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lunedì 26 febbraio 2024

2024 L10: Peter May - Il rumore del ghiaccio



Einaudi, 2023

Tra i ghiacci che ricoprono ormai da tempo le Highlands scozzesi, una giovane meteorologa si imbatte nel cadavere di uno sconosciuto. Il mondo sarà anche cambiato ma gli uomini no, e le ragioni per uccidere restano sempre le stesse.

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Molto bello, sicuramente candidato alla Top

domenica 25 febbraio 2024

Crisi dei "trattori": un ragionamento a spanne di domenica pomeriggio

Stime pubbliche sulla distribuzione dei fondi pubblici della PAC indicano che l’80% delle risorse assegnate vadano al 20% dei beneficiari. 

Nel caso italiano, considerando il budget 2023-2027, si parla di 4,5 miliardi che vanno a questa minoranza (per esempio l’Istituto del vino di qualità – Grandi Marchi; o le Distillerie Bonollo, giusto per citarne qualcuno).

 

Se questa montagna di soldi venisse destinata all’agricoltura contadina, ci sarebbero fondi a sufficienza per facilitare la transizione ecologica di centinaia di migliaia di aziende. 

 

Ovvio che a questo andrebbero aggiunte le altre misure di cui ho già scritto (http://paologroppo.blogspot.com/2024/02/vi-dico-perche-anche-per-gli.html).

 

Ma qualcuno di voi può credere che i rapporti di forza saranno realmente cambiati con una classe politica (e non parlo solo di questo governo, ma di tutti quelli che si sono succeduti negli ultimi 50 anni) che o non ha voluto capire l’importanza dell’agricoltura contadina per la nostra tavola, la nostra salute e per i nostri territori, oppure l’ha considerata solo come una base elettorale da sfruttare contro nemici immaginari a BXL?

 

I trattori in strada li rivedremo ancora, sempre meno perché intanto spariscono; la nostra salute peggiorerà, e i territori (suoli, acqua, biodiversità) continueranno a peggiorare. 

 

martedì 20 febbraio 2024

Vi dico perché, anche per gli agricoltori, non cambierà nulla (in meglio)


 Incontri, dichiarazioni pubbliche, tavoli tecnici, promesse di rimangiarsi decisioni già prese (tagli fiscali) e, asso nella manica, ribadire che è tutta colpa di Bruxelles: insomma il governo fascio-leghista le sta tentando tutte pur di venir fuori dalle proteste varie dei “trattori”. Una possibile via d’uscita passerebbe per tre (più una) mosse che, anche se non necessariamente avrebbero vita facile nell’Italia e nell’Europa attuale, rappresentano tre pilastri chiave per un futuro diverso e migliore.

 

La prima riguarda la ripartizione dei fondi PAC. Ricordiamo che i criteri di ripartizione attuale non li hanno mica decisi gli algoritmi dell’intelligenza artificiale oppure quattro amici al bar, ma i responsabili dei governi membri della UE tra cui, ovviamente, il nostro. Che questi criteri favorissero i più grandi, lo sapevamo da molti anni, ma non ricordo una proposta di nessuno dei governi italiani degli ultimi 50 anni, che andasse in una direzione diversa. Magari mi sbaglio e, in tal caso, faccio ammenda.

 

Qui si tratterebbe di escludere totalmente dai sussidi tutte le grandi aziende, al di sopra di un certo livello di reddito, dimensioni o altro. Una negoziazione non facile, dato il peso della lobby agricola a Bruxelles, ma che libererebbe una quantità non indifferente di risorse. Le grandi aziende, se stanno in piedi perché sono ben gestite, allora imparerebbero sulla loro pelle cosa vuol dire il “libero mercato” di cui tanto si vantano. Quel libero mercato che permette loro, grazie ai cospicui aiuti PAC, di esportare a prezzi di dumping, rovinando le agricolture contadine del Sud.

 

Il secondo passo riguarda la riallocazione di quelle risorse alle agricolture contadine, facendole respirare ma, soprattutto, aiutarle nella transizione verso l’agroecologia. Parte importante di questa mossa sarebbe la lotta, a livello europeo inizialmente, per vietare l’uso di veleni come il glifosato (che ha tanti amici dentro e fuori Bruxelles). Ovviamente, c’è anche bisogno di una azione incisiva, lenta, difficile ma fondamentale, per rendere i criteri ecologico-sanitari più stringenti non solo per le produzioni europee ma anche, e soprattutto, per quelle importate. Per facilitare scambi e partenariati commerciali si potrà usare la leva dei dazi doganali, ma il criterio base dovrà diventare quello dell’equivalenza delle norme ecologico-sanitarie per tutti. 

