questo contributo di mia figlia mi è sembrato molto interessante, per cui ho deciso di condividerlo.
Con la crisi finanziaria
scoppiata negli Stati Uniti nel 2007-2008, trasmessa al continente europeo sia
per il tramite del canale finanziario che per quello reale, sono emersi
molteplici problemi all’interno dell’Unione Economica e Monetaria europea (UEM)
legati all’eccessivo indebitamento pubblico e privato dei suoi paesi membri. Al
fine di stabilizzare i paesi con eccessivo debito pubblico e con un elevato
tasso di finanziamento, legato all’incertezza sulla solvibilità del paese
stesso, sia la Banca Centrale Europea (BCE) che le istituzioni dell’Unione
Europea (U.E.) hanno messo in atto specifiche politiche economiche. Da un lato,
la BCE, oltre ad attuare misure monetarie espansive convenzionali, ha attuato
misure definite non-convenzionali quali la ricapitolazione delle banche
commerciali e l’acquisto sul mercato secondario di titoli di stato. Dall’altro
lato l’UE ha costituito specifici meccanismi atti ad aiutare i paesi con
difficoltà di finanziamento. Nonostante le politiche attuate sino ad oggi, i
paesi periferici rientranti nell’UEM, quali Cipro, l’Italia e la Spagna, soffrono tuttora di elevato debito pubblico e
rischiano un default totale. La crisi ha evidenziato come l’UE non sia un’area
valutaria ottimale (si veda la teoria delle aree valutarie ottimali di Mundell
1961) , costringendo paesi vittime di shock asimmetrici ad un limitato uso
degli strumenti di politica economica.
Al fine di comprendere la crisi
dei debiti sovrani scoppiata in Europa a partire dal 2009 è necessario
interessarsi alle cause che hanno portato diversi paesi dell’UE, quali la
Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna, definiti periferici non solo per
la loro posizione geografica ma anche rispetto al loro contributo economico
rispetto all’intero Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’UE, ad aumentare in
maniera esponenziale il loro debito pubblico e privato. Paesi come la Grecia ed
il Portogallo, negli anni precedenti la crisi del 2009, hanno vissuto periodi
di crescita elevati. Le ragioni della crescita vanno riscontrate nell’importante
aumento di spesa pubblica che permise l’aumento della domanda aggregata ( si
pensi alla formula di domanda aggregata di Keynes AD= C+I+G+NX dove un aumento
del consumo C, o degli investimenti I, o della spesa pubblica G o delle
esportazioni nette NX fanno aumentare la domanda aggregata AD). Al fine di
finanziare l’aumento della spesa pubblica e il deficit di bilancio conseguente,
sia la Grecia che il Portogallo hanno emesso titoli di debito pubblico. La
domanda di titoli sia greci che portoghesi rimaneva elevata vista la bassa
rischiosità dei titoli, dimostrata dal loro rendimento moderato tuttavia
superiore a quello dei titoli tedeschi. I maggiori acquirenti dei titoli di
debito, oltre alle banche nazionali, erano le altre banche europee.
Questo
dettaglio si rivelerà essenziale per comprendere la paura della trasmissione
della crisi da un paese europeo all’altro. Altri paesi quali l’Irlanda e la
Spagna hanno vissuto prima dello scoppio della crisi statunitense un lungo
periodo di crescita dovuto maggiormente all’incremento di investimenti e del
consumo privati. In entrambi i paesi, anche se per ragioni diverse, si formò
una bolla speculativa immobiliare che venne interamente finanziata dalle
banche, comportando un aumento del debito privato e ad un innalzamento del
rapporto di leva delle banche. Per rapporto di leva si intende il rapporto tra
attività della banca e il suo capitale. Più è elevato il rapporto di leva, più
il rischio di insolvenza della banca cresce. Questo rapporto si è rilevato
fondamentale nel momento in cui negli Stati Uniti scoppiò la bolla speculativa immobiliare
e il numero delle insolvenze dei cosiddetti subprimers cominciò ad essere tale
da far scendere i prezzi di mercato delle obbligazioni emesse dalle banche,
emettitrici del mutuo subprime. La diminuzione dei prezzi delle obbligazioni
dei titoli definiti Mortgage Backed Security (MBS) – obbligazioni composte da
