Mondadori, 2008
Nel corso della sua lunga, sfolgorante carriera di alto funzionario di
banca, Febo Germosino ha ricevuto tre lettere anonime. Adesso, nel primo
giorno della sua nuova vita da pensionato, le ha allineate davanti a
sé. Le prime due sono vecchie di decenni, l'ultima è recente e insinua
dubbi sulla fedeltà della sua giovane e bellissima seconda moglie,
Adele. È lei la protagonista di questo romanzo, una splendida 'femme
fatale' che ama indossare un apparentemente castigato tailleur grigio.
Un vestito che per lei ha un profondo significato simbolico. Un
significato che sarebbe stato molto meglio non conoscere mai.
Primo libro che leggo di Camilleri, dopo i tanti Montalbani visti in tivù - ma non letti.
Va via veloce, una storia piccola, insignificante, di una donna affamata di sesso, come la descrivono i vari critici che ho consultato dopo la lettura. Molto improbabile la figura di lei, attorno a chi è costruito il libro, così che il resto della storia, l'invischiante complicità con la mafia in cui si ritrova preso l'ex funzionario di banca, e la normalissima caritas della borghesia, sicialiana e non, di voler far qualcosa per i più poveri, giusto per riempire delle giornate che altrimenti non sanno di nulla... sono dei riempitivi. Avendo scelto di centrare il libro su lei e lui, ed avendo trattato lei con un imbarazzante ritratto che sembra fare da specchio a problemi dell'autore con le donne, il compito non sembra riuscito. Se avete visto le ultime puntate di Montalbano in vendita in queste settimane, sembra la stessa solfa: donne bellissime e disponibilissime a far di tutto con tutti... una volta passi, ma poi ritrovi questo come un leitmotiv ed allora ti stanca...
Non si fosse chiamato Camilleri, dubito che questo libro avrebbe ricevuto tutti sti complimenti.
domenica 30 novembre 2014
giovedì 27 novembre 2014
2014 L49: Un mattino d'ottobre - Gianni Simoni
Foschi, 2007
Due famiglie unite da una forte amicizia. Ma la splendida bambina di una di queste viene improvvisamente uccisa in un incidente d'auto mentre sta giocando nel parco con la tata. E nel frattempo altre storie, altre vite si intrecciano, all'apparenza inspiegabilmente, con questa triste vicenda. Se la morte della bambina è stato solo un fatale incidente, quelle che seguono invece hanno l'odore inequivocabile dell'assassinio. Chi si nasconde dietro la calibro 22 che sconvolge la quiete della città? E perché a morire sono sempre persone legate in qualche modo alle due famiglie?
Si legge in un attimo. Secondo me scritto un po' in fretta, uno dei personaggi principali sembra molto diverso di carattere nella prima metá del libro rispetto a come si presenta alla fine. Poi l'attenzione é tutta sui fatti, sui dialoghi, mentre non si vede assolutamente il contorno esterno. Insomma, pare un giallo degli anni 60.
domenica 23 novembre 2014
Le parole elementari
“Quando manca la solidarietà in un paese, ne risentono
tutti. Di fatto, la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci
di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel
sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e
spinge a cercare insieme il bene comune”.
Sono passati pochissimi giorni da quando queste parole sono
risuonate nel salone dove si celebrava la seconda conferenza internazionale
sulla nutrizione. Papa Bergoglio va avanti per la sua strada, cercando di
convincere chi lo ascolta, di seguirlo. Avrà bisogno di molto tempo per
convincere inannzittuo le sue pecorelle che la solidarietà sembrano averla
dimenticata da tempo.
Non riusciamo proprio a capire che preoccuparsi per gli
altri, compatire, è l’unica base di partenza possibile per una convivenza su
questa terra. Tirati su da decenni di cultura individualista, oramai non
vediamo più l’altro, vediamo il pericolo che costui incarna, pericolo di
portarci via il nostro lavoro, i nostri risparmi, la nostra tranquillità. Tutto
sembra come se, di colpo, questi altri, invidiosi, avessero deciso di venire di
punto in bianco a farci del male così, per ripicca. Non riusciamo proprio ad
interrogarci sulla dimensione processuale della storia, sul fatto che qualcosa
possa aver provocato queste migrazioni e che qualche meccanismo, gli stessi che
ha spiegato ancora una volta il Papa “rosso”, siano lì a continuare a mandare
acqua verso un solo mulino, sempre più piccolo e dove entrano sempre meno
gente.
