Rieccoci qui, a raccontare un’altra ospedalizzazione. Forse
ha proprio ragione il mio collega Jean Marc quando dice che, dopo i quanrant’anni,
è solo manutenzione (del nostro corpo). La mia infezione era proprio grossa,
per cui non è stato possibile fare l’operazione tutta in una volta. Ieri ne
hanno fatto metà, togliere l’ascesso e rimuovere l’infezione, il resto fra un
paio di mesi. Insomma, dovrò tornare dentro anche quest’estate. Per il momento restano solo i dolori
posteriori e una montagna di medicine da prendere.
Il vantaggio di quando sei obbligato a letto è quello di
poter leggere, pensare e scrivere, se ne hai la forza. Leggo
dell’orrore di Londra, dei due “terroristi” fai da te che hanno deciso,
così come i due ceceni a Boston, di portare la loro sfida individuale nel cuore
di quello che loro vedono come il nemico: l’Occidente. Arrivano tardi, perché oramai è sempre più
evidente, per noi che ci viviamo dentro, come le tradizionali istituzioni delle
democrazie occidentali non siano più in grado di guidare il cammino di queste
società e che siano sempre più suddite di poteri immateriali e transnazionali
che non devono rispondere a nessun elettore perché non sono il prodotto di
nessuna forma elettiva. Che siano il frutto derivato del capitalismo che
conosciamo, non ci sono dubbi, così come è chiaro che il loro potere è
infinitamente più forte degli Stati nazionali o supranazionali. Per fare
semplice, gli sceneggiatori della fortunata serie di pupazzi francesi Les
Guignols de l’Info, li raggruppavano tutti dentro il concetto di World Company:
interessi economico-finanziari ben definiti, potere di corruttela e decisione
(chiamiamolo lobbying se vogliamo) su qualsiasi altro potere democratico: si
ponevano e si pongono al di la del bene e del male.
Comandano loro e nessuno sembra in grado di fermarli. Un
tumore che pian piano contagia tutti gli angoli del pianeta e dal quale sembra
impossibile venirne fuori. Le reazioni individuali di questi terroristi non
cambiano l’essenza della partita, che non sarà certo vinta con questi mezzi,
che illustrano bene la disperazione di chi non ha altro da dire.
Una quindicina di anni fa aveeo scritto qualcosa che torna d’attualità,
mi sembra: all’epoca era una riflessione sul concetto si urbanità e
periruralità. Lavoravo, con altri colleghi sul tema dell’agricoltura urbana e
dal mio lato mi sforzavo di pensare meglio gli elementi strutturanti del
concetto intermedio fra rurale ed urbano, il peri-. Le definizioni storiche dei
geografi (che identificavano il periurbano o periruale come una fascia a una
certa equidistanza dalla zona centrale, il polo urbano) non erano sufficienti,
ma era difficile trovarne di migliori. Proposi allora di pensare all’insieme di
desideri, percezioni e sogni che fanno, nell’immaginario individuale, la
differenza tra un urbano e un rurale, soprattutto nel sud del mondo. Pensavo
alle luci, alla vicinanza con cinema, ristoranti, discoteche, ma anche con l’insieme
di sogni materiali che erano più vicini in un centro urbano. L’idea era che là
fin dove i sogni urbani arrivavano a determinare la strutturazione della
campagna, quello restava sempre perirurale, anche se magari si trovava a centinaia
di chilometri dall’urbano.
Questo
partiva dal considerare un polo attrattivo, l’insieme dei sogni urbani, ed un
polo attratto, le zone più povere di capacità di valorazione propria, che
vivevano all’ombra di quel primo polo. Esistevano poi altri poli non attratti,
cioè dove un insieme diverso di valori, percezioni e sogni ne facevcano un
qualcosa di indipendente, anche se situato vicino a un polo attrattivo.
