Malgrado le tante e giuste lamentele che sorgono da più parti, le domande di fondo sui temi cruciali, mai affrontati seriamente e con vera volontà politica, rimangono intatte: come mai siamo arrivati alla fine del 2022 senza dare attuazione al referendum sull’Acqua Bene Comune di tantissimi anni fa? Come mai i diritti LGBT, anche nella versione smorzata del DDL Zan sono morti prima di diventare legge? Come mai manca completamente un’agenda femminista all’interno dei partiti di “sinistra” (PD, SI, Verdi e compagnia cantando)? Come mai non si è mai voluto fare una riflessione seria su come abbiamo distrutto il mondo contadino, da noi in Europa e nello stesso tempo nei Sud del mondo, così da trovarci impelagati in una discussione senza fine sui “clandestini”? Come mai i “lager” in Libia li hanno aperti Minniti e Gentiloni, pezzi da novanta di questo PD che si erge a partito di sinistra? Come mai i danni della tragedia del ponte Morandi non li pagheranno i Benetton ma i contribuenti italiani, grazie alle brillanti azioni dei governi dove sedeva il PD?
Ne avremmo centinaia di domande sul perché non hanno fatto nulla in questi tanti, troppi anni al potere, sempre pronti ad occupare poltrone e sempre più lontani dalle realtà locali.
Una casta maschilista e arrivista che, si spera, verrà finalmente spazzata via dopo esser riuscita nell’intento di far arrivare al potere la destra più estrema che abbiamo mai avuto.
Se non si fa pulizia adesso, allora quando?
Vogliamo sul serio lasciare il paese in mano a questa banda di nani e ballerine (con tutto il rispetto per entrambi), una accozzaglia di gente che guarda al futuro con l’occhio sul retrovisore. Il fatto che gli italiani li abbiano votati, in particolare i fascisti della Meloni, è solo un sintomo di quanto siamo messi male. Ma la colpa di tutto questo non è, come pretende Calenda, del popolo italiano, ma di una offerta politica dall’altra parte che non era minimamente all’altezza. Non aver ancora capito che continuare a fare politica per la metà dell’umanità, quella maschile ovviamente, non porterà mai a nulla di buono per i progressisti, e che è da lì che si deve iniziare. E invece tutti a evitare il punto nodale di un patriarcato che struttura la nostra società fino agli ultimi angoli più reconditi, e spostare l’attenzione su tutte quelle promesse fatte e rifatte mille volte negli anni e decenni passati.
Il giornale Domani si propone di essere un possibile facilitatore di questa riflessione che, con l’eliminazione del PD (e, suggerisco io, degli altri cespugli che sono solo dei micro centri di potere personali, come quello di Bonelli e Fratoianni, per non parlare dell’Unione di De Magistris), parta da quei cambi societali che sono la base di una futura società democratica. Se vogliamo andare verso un rapporto di rispetto ed equilibrio con Madre Natura, dobbiamo innanzitutto rompere quelle asimmetrie di potere patriarcale tra uomini e donne, a cominciare dall’ambito famigliare per continuare poi in tutti gli altri. Aprirsi agli altri vuol dire pensare il nostro (di piccoli italiani) futuro come parte di un unico mondo, questo pianeta che continuiamo a martoriare schiavi come siamo di una cultura individualista e capitalista che trova le sue basi nel patriarcato maschilista. A nulla serve di gridare contro il capitalismo e la finanza se non ci battiamo prima contro il patriarcato. Da buon geometra, a me hanno insegnato che prima ci si occupa delle fondamenta e dopo si tirano su le pareti. I nostri leader progressisti, maschi, non hanno mai voluto capire questa realtà, e parlo sia di quelli del giro PCI, PSI, DC e compagnia, ma anche dei lider della sinistra extraparlamentare, tipo il professore di Padova Antonio Negri, che si rifiutava ad accettare le analisi che Mariarosa Dalla Costa portava all’interno del gruppo di scienze politiche.
50 anni dopo ritroviamo la stessa grettezza all’interno dei movimenti sociali contadini, che nella maggioranza, continuano a ripetere che le questioni di genere sono una contraddizione secondaria del capitalismo, per cui la lotta va fatta prima e innanzitutto contro il capitalismo, il resto seguirà. Da questa cecità storica, che viene dai padri fondatori del pensiero comunista, discendono le scelte fatte nei decenni dal mondo progressista italiano, europeo e mondiale, di non voler mai attaccare la base del problema.
Bene, grazie a questa insipienza, siamo arrivati che, malgrado loro, una donna arriverà, finalmente, ad essere nominata Primo Ministro. Il colmo è che questa donna è la Meloni, post (ma neanche tanto) fascista dichiarata.
Questa sinistra bisognerebbe buttarla nel cesso e tirare lo sciacquone, e forse allora potremmo sperare di poter sederci a discutere di cosa, come e con chi costruire qualcosa che faccia politica progressista, per i figli nostri e di chi qui è venuto a vivere e lavorare.
Spes ultima dea, come al solito. Ma con queste resistenze da parte dei usual suspects, ho l’impressione che farò prima a celebrare la seconda stella sulle maglie dell’Inter prima che qualcosa cambi.
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