Questa mattina, nel tradizionale programma sulla situazione
in Africa, francofona, sul canale TV5, l’attenzione era centrata sulla
Repubblica Centrafricana. Un esperto francese, con passati ruoli di alto
funzionario in vari dei governi passati, ricordava una verità che noi non
vogliamo sentire. La RCA come è chiamata comunemente, è un paese ricco, di
risorse naturali, e povero, per i propri abitanti. L’interesse delle potenze
coloniali, in questo caso la Francia, si è limitato a sobbillare, aiutare 5
colpi di Stato in cinquant’anni di esistenza del paese, in modo da esser sicuri
che chi stava al potere rispondesse agli interessi che contano, che non sono
quelli delle popolazioni, ma dei paesi del Nord.
Vale per la RCA come per la gran maggioranza di questi
paesi. Finchè c’era da prendere, si è preso, tutto, risorse naturali ed umane.
Non si è mai pagato il conto. Questo dobbiamo ricordarcelo. La Francia si è
seduta tra i vincitori della prima guerra mondiale anche grazie alle migliaia e
migliaia di combattenti reclutati, con o senza la loro volontà, nelle Colonie.
E ancora adesso noi continuiamo a voler promuovere una immigrazione
selezionata. Cioè vogliamo portar via da quei paesi le poche intelligenze che
riescono a formare, in modo che laggiù resti la feccia, quelli che noi non
vogliamo.
Ma i conti prima o poi bisogna pagarli. E se non vogliamo
ricordarcelo noi, allora vengono loro a ricordarcelo. Vengono e verranno,
sempre di più. Ma questo non ci interessa. Guardate i telegiornali italiani e
quelli di altri paesi europei. Da noi il monologo renziano ha soppiantato
quello berlusconiano. Ma sempre lì siamo. Parole, parole e parole, promesse,
mai che si voli alto a spiegare a che
gioco stiamo giocando, che anche noi abbiamo le mani sporche di sangue come gli
altri, ma che vorremmo venirne fuori, cominciando col cambiare il nostro,
italiano ed europeo, adesso che abbiamo la Mogherini a dirigere la politica
estera europea, modo di rapportarci al sud.
Poi arrivano le storie come quelle di Tor Sapienza, un
aperitivo di quello che succederà in futuro. Adesso poi che la crisi colpisce
anche qui, allora cosa diciamo ai nostri giovani? Andate a cercare lavoro all’estero.
Cioè: fate quello che fanno gli africani, i siriani, i pakistani e tutti gli
altri… ma se lo fate voi è una ricerca della miglior opportunità, se lo fanno
loro vengono a rubarci il lavoro, violentare le nostre donne…
E’ incredibile che sia un Papa, vecchio per lo più, a dover
venire a dire le parole più elementari che nessun leader di sinistra riesce
neanche più a pensare. Per forza poi che lo chiamano “comunista”.
Comunque intanto la guerra va avanti alle nostre frontiere,
la temperatura politica sta salendo di nuovo nei balcani prossimi alle nostre
coste, per non dire di quello Stato Islamico che oramai riesce a far proseliti
a tutto spiano nei nostri paesi. La terza guerra mondiale di cui già da tempo
sta parlando il Papa, sarà fatta di questo. Di tutti contro tutti: noi europei
contro cittadini europei che torneranno a casa a farci la guerra a domicilio,
di alleanze asimemtriche che cambieranno di giorno in giorno, di una marea di
senza diritti che pian piano verrà a invadere i nostri cortili e di una
economia che, al finanziarizzarsi, continuerà a tagliare posti di lavoro, in
nome dell’efficienza. Se non fermiamo tutto questo, saremo fritti. Ogni giorno
che passa ci avvicina a un non ritorno, se non vogliamo farlo per noi, pensiamo
almeno ai nostri figli. Quando li avremo mandati in Australia, America o chissà
dove e lì gli diranno che non sono i benvenuti, che devono tornarsene a casa,
che puzzano o che violentano le donne locali, ricordiamoci di quello che stiamo
facendo noi adesso. Ma l’Uomo ha memoria corta. Basta guardare cosa stanno
combinando gli israeliani contro i palestinesi, negando loro il diritto di
esistere come popolo. Nemmeno con quello che hanno sofferto gli ebrei sono riusciti
a capire profondamente la necessità della solidarietà. Quindi, perché sperare?