 

Il terzo passo, oltremodo difficile, riguarda la creazione di prezzi minimi, a partire dai costi di produzione delle agricolture contadine, per prodotto e territorio, così da rafforzare il loro potere negoziale ed impedire le gare al ribasso manipolate dalla Grande Distribuzione Organizzata.

 

Tra gli effetti possibili di queste misure possiamo contare: un aumento del reddito degli agricoltori (maschi e femmine) delle aziende contadine, nonché un aumento della transizione verso l’agroecologico (che, ripetiamolo, se non si accompagna anche a misure di uguaglianza di altro tipo, in particolare di genere, resta solo una tecnica meno intrusiva e nulla più, cioè NON è una misura “di sinistra”!). È ragionevole pensare che la GDO cercherà di trasmettere i costi più alti (per lei) nel prezzo finale al consumo, ma anche su questo sarebbero possibili misure di politica pubblica per ridurre le filiere e i profitti generati dai molti intermediari.

 

Fuor di dubbio che se si vuole fare una vera transizione verso il mangiar meglio, serviranno anche politiche salariali espansive. Nel settore agricolo i controlli contro il lavoro nero e caporalato andrebbero estesi a tappeto dato che, con i maggiori sussidi e i prezzi minimi garantiti, non ci sarebbero più scuse per questo sfruttamento. Negli altri settori, industriale, commercio etc. anche il nuovo governatore della Banca d’Italia Panetta insiste nella necessità di aumentare i salari. In teoria quindi si può ragionare su questo tema. Ovvio comunque che anche una politica culturale diretta a far capire cosa siano le spese essenziali per vivere bene (mangiar bene per stare in salute) e le spese voluttuarie che rispondono ai capricci della pubblicità e degli/delle influencer, andrebbe fatta. 

 

Una delle scuse che viene spesso accampata, in Italia ma anche altrove, appoggiandosi al lavoro fatto dalle lobby dell’agribusiness a livello ONU, è che senza le grandi aziende non si riuscirebbe ad aumentare la produzione di cibo del 70% entro il 2050 come dice la FAO, livello necessario per alimentare una popolazione mondiale in crescita. La stessa FAO (in realtà sono altri gruppi di potere, meno forte del primo) indica però che già adesso la produzione mondiale di alimenti è eccedentaria rispetto ai bisogni nutrizionali. Si calcola che il 14% circa della produzione alimentare sia perso, abbastanza per nutrire 1,3 miliardi d persone. In altre parole, cibo ce n’è, il problema chiave è l’accesso al cibo, non la sua produzione. Quindi anche se noi europei producessimo meno, non cambierebbe granché, finché non cambiamo il modo di produrre e non aumentiamo il potere d’acquisto delle classi popolari e medie.

 

Togliere soldi alle grandi aziende non significa che andranno tutte in malora, ma solo che ridurranno una parte dei loro profitti e che ripenseranno le loro strategie di esportare e conquistare mercati grazie alle sovvenzioni europee.

 

Questo circolo virtuoso potrebbe poi essere accompagnato da una proposta, questa sì ambiziosa, di aiutare le agricolture contadine del Sud a rafforzarsi. Questo significa rivedere le politiche liberticide per cui i nostri prodotti entrano nei loro mercati con pochissimi dazi, facendo concorrenza sleale. Vuol dire anche pensare a un mondo dove le contadine e i contadini possano vivere degnamente del loro lavoro a casa propria, senza bisogno di migrare altrove. Dico che questa mossa è la più ambiziosa perché, culturalmente, le elite al potere nei paesi del Sud sono, tendenzialmente, tutte contro all’agricoltura contadina che considerano cosa d’altri tempi e non “moderna”. Un’agricoltura che, avendo bisogno di meno meccanica e chimica, riduce anche le possibilità di mazzette e corruzioni varie. Quindi lanciarsi su questa strada vuol dire pensare a un futuro diverso, ma che non vedremo nei prossimi anni. Ma va fatto.