Con degli esempi forse si capirà meglio: le comunità
religiose tipo gli Amish o le molte altre esistenti nel sud del mondo, anche se
situate vicino o dentro contesti urbani occidentali, vivono un mondo diverso,
con i loro riti, sogni, valori etc. Questi sono esempi dei poli diversi. Un
paesetto come Samaipata, in Bolivia, situato a un centinaio di chilometri dalla
capitale economica, Santa Cruz, potrebbe essere, anzi era, un polo separato ed
indipendente, ma poco a poco quello che fa urbanità è arrivato anche lì: i
soldi, la droga, la prostituzione e i sogni delle luci della città, i bei
vestiti, le belle macchine, tutte cose che la gioventù dorata di Santa Cruz
porta ogni fine settimana a Santa Cruz, per distrarsi e respirare un’aria
migliore. Loro esportano e i locali, soprattutto i giovani,importano, nel loro
modo di vedere la loro vita, di definirsi per il futuro e così innescare
inevitabili processi migratori destinati ad ingrossare le fila del
sottosviluppo e della povertà urbana. Samaipata è un esempio di questa nuova
periruralità e Santa Cruz il polo attrattivo.
Constatando questi effetti, li traducevo nel campo della
pianificazione territoriale come un bisogno di considerare queste percezioni,
internalizzare le esternalità diremmo oggi, in modo da capire quali fossero le
forze determinanti l’uso attuale e futuro del territorio e così pianficare lo
sviluppo del paese e delle sue zone circostanti. Le capacità, da parte dei
governanti locali, di resistere a queste forze erano chiaramente diventate
nulle: nessuna valorizzazione della cultura locale, delle loro tradizioni, per
cui oramai erano destinati a diventare solo una dependance della capitale,
almeno fino al giorno che lo avessero capito e ricominciato a creare, o
ricreare, le basi per una valorizzazione propria del loro spazio vitale.
Altre forze politiche cercavano strade diverse: così leggevo
io l’avanzare dell’islamismo estremo. Quasi un tentativo di bloccare la storia.
Questo perché era facile associare questo insieme di “valori” (messi tra
parentesi…), sogni e beni materiali con l’idea che ci siamo fatti tutti dell’Occidente.
Chi controlla quei beni, sogni e percezioni, alla fine controlla la società,
attuale e, soprattutto, futura. Per cui, a un certo punto, vedendo come questo
pacchetto di valori, sogni e percezioni, portava con sé una individualizzazione
della società, la rottura di antichi patti societali intergenerazionali, la
ricerca del tutto e subito, era da aspettarsi che a un certo punto qualcuno
dicesse: Non gioco più a questo gioco! Tirarsene fuori voleva dire chiudere le
frontiere per impedire il contagio e mettere in atto campagne di propaganda
verso altri sogni. Quanti paesi abbiamo conosciuto che hanno provato, e provano
ancora, a seguire questa strada? L’Iran di Khomeini è stato forse il primo, ma
anche la Cambogia dei Khmer rossi, il tentativo del GIA in Algeria. Chiudere i
cancelli, un sogno impossibile perché si gioca in campionati diversi: una
potenza di fuoco occidentale che non ha uguali, in termini di esperienza e di
varietà e ricambio continuo, nonché un controllo dei mezzi di comunicazione
posti al servizio di questa nuova religione, il Dio mercato, con le
Transnazionali come i suoi Apostoli. Opporsi a tutto ciò con una risposta
religiosa non porta molto lontano, e difatti vediamo le nuove generazioni
iraniane che crescono con le stesse voglie (indotte?) di tutte le generazioni
occidentali. La chiusura ideologica, tipo Corea del Nord, è servita ancora
meno, anzi ha peggiorato le condizioni di vita delle popolazioni locali, mentre
la nomenclatura, a partire dal leader supremo, è preda della stessa febbre
consumistica di gran parte di noi occidentali.