2014 L48: Aracoeli - Elsa Morante
Einaudi 1982
Manuele, quarantenne fallito e omosessuale infelice, rimpiange l'infanzia paradisiaca vissuta in simbiosi con la madre Aracoeli, una selvaggia ragazza andalusa sposata a un ufficiale della marina italiana. Il rapporto tra madre e figlio, tema favorito nell'opera di Elsa Morante da L'isola di Arturo a Lo scialle andaluso a La storia, è qui ripreso con maggiore strazio. Per Manuele la fine dell'infanzia si configura come una cacciata senza colpa dall'Eden e il suo ricordo è prigione e sventura, poiché la madre, colpita da morbo misterioso, è morta oltraggiando gli affetti famigliari con una furia demenziale e lussuriosa.
A distanza di anni, Manuele parte per l'Andalusia, alla scoperta del luogo natale di Aracoeli e del "segreto" della propria nascita. Il tema archetipo della fusione tra madre e figlio si sviluppa attraverso la struttura del viaggio di iniziazione, viaggio in un'epoca e in uno spazio storicamente connotati e al tempo stesso immersione nel buio dell'inconscio alla ricerca di una verità.
Aracoeli è l'ultimo, e più misterioso, romanzo di Elsa Morante.
Tremendamente difficile. Arreso dopo meno della metà del libro. Vedremo in futuro se riprenderlo.
Manuele, quarantenne fallito e omosessuale infelice, rimpiange l'infanzia paradisiaca vissuta in simbiosi con la madre Aracoeli, una selvaggia ragazza andalusa sposata a un ufficiale della marina italiana. Il rapporto tra madre e figlio, tema favorito nell'opera di Elsa Morante da L'isola di Arturo a Lo scialle andaluso a La storia, è qui ripreso con maggiore strazio. Per Manuele la fine dell'infanzia si configura come una cacciata senza colpa dall'Eden e il suo ricordo è prigione e sventura, poiché la madre, colpita da morbo misterioso, è morta oltraggiando gli affetti famigliari con una furia demenziale e lussuriosa.
A distanza di anni, Manuele parte per l'Andalusia, alla scoperta del luogo natale di Aracoeli e del "segreto" della propria nascita. Il tema archetipo della fusione tra madre e figlio si sviluppa attraverso la struttura del viaggio di iniziazione, viaggio in un'epoca e in uno spazio storicamente connotati e al tempo stesso immersione nel buio dell'inconscio alla ricerca di una verità.
Aracoeli è l'ultimo, e più misterioso, romanzo di Elsa Morante.
Tremendamente difficile. Arreso dopo meno della metà del libro. Vedremo in futuro se riprenderlo.
2014 L47: Cocaina - Carlotto; Carofiglio; De Cataldo
Einaudi Stile Libero, 2013
Tre maestri della narrativa contemporanea raccontano la droga che piú a fondo ha segnato la società dagli anni Ottanta a oggi.
La cocaina. Muove capitali immensi, costruisce imperi, distrugge, ricrea e plasma le coscienze. Rende tutti un po' piú criminali. La cercano sia gli operai in fila all'alba in attesa di ingaggio nelle città del Nordest, sia l'insospettabile compagna o compagno della tua vita. In tempi di crisi, è generosa con chi sceglie di servirla. Ci segue come la nostra ombra, cosí evidente e normale che nessuno piú la vede. E allora serve la letteratura per renderla di nuovo visibile. Tre magnifiche storie che rimandano l'una all'altra, tre facce diverse e complementari dello stesso cristallo. Tre scrittori al meglio delle loro capacità, che ci divertono, turbano e costringono a riflettere.
Sarà stata la moda? Saviano scrive sulla coca e subito si buttano velocemente anche altri big? Chissà. Comunque sono racconti semplici che si leggono in un attimo. Quello finale di de Cataldo lascia perplessi per la mistura fra peruviani e messicani di cui non ho mai sentito parlare prima. Va bene per passare un pomeriggio come questo, con un sole che ancora scalda.