 

Come scrivevo giorni fa, un cambio strutturale del nostro sistema agricolo, a parte la possibilità di rivalorizzare su scala non miniaturizzata le tante varietà locali di tutti i prodotti possibili che abbiamo in Italia, così rendendo più forti e stabili tantissimi territori del nostro paese, avrebbe anche delle ricadute (oltreché lavorative) in termini di salute, riducendo i morti per avvelenamento, tumore e infezioni varie dovute alla chimica. La biodiversità ne trarrebbe vantaggio e finalmente potremmo tornare a passeggiare in campagna senza paura di respirare glifosato.

 

Insomma, un mondo difficile da costruire, ma possibile. Questo però significherebbe mettere davanti i più deboli, i più precari, quelle persone con meno potere. E allora gli occhi vanno su un altro settore, emblematico dello sfruttamento capitalistico attuale, quello dei raiders: capita così di leggere che la direttiva che avrebbe garantito diritti fondamentali ai lavoratori delle piattaforme, a cominciare dai rider, è stata bloccata da un ristretto numero di Paesi Ue con, in testa, Francia e Germania. Un governo di destra (Macron) e uno “semaforo” (Socialdemocratici-Verdi e Liberali) in Germania: tutti uniti nel fregarsene di chi è povero e non ha tutele.

 

E allora, se tanto mi da tanto, non vedo ragioni per pensare che anche nel mondo agricolo non cambierà nulla. 

 

 

domenica 18 febbraio 2024

2024 L9: Cristina Cassar Scalia - La banda dei causi

 

Einaudi 2023

In una mattina di aprile, alla Playa, l’unica spiaggia sabbiosa di Catania, viene scoperto il cadavere di Thomas Ruscica, qualcuno lo ha ucciso con un colpo di rastrello alla testa. Thomas era uno dei «carusi» di don Rosario Limoli, parroco di frontiera che opera nel difficile quartiere di San Cristoforo. Vanina lo conosceva: un ragazzo con una famiglia e un passato pesanti alle spalle, però determinato a rifarsi una vita e ad aiutare altri come lui. Criminalità organizzata o delitto passionale? Questo è il dilemma che da subito si trova davanti la polizia. Finché gli indizi non cominciano a convergere tutti sulla stessa persona. Eppure né Vanina, né il suo vice Spanò, né l’inossidabile commissario in pensione Biagio Patanè, di cui alla Mobile nessuno può piú fare a meno, credono alla sua colpevolezza. Per scagionarla saranno pronti, ognuno a modo proprio, a trascurare o a mettere in gioco anche la loro vita privata.

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Questa autrice mi piace sempre di più, potrebbe essere candidato alla Top

mercoledì 14 febbraio 2024

Il genocidio è di destra o anche di sinistra?


 Mancano poche settimane/giorni alla fatidica data del 6 aprile quando si ricorderanno i 30 anni dall’inizio ufficiale del genocidio ruandese. Non so quanti, fra le nuove generazioni, ne ricordino le efferatezze: quasi un milione di Tutsi massacrati dagli Hutu con l’appoggio militare e la copertura politica della Francia, allora governata dal socialista Mitterand.

 

Un documentario visto recentemente su Youtube mi ha stimolato queste righe. Sono giorni nei quali si dibatte, in maniera molto accalorata, sulla natura genocidaria di quanto Israele sta facendo contro la popolazione civile della striscia di Gaza. Le opinioni pubbliche si dividono, convinte ci sia un fronte progressista contro uno conservatore.

 

Magari fosse così semplice. 

 

Saranno gli anni, o le raccomandazioni di professori e di un fratello che da sempre lavora sulla Memoria, ma anch’io prima di buttarmi nella contenda mi guardo indietro. 

 

E allora penso a quanto fecero i turchi contro gli armeni, il primo genocidio/olocausto (anche se alla Turchia non piace ricordarlo) dell’era moderna.  Un milione e mezzo di morti, che ancora oggi chiedono giustizia. Poi ci pensò il comunista Stalin, con l’holodomor compiuto in Ucraina nel 1993 che causò 5 milioni di morti secondo la storica americana Anne Applebaum. Per quanto riguarda quest’ultimo, è da ricordare che il gruppuscolo di Marco Rizzo, che pretende essere il vero continuatore del Partito Comunista (mantenendone il nome), ancora oggi continua a negare che sia mai occorso tale genocidio (https://ilpartitocomunista.it/holodomor-la-storia-al-servizio-della-propaganda/).

