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martedì 21 settembre 2010

Venti milioni senz' acqua la grande sete di Pechino

Repubblica — 17 settembre 2010 pagina 49 sezione: POLITICA ESTERA

L' estate delle alluvioni ha devastato decine di regioni cinesi, ucciso tremila persone e messo in ginocchio l' agricoltura. Non è bastata però a placare la grande sete di Pechino. Mentre il Sud annegava, la capitale è rimasta a secco, come gran parte del Nord del Paese, e le scorte d' acqua sono esaurite. Non pioveva così poco da dieci anni e i tecnici dell' Autorità di bacino lanciano l' allarme: «Ormai dobbiamo scavare a oltre mille metri di profondità e le falde continuano ad abbassarsi. In dieci anni sono scese di tredici metri e Pechino sorge ormai su una piattaforma di sabbia. Il terreno, sopra i bacini idrici, sprofonda di un metro all' anno». Nell' area metropolitana mancano fra i 300 e i 400 milioni di metri cubi d' acqua. I tentativi di far scaricare le perturbazioni monsoniche, sparando in cielo sostanze chimiche, sono falliti. Per salvarsi, negli ultimi cinque anni, la capitale ha acquistato 400 milioni di metri cubi d' acqua dalle regioni vicine, Shanxi ed Hebei. Fino al 2014, per evitare di sospendere le forniture in decine di distretti, ne occorrono però altri 600 milioni all' anno. Il problema non è solo che nessuno li ha. Anche se si trovassero, lontano e a costi esorbitanti, potrebbero non bastare. Il piano urbano ha previsto di fornire a Pechino 5 miliardi di metri cubi d' acqua all' anno fino al 2020. La popolazione non avrebbe dovuto superare i 17 milioni di persone. In luglio ha sfondato invece i 19,7 milioni, cui si aggiungono i 7,2 milioni di migranti. Se si somma Tianjin, unita da una periferia lunga oltre cento chilometri, si delinea il profilo di una megalopoli di 40 milioni di individui, pronta a raddoppiare in vent' anni. Dal 2015, per non morire di sete, o fermare le industrie, Pechino avrà bisogno di 6,5 miliardi di metri cubi d' acqua all' anno e gli scienziati avvertono che la nuova capitale dell' Asia potrebbe scoppiare. «Deviare le acque dal Sud - dice Zhou Ji, decano del dipartimento ambiente della Renmin University - non basta. Bisogna fermare urbanizzazione ed esplosione demografica, spostare lavoro e investimenti. Rischiamo una catastrofe naturale, il crollo dell' economia e l' instabilità sociale». L' emergenza idrica, per Pechino, non è una novità. Gli immensi bacini artificiali che la circondano, a Miyun e Guanting, hanno mezzo secolo. Ed è stato Mao a lanciare l' idea di spostare nell' arido Nord le masse d' acqua del Sud. Sembrava una follia dettata dall' invidia per l' Urss di Stalin, che aveva il problema opposto. Il mega-progetto di trasferimento idrico, in tre livelli e sette canali, è diventato invece una necessità e i primi tratti dovrebbero aprire nel 2014. Le acque dello Yangtze e del fiume Giallo, dirottate nello Han e nel fiume Azzurro, potrebbero scongiurare la desertificazione della capitale. Dopo dieci anni di lavoro, un investimento di 26 miliardi di euro e lo spostamento forzato di 1 milione di persone, muteranno destinazione 45 miliardi di metri cubi d' acqua. La rapidità dei cambiamenti, per l' ennesima volta, potrebbe però vanificare costi e sacrifici. La grande sete di Pechino non è solo l' effetto di clima sconvolto ed esplosione demografica. Migliaia di industrie, che si moltiplicano ogni giorno, consumano, inquinano e fanno abbassare il terreno. Un terzo degli acquedotti, quest' anno, s' è rotta a causa della pressione. Il boom del fabbisogno alimentare costringe le aziende agricole, ferme a tecniche irrigue primitive, a produzioni insostenibili. Il 60% delle sorgenti e dei bacini di raccolta sono poi inquinati ad un punto tale che nemmeno i trattamenti possono rendere potabile l' acqua. «I livelli di contaminazione del «South - North Water Diversion Project» - dice il direttore dell' opera, Zhang Jiao - sono così alti che l' acqua, nonostante 426 depuratori, sarà inutilizzabile per la gente e le campagne». Le autorità di Pechino, dopo 50 anni, scoprono che l' acqua in arrivo dal Sud, e sottratta all' India, è in realtà un concentrato di veleni. L' obiettivo diventa così ancora più titanico: smantellare e trasferire migliaia di distretti industriali, lungo la costa e all' interno, invertire i flussi migratori e cambiare la struttura produttiva della capitale, destinata a ospitare solo aziende hi - tech, pulite e con poco personale. Lo spettro di una natura distrutta non spaventa però 400 milioni di cinesi, ormai in marcia dai villaggi verso Pechino e le altre metropoli. Sanno che i soldi nascono tra i grattacieli e per sentirne il sapore sono disposti a morire di sete. - DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GIAMPAOLO VISETTI PECHINO

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