Resto sempre meno convinto della scelta artistica, che rispetto, di porre in evidenza personaggi singoli. Facilita la lettura, certo, ma ti porta nel mondo del fumetto, non della storia vera che, nel bene e nel male, è una storia collettiva.
mercoledì 12 novembre 2014
Proteste anti-immigrati, riesplode la rabbia Roma, bombe carta e cariche della polizia
I residenti in
strada a Tor Sapienza: «Chiediamo più sicurezza». Auto e cassonetti dati alle
fiamme e scontri con gli agenti. Due feriti lievi
ricoverati in ospedale
Questo é uno dei
titoli di quello che è successo ieri sera a Roma. Ma poteva tranquillamente
essere accaduto in qualsiasi altra città d’Italia e d’Europa, con toni più o
meno virulenti.
Ovviamente non ci
si aspetta che dei semplici cittadini possano capire la magnitudine del
problema ed avere delle soluzioni per questo. Però siamo in diritto di
aspettarci da chi ci governa, indipendentemente dal colore politico, una
chiarezza di fondo sul tema, dopodiché ognuno può fare quello che ritiene più
opportuno per la sua bottega elettorale.
Nel 1990 la
popolazione africana era inferiore al miliardo. Nel 2010 sono arrivati a passare
il miliardo e le proiezioni per il 2100 non ve le dico nemmeno perché magari
non ci credereste (basta andare sul sito delle nazioni unite e troverete tutti
i grafici ed i numeri).
Salvo una deriva accelerata
dei continenti nei prossimi 5-10 anni, l’Africa resterà dov’`e, cioè davanti a
casa nostra. Di conseguenza la speranza che gli emigranti africani se ne vadano
in America o in Cina sono piuttosto remote (anche se, per fare un esempio, la
popolazione emigrata in America da Capo Verde è maggiore di quella rimasta nel
paese).
Quindi, che ci
piaccia o meno, se non facciamo qualcosa di strutturale sulle ragioni della
povertà (e, aggiungo io, la popolazione) africana, hai voglia quante
manifestazioni potrai fare, tanto quelli sempre qua verranno. Non è solo che
sono “attirati” dalle nostre lande, ma soprattutto non hanno ragioni per
restare lì da loro. Quindi per popolazioni che non hanno più terra né acqua,
che soffrono sotto regimi dittatoriali (con i quali noi facciamo affari), l’idea
di andarsene via è fortissima. Il fatto poi che l’Europa, e l’Italia in
particolare, siano così vicini, facilita la decisione.
Cosa fare: a
parte sparargli, come suggeriva Calderoli, Senatore di questa Repubblica («Bisogna
sparare sugli scafisti, usando cannoni o colubrine, poco importa»), - difficile
immaginare di sparare a qualche milionata di immigrati che verranno qui - forse
bisognerebbe pensare a qualcosa di un po’più complicato ma che nel medio
periodo forse potrebbe portare a dei risultati.
Dunque, il punto
fermo iniziale è quello demografico. Da quando abbiamo cominciato a sentir
strillare la Lega, poco piú di un ventennio fa, ad oggi, ci sono 500 milioni di
africani in più. Saranno sempre di più nel futuro se non cominciamo a metterci
in testa che una sana pianificazione familiare deve essere promossa in quei
paesi. La Chiesa ha contribuito per decenni ad opporsi ad ogni forma di planning,
e questo fa di lei uno dei responsabili del problema attuale. L’arrivo in forze
degli islamisti radicali complicherà ulteriormente le cose dato che per loro le
donne devono stare a casa a far figli. Quindi se non si pone questa questione
al centro del dibattito, avremo centinaia di africani in più nei prossimi anni
(lo dico adesso, le stime parlano di 4 miliardi nel 2100!!!). Magari non
piacerà alla Curia romana, ma non si possono fare sconti. Già il genocidio in
Rwanda è venuto da questo mix di non voler controllare l’espansione demografica
(per ragioni decise dal paese colonizzatore dell’epoca, molto ma moto
cattolico) di fronte a una scarsità evidente di risorse naturali. Quindi
pillole e preservativi come piovesse, anche di contrabbando se necessario, e
uno sforzo serio da parte di quei paesi con cui si può parlare per promuovere
questo tema velocemente. Inutile ricordare che il primo ostacolo lo troviamo
qui nella città eterna, oltre tevere, senza bisogno di andare molto lontano.