 

Poi arrivò Hitler e, grazie ai suoi crimini contro il popolo ebraico (ma non solo, zingari e omosessuali sono finiti nell’oblio della storia assieme a tutti gli oppositori politici passati nelle camere a gas), si arrivò a coniare il termine “genocidio” definito, nelle carte ONU, come «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».

 

In epoca più recente, altri genocidi sono stati commessi: oltre tre milioni di cambogiani inermi furono eliminati nella seconda metà degli anni 70 (ricordate il film “The Killing Fields” – in italiano “Le urla del silenzio”?) dal regime di Pol Pot e i suoi Khmer rossi, seguaci del Partito Comunista della Kampuchea. I racconti entusiastici della stampa progressista francese (http://www.ciremm.org/wp-content/uploads/2015/06/Pages-de-PUB-Cambodge-le-génocide-effacé-pierre.pdf) ci lasciano ancora oggi con un gran amaro in bocca.

 

Per restare nella regione, ci sarebbe anche il massacro, da molti definito “genocidio” realizzato dal presidente/dittatore Suharto nei confronti di oppositori, militanti del Partito Comunista, con mezzo milione di vittime.

 

Il “grande balzo in avanti del “compagno” Mao, con i suoi 30 milioni di morti (media tra i valori di 15 e 55 riportati dai media), avrebbe meritato il primo posto ma, tecnicamente, non si può considerare come genocidio, ma solo un disastro economico (e poi vatti a fidare degli economisti …).

 

Il genocidio ruandese, col suo milione di morti, viene ricordato perché si è svolto sotto i nostri occhi. Il fatto che fosse un presidente socialista, il tanto amato Mitterand, ad appoggiare politicamente e militarmente, i genocidari, è una ferita che brucia ancora e che molti, a sinistra, hanno delle difficoltà ad accettare (https://www.mediapart.fr/journal/france/060621/le-genocide-des-tutsis-au-rwanda-et-l-honneur-perdu-de-la-gauche-en-france).

 

Ed eccoci ai nostri giorni: per alcuni Israele sta portando avanti un genocidio, per altri è solo una legittima difesa. Resta il fatto che l’accusa di genocidio è stata formulata, su richiesta del Sudafrica, davanti alla Corte Penale Internazionale, dando una visibilità nuova a questa parola.

 

Ebbene, allora chiediamoci se il genocidio è di destra o, anche, di sinistra. Le evidenze storiche sono abbastanza chiare, per cui secondo me non c’è dibattito. Ma la questione potrebbe essere guardata anche da un altro angolo, quello di genere. Che lo si voglia o no, tutte queste efferatezze, compreso il grande balzo in avanti, sono stati commessi da uomini che si credevano al di sopra di tutto e di tutti. La logica del dominio, nata col patriarcato, si estrinseca quasi sempre nella violenza fatta agli altri (e alle altre). Dominare, sottomettere in casa, nella comunità, nello Stato o ancora più su, tutto quello che loro decidono essere di qualità inferiore: la donna, il diverso, il nero, l’arabo, l’ebreo e avanti così.

 

Magari penserete che ritorno sempre a battere sullo stesso tema, ed in effetti è così. Se vogliamo realmente credere che un mondo diverso, e migliore, si possa costruire, questo va pensato a partire dalle piccole cose, dai piccoli spazi, cioè da dentro i nostri rapporti interpersonali. 

 

Lottare contro il patriarcato serve per ridurre le asimmetrie di potere, far capire agli uomini che devono uscire dalla logica del dominio, (sugli altri esseri umani e sulla natura), abbassare la cresta ed entrare in una logica di empatia, di un cammino verso gli altri che non significa altro che rispettare la diversità e la differenza, per imparare, con calma, pazienza e costanza, che solo così avremo un futuro. Altrimenti, quale che sia il nostro colore politico, aspettiamo il prossimo genocidio e poi facciamo finta di esserne sorpresi.