diversi tipi di mutui venduti dalle banche commerciali al fine di
cartolarizzare il mutuo acceso - e dei Collateral Debt Obligations (CDO) –
titoli costituiti da una pluralità di MBS rivenduti dalle banche di
investimento- essendo iscritti a bilancio con il loro prezzo di mercato, hanno
comportato una drastica diminuzione delle attività delle banche commerciali
creando seri problemi di solvibilità. Analizzare l’intero processo della crisi
finanziaria americana sarebbe fuorviante. Ciò che è necessario ritenere è che
la crisi fu trasmessa dagli Stati Uniti in Europa tramite due canali: quello
finanziario e quello reale. Dal lato finanziario perché la generale incertezza
che regnava sulla composizione dei titoli detenuti dalle banche ebbe come
effetto di far diminuire il valore dei titoli stessi, facendo così diminuire il
valore degli attivi delle banche commerciali causando rischi di insolvenza. Al
fine di affrontare i default delle banche, il governo irlandese decise di
nazionalizzarle garantendo i debiti privati assunti dalle banche. Per questo
motivo gli economisti considerano simili gli effetti di un elevato debito
pubblico e di un elevato debito privato, in quanto in caso di insolvenza delle
banche commerciali, il governo, nazionalizzando gli istituti finanziari,
trasforma de facto il debito privato in pubblico. La crisi statunitense si è
inoltre propagata in Europa tramite il canale reale. Ciò è dovuto all’effetto
della recessione – e quindi della diminuzione della domanda aggregata- sulla
domanda di importazioni. La recessione, diminuendo il reddito della
collettività, oltre a far diminuire il consumo privato ha comportato un’
importante riduzione della domanda di importazioni europee, ed in conseguenza
riducendo le esportazioni nette europee nei confronti degli Stati Uniti, facendo
ulteriormente diminuire la domanda aggregata europea.
La crisi europea si è poi
inasprita nel momento in cui il governo greco annunciò di avere truccato i
bilanci dello stato e di avere un rapporto di deficit/PIL ben più elevato del
3% - dato limite consentito dai parametri di Maastricht -, raggiungendo quasi
il 15%. Dopo l’annuncio greco, la maggior parte degli istituti finanziari
cominciarono a rivendere i titoli di debito greci, facendone aumentare
l’offerta, diminuendone i loro prezzi e conseguentemente aumentando il loro
rendimento – nell’UEM si fa spesso riferimento al termine spread che
rappresenta il differenziale di rendimento fra i titoli di debito tedeschi,
considerati i meno rischiosi, e quelli degli altri paesi dell’UEM. Al fine di
contrastare questa crisi gli organi del sistema dell’Unione Europea attuarono
specifiche politiche economiche. Da un lato verranno descritte le politiche monetarie
convenzionali e non della BCE. Dall’altro lato le politiche dell’UE. La prima
politica monetaria attuata dalla BCE al fine di arrestare la spirale recessiva
sia reale che finanziaria fu quella di abbassare i tassi dell’interesse. La
BCE, secondo il suo Statuto, ha il potere di fissare tre tassi dell’interesse.
Il primo, definito tasso pavimento, è il tasso dei depositi che le banche
commerciali ricevono dalla BCE. Il secondo, tasso tetto, è il tasso d’interesse
che le banche commerciali devono ripagare alla BCE in cambio di un prestito. Il
terzo, ed ultimo, è il tasso di rifinanziamento che individua quel tasso che la
BCE ottiene nel momento in cui, dopo aver acquistato i titoli di una banca
commerciale li rivende alla stessa banca in un periodo successivo, di solito di
due settimane. La politica espansiva della BCE si rivelò però inefficace in
quanto, nonostante un tasso di interesse notevolmente basso, gli investimenti
non crebbero. Ciò può essere spiegato dal ruolo delle aspettative negative di
profitto che rendono gli investimenti maggiormente rigidi alla variazione dei
tassi di interesse. Essendo le politiche convenzionali poco efficaci, la BCE
decise di effettuare diverse altre politiche legate principalmente alla
ricapitalizzazione delle banche commerciali e all’acquisto di titoli di debito
sovrani sui mercati secondari. Tra la varie iniziative della BCE vanno