Ma la questione
demografica da sola non basta. Noi continuiamo a inondare il continente con i
nostri prodotti agricoli sovvenzionati, distruggendo così le loro agricolture,
oppure gli intimiamo, via Banca mondiale, di mettersi a produrre solo colture
da esportazione per fare cassa e pagare i debiti, mentre per la loro sicurezza
alimentare basta andare sul mercato mondiale. E finalmente andiamo a prender
loro le migliori terre ed acque per produrre o agro carburanti oppure prodotti
che servono a quei paesi che possono pagare, come la Cina in questo momento, o
gli arabi del petrolio.
Con questo
andazzo, se qualcuno venisse nella vostra azienda agricola a prendervi le
vostre terre, mettesse in vendita davanti la vostra casa gli stessi prodotti
vostri a metà prezzo grazie alle sovvenzioni e poi venisse ad intimarvi l’ordine
di mettervi a produrre per un fantomatico mercato mondiale e non produrre più
quello che vi serve per la vostra alimentazione, immagino che prima lo
prendereste per matto, poi prendereste il bastone e lo caccereste via. Ma se
invece non potete farlo, allora siete voi a partire. E questo è quello che
succede. Quindi o cambiamo diametralmente il nostro modo di porci rispetto a
questi paesi, oppure è inutile che continuiamo a gridare quando vengono qui. Ricordiamoci
che siamo noi, del Nord, a spingerli a partire. Se fossimo più furbi ci
ricorderemmo che una volta partiti verranno qui, dato che non hanno altra
scelta. Ma sembra proprio che la mano destra che decide il nostro modello
economico, non si parli con la sinistra che ci ricorda che sono esseri umani da
aiutare.
Guardiamo prima
in casa nostra, prima di andare ancora a gridare per strada. E se gridare
bisogna, e credo sia utile, allora andiamo a gridare contro quelli che da
30 anni sanno tutte queste cose e non
fanno nulla, a Roma come a Bruxelles come a New York e altrove.
Non che mi faccia
illusioni, ma almeno penso vadano dette queste cose.
domenica 9 novembre 2014
Trentanni di sforzi ed illusioni
Faccio conto tondo, fra quelli passati prima all’OCSE, i 25
passati in questa organizzazione e il periodo iniziale che nel 1983 mi portò in
Nicaragua. Un periodo abbastanza lungo per cercare di far quattro conti, con se
stessi e con quello che ho potuto vedere in giro per il mondo.
Eravamo giovani ed illusi allora, quando i Radicali
lanciarono l’idea di una Legge per la Fame nel Mondo. Idea interessante, frutto
di quel voler far qualcosa per gli altri, per tutti, soprattutto quelli più
deboli, che caratterizzò il periodo d’oro dei radicali. Una Legge che voleva
mettere soldi, molti soldi a disposizione della Cooperazione allo Sviluppo. Lo “sviluppo”
era visto come una questione di soldi da sborsare per progetti che avrebbero
portato delle buone pratiche nel sud e contribuire così al miglioramento delle
condizioni di vita dei poveri del sud.
Ci sono voluti anni per capire che le cose erano più
complicate e che, come era stata concepita, la Cooperazione allo Sviluppo, che
sia italiana, francese o americana di fatto non serve assolutamente a nulla
anzi, contribuisce a peggiorare le situazioni reali dei paesi del sud.
La Cooperazione all’inizio era una agenzia indipendente,
staccata dai desiderata della politica estera, com’era invece in gran parte
degli altri paesi. Purtroppo anche quella piccola libertà è poi stata tolta e
la Cooperazione è diventata come tutte le altre, un ulteriore braccio delle
politiche estere dei paesi del nord, più recentemente copiata anche dai paesi del
sud, Cina, Brasile etc.
Quindi non si fa cooperazione per aiutare i paesi del Sud e
le loro popolazioni, ma per aiutare le nostre politiche estere nei paesi che
sono prioritari per noi del nord. Di fatto si tratta di un meccanismo parallelo
alle “missioni di pace” dove mandiamo regolarmente i nostri soldati.