Ma il rifiuto nazionale, che non ha funzionato, viene oramai
declinato in forme individuali, nel migliore stile neoliberale. D’altronde, se
la società non esiste, ma esiste solo la gente, come diceva la non rimpianta
Tatcher, perché stupirsi che così come ci sono giovani che fanno la fila di
notte per accaparrarsi i nuovi modelli di telefonino, ci siano altri giovani
che facciano esattamene l’opposto, portare l’orrore dentro le nostre società?
Non potremo fermarli facilmente, perché abbiamo svuotato le scuole, abbiamo
tolto valore alla famiglia, ai sindacati e a tutto quello che tiene assieme i
vari gruppi societali. Abbiamo voluto o, anzi, qualcuno ha voluto per noi, che
spingessimo sull’accelleratore dell’individuo, per sentirci liberi… adesso abbiamo
quelli che liberi non sono: alcuni comprano beni ed altri distruggono. Voi mi
direte, ma tra comprare un telefonino e distruggere una vita umana .. non è la
stessa cosa. Giusto, sono d’accordo con voi, ma andatelo a dire a quelli che li
producono in Bangladesh o altrove, riducendo la vita umana a meno che niente.
Chiedetelo ai Benetton o alle altre industrie che hanno delocalizzato le loro
produzioni, distruggendo lavoro da noi e creando una schiavitù nel sud,
chiedetelo a loro quale sia la differenza….
La logica mi porta a pensare che massacri o scene efferate
come quelle di Londra siano destinate a ripetersi.. e questo finchè non riusciremo
a trovare come ricostruire le società ex novo, su valori fondanti la convivenza
comune e non la sopraffazione; un sogno futuro dove noi umani non ci vedremo
più come superiori alla natura, ma come parte dello stesso tutto. Dove il Nord
la smetterà di considerarsi superiore al Sud e dove i vari Sud capiranno che la
strada per venirne fuori non è quella di scimmiottare gli stessi tracciati che
abbiamo seguito noi: distruggendo la natura, schivizzando chi sta peggio di
noi, non rispettando i diritti delle popolazioni locali… tutti elementi che
caratterizzano i famosi Brics.. gli allievi prediletti che vogliono raggiungere
lo stesso club degli eletti del Nord con gli stessi difetti che solo potranno
accellerare la nostra perdita globale.
Pensare a un futuro diverso è necessario, perché negli
squilibri attuali, sempre più crescenti, noi costruiamo la fossa che ci
seppellirà tutti.
PS. Il titolo di questo post è stato preso da un bellissimo libro di Erich Maria Remarque che vi consiglio di leggere
Stamani nel traffico nairobino sento la BBC che informa sulla Colombia. Si parla di Land Reform in cambio di pace. Ci sono parole come land reform che per me e' come se avessero detto Paolo Groppo alla BBC.
RispondiEliminaAllora mi collego al tuo blog e scopro un po' di cose. Uno che devi prendere un periodo di calma e spero tu lo faccia sul serio. Due, che l'urban e peri urban e' ancora ancora vivacemente tra i tuoi pensieri . Abbiamo scritto insieme (ma scrivesti più tu di me) quel documento 20 anni fa. Anch'io ripenso alle luci che attirano inesorabilmente verso il centro. Ormai luci che si accendono ovunque e il peri-urbano o peri-rurale ormai centrifugati (sia in termini di programma di lavaggio che come centri di fuga).
Comunque ho letto quel che hai scritto. E i fatti di Londra (ammazzare un soldato per essere ripreso, per entrare nel "tube" e parlare) mi spaventano. Sapere poi che il tipo aveva tentato di andare in Somalia a combattere mi fa riflettere su quanto è complessa la dinamica sociale e globale della guerra in Somalia. Sarà che la Somalia e' l'ultimo dei mondi periubanici? E noi, con i nostri programmi, e gli shabaab con i loro programmi, stiamo a tutti i costi cercando di accedere luci? Anche li?
Ciao, groppo, mi raccomando, letture, riposo. Ti aspettiamo a presto. Paolo