Frasi ben costruite dirette a un pubblico sbagliato, dato che non lo conoscono perché non lo frequentano, e soprattutto testi che veicolano una tesi sbagliata nella proposta centrale: cercare di mettere assieme un branco di maschi alfa, da Renzi a Calenda, passando per Conte, Fratoianni, Bonelli e Letta che, nelle loro storie, hanno sempre dimostrato che la loro stella polare era la propria carriera personale declinata al maschile. Difficile trovare qualcosa, al di là delle solite promesse elettorali, che distingui questi “leader” da quelli della destra leghista e fascista che ci troviamo davanti, non c’è nulla nella loro storia che porti a pensare che l’altro sia mai stato al centro dei loro pensieri. Scrivo l’altro e non l’altra perché sono maschi, e pensano solo a una metà del mondo, quelli fatti come loro che cercano di attirare al suono di promesse così vuote che una normale persona che viva in Italia, che cerchi un lavoro, una scuola, un servizio pubblico qualsiasi, sa benissimo che sono parole vuote.
Abbiamo una (parte di) classe politica che si autodefinisce progressista, mentendo a sé stessa e a noi tutti che, per il bene di tutti, dovrebbe lasciare liberi i posti che occupano, nel parlamento, nelle regioni, province e comuni ma anche nei posti di comando che si sono spartiti da sempre in nome di un ideale di progresso. Ma anche mandandoli via tutti non sarebbe sufficiente. Il problema è legato anche al brodo primordiale che li coltiva, quel mondo intellettuale nato dal basso nella società e che pian piano, con gli anni del boom e le proprie capacità, è diventato un mondo agiato, autoreferenziale, scollato dalla realtà quotidiana e che si professa “progressista” in nome dei ricordi di quando erano giovani.
Non è un fenomeno solo nostrano, ioli ho osservati per vari decenni nei paesi dove ho lavorato, occupandomi non di fare la carità, ma cercando di portare avanti istanze di diritti al bene essenziale per una maggioranza della popolazione mondiale: la terra. Il disinteresse attorno a queste persone e a queste lotte è sempre stato molto comune, trattandosi di gente spesso analfabeta, che vive in campagne sperdute e lontane dalle luci della ribalta e che non hanno, come i Masai in Kenya, dei monili da offrire ai turisti occidentali in cerca di emozioni a buon mercato.
Ma li ho osservati anche dalle mie parti, dove vivo adesso: frequentando bar, pizzerie e luoghi dove non trovi l’intellettuale progressista, ma la gente comune, quella che, sprezzantemente, veniva chiamata la “ggente”.
Sono stati lasciati affogare in un analfabetismo di ritorno, di cui si parlava nel mio Veneto natale oltre 30 anni fa, senza che la “sinistra”, al governo per decenni con queste ammucchiate che si vorrebbe ripetere ora, sia mai stata in grado di frenare o di opporre un racconto e delle azioni diverse. Abbandonando a sé stessa questa quantità crescente di italiani, in una povertà che aumentava, come indicavano tutti gli indicatori economici, abbiamo lasciato che la paura dell’altro si installasse anche da loro, per cui sono diventati facili prede di una destra leghista e razzista. Io vivo in un paese che nella sua storia ha lottato per decenni contro i latifondisti, organizzando occupazioni di terre con tutta la popolazione in marcia, dietro il proprio sindaco. Questa “ggente” oggi vota la Meloni, Salvini e persino Casapound: memoria storica zero. Ma dov’erano i “progressisti” in questi decenni? Voi mi chiederete dov’ero io, bene, nel mio piccolo io ho messo in immagini queste storie, quasi una decina di documentari dove sono loro a raccontare, nella loro lingua, sperando che questo seme germogliasse e desse spunto ai vari “sinistrorsi” di prendere la palla al balzo e ritornare a conoscere, frequentare, capire chi fossero i loro cittadini.
Nada de nada.
Adesso quindi è la giusta nemesi: abbandonati da tutta la classe “progressista”, oramai considerata una classe agiata, non più composta da operai, da precari, ma da una classe media-alta che spera con questi toni da professori di convincere i dropout ad andare a votare, gli abbandonati o non ci vanno a votare o comunque non voteranno mai per questi qua. Votare a destra gli viene più naturale, perché li sentono vicini, li ascoltano e gli promettono risposte alle paure profonde, la paura dell’altro, e quello di farsi gli affari suoi. La destra propone un modello individualista, figlio di quel neoliberalismo arrivato come un tornado negli anni 80, e al quale le sinistre mondiali non sono mai riuscite a contrapporre nulla.
Oramai è tardi e soprattutto è inutile lanciare questi messaggi: è questo mondo di progressisti Bo-Bo, chi al potere e chi altrove, che deve lasciar libero il posto a una nuova generazione che faccia esattamente il contrario di quello che questi partiti di sinistra hanno fatto. Bisogna pensare il mondo intero, al di là dei propri confini e andare verso quello che conosciamo meno. Sarà un percorso lungo, ma senza un momento di rottura come saranno queste elezioni, non lo inizieremo mai.
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