 

 

 

venerdì 9 febbraio 2024

Trattori, agricoltori, crisi

 

Capirci qualcosa nella protesta degli agricoltori non è cosa facile, come scriveva Il Post alcuni giorni fa (https://www.ilpost.it/2024/02/02/proteste-agricoltori-italia-richieste/). Cerchiamo di andare per punti, il primo dei quali è: di chi stiamo parlando. I numeri sono conosciuti e sono stati ricordati: più di 1 milione e centomila aziende attive (ottobre 2020 -Istat) che, comparate con quelle del 1982, indicano che due aziende su tre sono scomparse. Se poi andiamo ancora più indietro, al primo censimento Istat del 1961, allora erano circa 4 milioni e 300 mila. Per semplificare il discorso possiamo prendere quella data come l’inizio della accelerazione della cosiddetta modernizzazione del settore agricolo.

 

Ricordiamo che noi, come altre regioni dell’Europa, uscimmo dalla seconda guerra in brache di tela, come dicono dalle mie parti, cioè con una mano davanti e l’altra dietro, insomma: fame!

 

L’arrivo degli americani, con l’inizio della guerra fredda, ci ha portato a giocare nel loro perimetro che, nel settore agricolo, era molto più sviluppato di quello nostrano europeo. Dimensioni delle aziende maggiori, meccanizzazione spinta, infrastrutture stradali, elettriche diffuse ovunque, assistenza tecnica pubblica (gratuita), una presenza già elevata di prodotti chimici (fertilizzanti e pesticidi) e una ricerca agricola che aveva messo a disposizione varietà migliorate molto più produttive delle nostre.

 

La questione dei prodotti chimici merita una piccola nota. Munizioni ed esplosivi necessitavano grandissime quantità di azoto e fosforo che, alla fine delle ostilità, si sono ritrovate nei magazzini dello zio Sam. Insistere per la chimizzazione dell’agricoltura, americana ed europea, era una maniera semplice di liberarsi delle enormi scorte disponibili. La chimica si portava dietro la meccanica (trattori e compagnia) e la ricerca di varietà nuove che sfruttassero questi prodotti, col risultato che il differenziale produttivo fra un farmer americano e uno del mediterraneo era, all’epoca, di 30 a 1. Finché si giocava in campionati diversi, loro di là e noi di qua dall’oceano, non ci si preoccupava troppo.

 

La fine della guerra però portò anche una forte accelerazione dell’integrazione dei mercati dei paesi occidentali (il Sud del mondo era ancora colonia e quelli dell’Est non avevano neanche gli occhi per piangere). Mercato unico significava dover competere gli uni contro gli altri e su questo torneremo in seguito.

 

La trasposizione del modello americano a casa nostra (europea), funzionò molto bene e in soli 15 anni passammo da una situazione di morti di fame (esagerando eh!) a potenza autosufficiente. Vero è che la spinta americana venne colta in modo diverso da paese a paese. Ci furono paesi, come la Francia per esempio, che spinsero per aumentare le superfici medie delle aziende, facilitando l’ingresso massiccio della chimica e della meccanica, e mettendo la ricerca pubblica al servizio di questo modello: ridurre le varietà (e la biodiversità) a favore di poche varietà con caratteristiche simili che si potessero meccanizzare. Il concomitante sviluppo industriale permise di recuperare la mano d’opera contadina in uscita dal settore, il tutto accompagnato da politiche pubbliche settoriali (remembrement), frutto di una visione che, può piacere o meno, andava verso la creazione di un settore di agri-business che potesse competere con quello, in espansione, americano.

 

Noi seguimmo un’altra strada, senza visione di futuro ma centrata sui benefici elettorali immediati per il partito al potere, la DC. La paura del Partito Comunista era la scusa principale, soprattutto alla luce anche dei moti agrari nel Sud e la spinta per una riforma agraria. La Coldiretti di Bonomi si incaricò di irregimentare gran parte del mondo agricolo fatto di piccole e piccolissime aziende, così da renderle dipendenti dalle prebende del potere politico. Non si cercava la dimensione economica che potesse competere nel nuovo mercato che iniziava a formarsi (europeo e mondiale) ma di tenersi stretta una massa di voti che, negli anni d’oro, arrivò ai 5 milioni (per mamma DC). Dinamiche che ho visto personalmente all’opera, avendo lavorato durante gli anni dell’università, nella sede provinciale di Vicenza della Coldiretti.