I paesi del sud restituiscono più soldi di quanti ne
ricevano annualmente, e questo va avanti da parecchio tempo. Ma la questione va
ben al di là dei soldi. Riguarda innanzitutto il grado di libertà che questi
paesi hanno (o meglio, non hanno) nello scegliere le “loro” politiche e, ancora
più su, le “loro” classi dirigenti.
Quelle che sono al potere, dall’indipendenza
di gran parte di loro, sono state o scelte direttamente o indirettamente (non
necessariamente come individui, ma come rappresentanti di interessi di parte)
dai paesi del nord e dalle loro istituzioni finanziarie. Per servire
esattamente quegli interessi che una vera indipendenza e autonomia sarebbero
stati in pericolo.
Agli inizi degli anni 90 c’era stato un sussulto di “democrazia”,
per cui i paesi del nord avevano obbligato quelli del sud, in particolare gli
africani (quelli stessi che nel decennio precedente erano stati legati mani e
piedi attraverso i programmi di aggiustamento strutturale) a passare per un
esame di elezioni “libere” in modo che quei governi potessero essere
legittimati nelle urne. La febbre è durata poco, ed oggi ce ne siamo già
scordati.
Abbiamo continuato a decidere noi l’accesso e l’uso delle
loro risorse naturali, per anni e anni, senza mai preoccuparci realmente delle
condizion di vita, materiali e politiche, di quei popoli. Si rispettava così la
sovranità nazionale e si continuava a credere che con la crescita economica ci
sarebbe stato un effetto di gocciolamento anche verso i più poveri per cui
tutti ci avrebbero guadagnato.
La cooperazione serviva questi scopi: quella finanziaria
serviva a mantenerli legati a noi, attraverso i presti della Banca e del Fondo,
a condizioni sempre imposte dal nord in nome dei sacrosanti principi della
ortodossia economica. Quella tecnica serviva essenzialmente a mostrare ai
nostri concittadini che eravamo dei bravi cristiani e che aiutavamo i fratelli
che soffrivano.
Lo abbiamo visto adesso con l’ebola: strutture sanitarie del
sud distrutte dai programmi di aggiustamento strutturale, medici ed infermieri della
cooperazione internazionale assaltati nei villaggi perché creduti colpevoli di
esser loro a propagare il virus (e i commenti erano: ma come è possibile che
siano così ignoranti? Facile: i programmi di aggiustamento strutturale hanno
distrutto anche i servizi educativi in quei paesi). Poi guardiamo i grandi
risultati, il livello macro: non c’è un paese che abbia migliorato le proprie
condizioni grazie alla cooperazione del nord. Di fatto si tirano fuori solo
quelli che sono abbastanza grossi da poter alzare la voce, il Brasile, la Cina
e pochi altri. Ma anche loro restano sotto il controllo economico e finanziario
del nord e se vogliono entrare a far parte del gruppo, allora devono accettare
le regole imposte da organismi nei quali non hanno ancora voce in capitolo
anche se, a volte, ne controllano il posto di comandante, come alla OMC.
Una constatazione amara, ma questo non vuol dire che ci sia
tutto da buttar via. Uno sforzo enorme resta da fare per far capire ai
cittadini del nord cosa significhi quella cooperazione che stanno finanziando
con le loro tasse. E’ come la storia del “gender”: non serve parlarne a
consessi di donne, bisogna parlarne anche e soprattutto agli uomini. Stessa
storia qui: la cooperazione va spiegata al nord per poterla cambiare e che
possa un giorno essere strumento indipendente di aiuto ai popoli che ne hanno
bisogno.
Il tema molto di moda adesso è la governanza. Si è deciso
che il mondo soffre di cattiva governanza e quelli del sud ancora di più.
