Si è aperta in Egitto l’ennesima riunione della Convenzione delle Parti (COP) per discutere di cambio climatico e di finanza associata. Da quanto ci dicono gli esperti, l’obiettivo ambizioso di contenere le temperature entro i +1,5°C per la fine del secolo non sarà raggiunto e senza una inversione di rotta con le politiche attuali a fine secolo ci sarà un aumento della temperatura di 2,8°C.
Dei 193 paesi partecipanti, solo 39 hanno consegnato piani più stringenti per la riduzione delle emissioni. Insomma, siamo partiti malissimo e le speranze si affievoliscono ogni giorno che passa. La piccola Greta è cresciuta, e si è finalmente accorta che andare a dire qualcosa quando questo circo Barnum si riunisce, non serve a nulla, per cui resterà a casa sua.
Ben venga questa presa di coscienza di Greta, ma non andare alle COP non basta. Cerchiamo di capire perché, come è impostato il problema, difficilmente potrà essere risolto.
Il metodo che propongo di applicare è quello dell’analisi comparata, così da prendere spunto da altre grandi cause umanitarie per capire se si è imparato qualcosa dagli insuccessi del passato, così da intraprendere una strada nuova e diversa.
L’esempio per me più facile è quello della fame nel mondo che meritò la creazione della più grossa agenzia tecnica delle nazioni unite, la FAO, nel lontano 1945.
Da allora non sono mancati gli sforzi, come la Freedom from Hunger Campaign, lanciata nel lontano 1960. Erano gli anni della decolonizzazione e della volontà affermata dall’Occidente, di voler sconfiggere la fame nel mondo sulla base dello stesso paradigma che aveva permesso di eliminarla nei paesi dell’Europa dell’Ovest nei 15 anni precedenti. Scienza e tecnologia erano i pilastri di quella filosofia, da applicare nel resto del mondo, sulla base di un paradigma economico basato sulla supremazia del nord, del mercato, e della ricerca applicata nelle nostre università. I Sud del mondo, che pochi anni prima erano diventati “sottosviluppati” e “terzo mondo”, erano il bersaglio di una lotta per la supremazia politica nello scontro tra Est ed Ovest.
Scienza e tecnologia promettevano miracoli, in particolare con la mitica rivoluzione verde. Da allora siamo andati avanti su questa strada, pensando che un’agricoltura sempre più “moderna”, intensiva in capitali, con filiere controllate interamente da grossi conglomerati, e con invenzioni sempre più mirabolanti, come gli OGM, avrebbe risolto il problema della fame nel mondo.
Non è stato così. A mano a mano che i metodi di stima si perfezionano, le cifre impietose continuano a darci quasi 900 milioni di persone affamate. Non parliamo poi della povertà, che ha dimensioni bibliche, nonostante gli sforzi della Banca mondiale e affini per mascherare questa realtà.
La fame non è stata debellata, i contadini invece quasi sì. Trasformati sempre più in operai massa, avendo perso il controllo delle operazioni, indebitati fino all’osso, si suicidano regolarmente nei paesi del Sud, quando non riescono a emigrare altrove e trasferire la loro miseria nelle periferie desolate del Sud e del nord.
Scienza e tecnologia. Ecco il problema. Una religione che non ha mantenuto le sue promesse. Eppure si sapeva fin dal lontano 1946 come attaccare il problema fame. Josué De Castro aveva appena pubblicato il suo Geografia della Fame, mostrando il legame strettissimo tra fame e struttura agraria, cioè latifondismo e schiavitù nei campi.
Ma applicare una ricetta diversa non era possibile da parte di quei paesi (e di quel paese in particolare) che aveva(no) fatto della Scienza e Tecnologia il nuovo credo del loro modernismo.
Spiace constatare che, malgrado gli scarsi risultati raggiunti, la ricetta alla base della lotta contro il riscaldamento globale sia ancora quella della scienza e tecnologia. Sappiamo bene che si tratta di cambiare paradigma di società, e non solo di mettere più efficienza economica nel nostro sistema, lo sappiamo ma alla fine continuiamo ad eleggere come nostri rappresentanti delle persone che non osano proporre nulla di nuovo. Oggigiorno, Sud e Nord del mondo seguono la stessa strada, una strada che ci porterà contro il muro della realtà e allora ci faremo male.
La situazione forse è ancora peggio rispetto alla questione della fame nel mondo. La differenza sta nel ruolo sempre più grande che il settore finanziario e le grandi corporations hanno assunto nella condotta degli affari mondiali. Si tratta di entità che non rispondono a nessuna “constituency”, il loro Dio è il denaro e per accumularne sempre di più tutto è lecito. Sono peggio delle mafie, perché queste ultime sono parassiti degli Stati, mentre finanza e corporations oramai dettano loro la legge agli Stati non più sovrani.
Questa e le prossime COP non potranno fare granché perché chi tira le fila del mondo sono sempre meno i governi, e sempre più quel mondo autoreferenziale del business e della finanza. Come l’abbiamo visto con il recente World Food Systems Summit, queste entità si stanno impossessando anche del sistema delle nazioni unite, rendendo ancora più vuote queste riunioni delle parti.
Vorrei tanto finire su una nota di speranza, ma la vedo dura oramai. Il fallimento della lotta alla fame, associato al fallimento della lotta contro la povertà (non l’estrema povertà così cara alla Banca mondiale, ma la povertà misurata con un reddito inferiore ai 10 dollari al giorno, 300 euro al mese, così inglobiamo i 2/3 dell’umanità), sono temi oramai dimenticati. Adesso il buzz è il riscaldamento globale, ma finché si continueranno a proporre le stesse ricette fallimentari, non ci resterà nemmeno la speranza.
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