menzionate il Markets Securities Programme (SMP) del maggio 2010, il Long Term
Refinancing Operation (LTRO) del dicembre 2011 e l’Outright Monetary
Transactions (OMT) del novembre 2012. Il SMP è un intervento della BCE sui
mercati secondari al fine di acquistare titoli di debito dei paesi periferici
dell’UEM. E da notare che la BCE non può intervenire sul mercato primario dei debiti
sovrani in quanto il suo Statuto non glielo consente. Questa prima manovra non
fu sufficiente a stabilizzare i costi di finanziamento dei paesi vittime della
crisi dei debiti sovrani. Per questo motivo, nel dicembre 2011 la BCE approvò
un programma di finanziamento delle banche commerciali fino a 1000 miliardi di
euro sterilizzati – non facendo pertanto aumentare la quantità offerta di
moneta in circolazione- ad un tasso d’interesse all’1 %, al fine di incentivare
gli istituti di credito ad acquistare ulteriori titoli di debito dei paesi
periferici. Vedendo il default parziale della Grecia e la possibile
propagazione di un’insolvenza degli altri paesi quali la Spagna , il Portogallo
e l’Italia dovuta all’interconnessione fra le varie economie europee, il
Presidente della BCE, Mario Draghi, annunciò nel settembre 2012 che avrebbe “fatto
di tutto” al fine di risolvere la crisi europea. Questo annuncio fu un
importante segno verso gli speculatori finanziari e portò ad un riequilibrio
dei tassi di rendimento dei titoli di debito. L’intenzione della BCE di
affrontare in modo più massiccio la crisi europea si risolse nella creazione
delle OMT. Queste ultime sono degli interventi di acquisto di titoli di debito
pubblico illimitati e sterilizzati della BCE, condizionati alla richiesta dello
stato necessitante allo European Stability Mechanism (ESM, istituto di credito
lussemburghese creato dall’UE) e alla firma di un Memorandum of Understanding
che impegna lo stato ad una serie di piani di ristrutturazione economica.
Oltre ai numerosi interventi
della BCE, anche le altre istituzioni dell’UE hanno attuato diverse misure al
fine di superare la crisi dei debiti sovrani. Tra questi vanno ricordati gli
strumenti che hanno permesso ai paesi colpiti di finanziarsi ad un costo
inferiore rispetto al prezzo di mercato, quali l’EFSF, l’EFSM e l’ESM; e le
misure atte a ristrutturare gli eccessivi debiti, quale il Six Pack e il Fiscal
Compact. L’EFSF e l’EFSM nascono nel maggio 2010 come istituti di credito che,
attraverso l’emissione di titoli – con notazione AAA, per nulla rischiosi –
finanziano i paesi periferici soggetti ad alto debito pubblico. Fra i due
meccanismi esistono due differenze: la prima è costituita dalla loro potenza di
fuoco e l’altra dai destinatari potenziali. Per quanto riguarda il primo
aspetto, l’EFSF può emettere titoli fino a 440 miliardi di euro garantiti dai
bilanci degli stati membri dell’UEM, mentre l’EFSM può emettere titoli fino a
60 miliardi di euro, garantiti dal bilancio dell’UE. Per quanto riguarda il
secondo aspetto, l’EFSF si rivolge ai paesi membri dell’UEM, mentre l’EFSM si
rivolge ai paesi dell’intera Unione. Questi due strumenti verranno interamente
sostituiti dall’ESM nel 2013. Questo istituto creato dalla UE e operativo dal
luglio 2012, ha una potenza di fuoco di 700 miliardi di euro garantiti dagli
stati membri. Al fine di ottenere aiuti finanziari da questo istituto lo stato
richiedente deve firmare un Memorandum of Understanding dove vengono inseriti
dei piani di ristrutturazione del debito e diverse altre riforme che la Troika
– composta dalla Commissione europea, dall’UE e dal Fondo Monetario
Internazionale (FMI) – ha stabilito in diverse fasi di negoziazione. Oltre a
questi meccanismi di finanziamento, l’UE è intervenuta al fine di obbligare gli
stati ad alto debito pubblico a conformarsi al Trattato di Maastricht del 1992
e al Patto di Stabilità e Crescita (PSC) del 1996-1997. Secondo Maastricht gli
Stati dell’UE non possono avere un rapporto deficit /PIL superiore al 3% e un
rapporto debito/PIL superiore al 60%. Nel caso in cui il rapporto deficit/PIL
fosse superiore, il PSC individua un meccanismo sanzionatorio.