Perfetto. Peccato che quelle istituzioni che si sono salvate dagli
aggiustamenti strutturali siano le stesse che non ricevono fondi dai governi
dato che non ne hanno e che preferiscono mettere i pochi soldi che hanno nell’acquisto
di armi da guerra (ricordo che l’essenziale dell’industria bellica sta nel nord
economico del mondo). Istituzioni deboli, che andrebbero rafforzate. Giusto, ma
allora ci sono punti centrali: il primo riguarda il fatto che questo è un
problema tanto del nord come del sud. Dalla Norvegia (con i maltrattamenti al
popolo Sami) al Botswana (per le stesse ragioni, contro i popoli Bushmen). Ci
siamo anche noi in mezzo, italiani brava gente. Abbiamo istituzioni a pezzi, e
cosa ci viene detto: di tagliare fondi, di qua e di là. Quindi per rafforzare
delle istituzioni seriamente, bisognerebbe innanzitutto risanare la Banca e il
Fondo, e poi appoggiare quei pochi paesi indipendenti del sud, come lo era il
Burkina Faso di Tomas Sankara, e slegare la cooperazione dagli interessi della
politica estera. Rimettere al centro la gente e non gli interessi.
Lungo
cammino, ma è importante tracciare la via per chi verrà dopo di noi.
giovedì 6 novembre 2014
2014 46: Vertigo - Ahmed Mourad
Marsilio, 2012
Al bar Vertigo, locale notturno alla moda, ritrovo per la gente che conta del Cairo, Ahmed Kamàl assiste per caso all'omicidio di due noti uomini d'affari. Fotografo di professione, imprime le immagini della strage sulla pellicola, ed è pronto a farle pubblicare, ma si rivolge al giornale sbagliato: i media del paese sembrano puntare a molta apparenza e poca verità. Intrappolato in una rete di giochi di potere, Ahmed per un po' trova riparo in un locale notturno, popolato da ballerine del ventre e attricette in cerca di gloria, accanto a uomini d'affari e politici: gente influente, persone che al mattino sulle pagine dei giornali sono nemiche, e di notte diventano alleate nel gioco delle parti, tutte riunite nello stesso locale in cerca di donne e alcol, a ostentare la propria ricchezza. Testimone scomodo, Ahmed tuttavia non intende tacere... Accolto in Egitto con grande entusiasmo all'arrivo della primavera araba, Vertigo denuncia il malcostume del paese, senza mai rinunciare all'ironia. Con il suo ritratto schietto di una polizia di stato losca e vendicativa e di una classe politica corrotta, Mourad racconta la difficoltà di trovare un vero modello per le nuove generazioni, il disordine che pervade la nazione, lo stato di vertigine perpetua in cui si confondono ruoli e concetti, dove chi difende i valori morali può subito dopo essere sopraffatto dal proprio interesse personale. Ma tutto questo non gli impedisce di affidare alle sue pagine un messaggio di speranza per i giovani...
bel libro, facile lettura, un giallo interessante anche se capisci che andrà a finire bene... è un po' questo il limite di certi romanzi gialli dove si vuol essere vicini alla realtà ma poi non si sfugge all'idea di far vincere il nostro eroe... peccato che la vita reale sia un po' diversa...
domenica 2 novembre 2014
2014 45: Et si l'aventure humaine devait échouer - Théodore Monod
Grasset, 2002
L’histoire humaine, c’est celle d’une espèce qui peu à peu prend le pas sur les autres. L’homme invente l’outil, maîtrise le feu, explore, conquiert, comprend. En quelques millénaires d’une progression fulgurante, il devient le roi de la création.
Pourtant, cette histoire peut prendre fin. En déséquilibrant son rapport avec la nature, en s’engageant dans l’aventure criminelle et folle du nucléaire, l’homme démontre aussi son incapacité à dépasser en lui la pulsion de violence et de mort. Oui : aujourd’hui, nous le savons, l’aventure humaine peut échouer.
Géologue, botaniste, archéologue, homme d’engagement et de foi, Théodore Monod aborde ici cette question dans toutes ses dimensions. Le savant éclaire les rapports profonds et complexes entre l’homme et la biosphère. Le croyant nous incite à devenir vraiment humains ; le militant de la non-violence, à nous révolter contre la folie des gouvernements, et aussi contre notre propre passivité…
En ce début de millénaire, cet essai rigoureux, écrit à l’intention d’un large public, donne quelques repères essentiels. Et s’il sonne l’alarme, il nous rappelle aussi qu’il reste une place pour l’espérance.
Molti spunti di riflessione anche per il mio lavoro attuale. La parte sulla parità con gli animali è un po' dura da digerire, bisognerà tornarci sopra...
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