Questo atto
legislativo dell’UE firmato da tutti i paesi membri è chiamato Fiscal Compact. Questo
documento vincola gli Stati con un rapporto debito/PIL superiore al 60% a
ridurlo di un ventesimo della differenza tra il rapporto effettivo e il 60%
all’anno. Tra le altre clausole del Fiscal Compact va sottolineato che i paesi
ad elevato debito pubblico non possono avere un deficit strutturale superiore
allo 0.5%. Per deficit strutturale si intende il rapporto tra il deficit di
bilancio e il PIL di pieno impiego. Inoltre il Fiscal Compact impegna gli Stati
ad inserire il pareggio di bilancio all’interno delle proprie Costituzioni. Al
fine di comprendere la “feasibility” della clausola del Fiscal Compact legata
al rapporto debito/PIL, è necessario analizzare in che modo questo rapporto
possa essere diminuito. Da un lato, si può ridurre il debito o tramite la
riduzione della spesa pubblica – o un incremento dell’imposizione fiscale – o
tramite la riduzione del tasso di finanziamento che lo stato deve ripagare ai
suoi creditori. Dall’altro lato, si può far aumentare il PIL o tramite un
importante aumento dell’inflazione o tramite politiche che incentivino una
crescita sostenuta. Come si può notare dalle varie politiche effettuate
dall’UE, la linea prevalente al fine di sormontare la crisi europea è stata
quella definita de”l’ austerity”. Questa visione, rappresentante il pensiero
rigorista tedesco, promuove politiche restrittive al fine di diminuire il debito
pubblico e risanare i conti pubblici. Il limite di queste politiche è stato quello
di inasprire la recessione ormai in atto dal 2009 in Europa e di non stimolare
la crescita. Economisti quali Blanchard, chief economist del FMI, hanno ammesso
di aver sottovalutato gli effetti recessivi del moltiplicatore economico che le
politiche di austerity hanno provocato sulle economie nazionali. Per questo
motivo la linea tedesca viene ormai bilanciata con la linea “greca” che
propende a favore di politiche espansive in caso di recessione economica.
Questa nuova linea tende invece ad evitare qualsiasi politica economica e
lasciar agire gli stabilizzatori automatici che, tenderanno a far aumentare la
spesa pubblica e conseguentemente il debito pubblico ma in modo non eccessivo.
Sia le politiche monetarie della
BCE che le politiche dell’UE non hanno permesso all’UEM di uscire dalla crisi
dei debiti sovrani. L’ultimo esempio di ciò è il caso cipriota che, qualche
giorno fa, ha richiesto aiuto all’UE al fine di evitare il default delle sue
due maggiori banche Laikia e la Bank of Cyprus. Questa mancata efficacia delle
politiche economiche a livello sovranazionale è dipesa dal fatto che l’UEM non
è un’area valutaria ottimale. Nonostante fosse uno degli obiettivi ricercati
nel 1999 quando fu creata l’UEM, secondo la teoria di Mundell del 1961, per
ottenere un’area valutaria ottimale bisogna avere una flessibilità dei prezzi e
dei salari; una perfetta mobilità dei fattori produttivi; una struttura della
produzione simile fra paesi; un’unione politica “federale” e un’unione fiscale
“federale. Secondo i dati empirici, l’UEM difetta non solo di una flessibilità
dei prezzi e dei salari in quanto sono flessibili verso l’alto ma rigidi verso
il basso; ma anche della mobilità del fattore lavoro dovuto alla diversità di
lingue e culture; e soprattutto di un’unione politica e fiscale. In questo
contesto, in un’area valutaria non ottimale, i paesi possono essere vittime di
shock asimmetrici e possiedono limitati strumenti al fine di ristabilizzare la
situazione. Prendendo l’UEM come esempio, un paese che subisce una crisi
recessiva asimmetrica – il che significa che gli altri paesi dell’UEM non la
stanno subendo – non potrà attuare politiche monetarie nazionali in quanto la
sovranità monetaria è stata deferita alla BCE. La BCE, inoltre, non attuerà
politiche espansive che portano ad un aumento dell’inflazione se gli altri
paesi non subiscono crisi recessive perché un aumento dell’inflazione in
suddetti paesi comporterebbe ulteriore instabilità economica. Dal lato delle
politiche di bilancio lo stato vittima dello shock asimmetrico non potrà
aumentare la propria spesa pubblica se troppo indebitato, in quanto dovrà
rispettare i parametri di Maastricht e del PSC. Mentre a livello europeo, i
paesi in surplus che potrebbero finanziare i paesi in deficit tenderanno non
volerli finanziare se il deficit diventerà perenne. L’ultimo possibile
strumento sono le politiche dal lato dell’offerta. Queste politiche hanno il
pregio di stimolare la crescita di lungo periodo in quanto sono favorite dal
progresso tecnologico, da maggiore produttività, o minori costi di markup per
le imprese. Il problema è che questo
tipo di politiche ha effetto nel lungo ma non nel breve periodo.
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