 

Gli anni 60 vedono l’inizio della competizione tra questi due agro-sistemi: americano (già ben formato) ed europeo (in via di formazione). Competizione che, a mano a mano che si aprivano nuovi mercati nei vari Sud del mondo, diventa sempre più brutale, usando mille trucchetti per fregare l’altro. Noi europei però avevamo iniziato anche una competizione interna, a scapito di paesi, come quelli dell’area mediterranea, che avevano preferito il bonus politico all’onere di politiche di modernizzazione come i paesi oltralpe.

 

Ecco perché in pochi decenni, il differenziale produttivo tra gli i più forti e gli altri, si è allargato a livelli stratosferici. Stime di quasi una trentina di anni fa davano un gap di 1 a 500 (produttività netta) fra i più produttivi (del nord) e quelli dei PVS. Noi, italiani, eravamo la in mezzo, con un differenziale che è aumentato nei confronti di paesi come la Francia. Non parlo nemmeno del differenziale interno, fra pianura padana e zone agricole del Sud. 

 

Per chi ha buona memoria, quegli sono gli anni dei Montanti Compensativi Monetari, sovvenzioni o imposizioni applicate alle transazioni commerciali di prodotti agricoli tra i paesi membri della Comunità europea in ossequio alla politica agricola comunitaria. Il ricordo personale va alle montagne di frutta che veniva distrutta con i trattori (eh sì, sempre quelli), per mantenere i prezzi stabili.

 

La logica nostra era sempre la stessa: votare la DC in cambio di qualche protezione, prima del bilancio pubblico e poi dalla PAC. La nostra presenza a Bruxelles rasentava il ridicolo, come ben sanno gli specialisti di una certa età: arrivammo a presiedere (1970), per la prima volta, la Commissione europea con Franco Maria Malfatti, il quale preferì mollare tutto poco più di due anni dopo (1972) per concorrere alle elezioni italiane, lasciando uno spazio che altri occuparono meglio di noi (olandesi e francesi). I paesi forti facevano lobbying agguerrite (e portavano a casa leggi, sussidi e quanto altro gli servisse), e a noi restavano le briciole. 

 

Con la caduta del Muro (1989) e la dissoluzione dell’URSS (1991) la situazione non cambiò molto, in superficie. In realtà la presa di potere delle grosse multinazionali dei vari settori (chimici, meccanica…) era già diventata evidente per chi volesse vederla, così come i danni all’ambiente e alla salute che il sistema agricolo dominante nel nord infliggeva a tutti e a tutte, contadini/e o meno. Non parlo nemmeno della distruzione sistematica delle agricolture del Sud che, grazie alla dominazione dell’agribusiness americano ed europeo, accompagnato da politiche protezionistiche allo scopo di farci la guerra tra di noi, impedirono qualsiasi possibilità di creare dei sistemi agrari solidi ed indipendenti nel Sud del mondo.

 

Arriviamo quindi ai giorni nostri: il differenziale produttivo fra noi e le agricolture del nord Europa, che abbiamo contribuito a costruire con le nostre non-scelte politiche, è diventato sempre più problematico da gestire. Inoltre, all’interno del mondo agricolo europeo, la stessa dinamica differenziale ha fatto sì che i soldi messi nella PAC andassero a finire in misura crescente nelle mani della fetta, sempre più ridotta, di grandi aziende – nord Europa ma anche Italiane. 

Nel frattempo, la trasformazione dei contadini in operai indebitati era stata completata. La figura del contadino (e contadina, occhio), cioè di una persona che si preoccupa del territorio (Fossi e cavedagne benedicon le campagne, scriveva Carlo Poni nei primi anni 2000) della sua biodiversità, di produrre cose “genuine”, insomma, il mito del Mulino Bianco, era diventata quella di persone indebitate fino al collo per l’acquisto di macchinari sempre più grandi, sommersi da una burocrazia che, per i quattro spiccioli che ricevevano, domandava loro una montagna di carte, con difficoltà crescenti per aumentare le superfici dato che il prezzo della terra saliva, e solo i grossi produttori industriali potevano permetterselo, il tutto continuando a produrre secondo le indicazioni di mamma Coldiretti e dell’Informatore Agrario. Noi Tecnici agricoli o Agronomi, formati nei primi anni 80, eravamo formattati con la visione dell’agricoltura moderna: chimica (tanta) e trattori. 

 

La manna della PAC ha cominciato a ridursi e a cambiare. Piaccia o meno, la sensibilità “ambientale” era arrivata anche ai politici e a Bruxelles, nonché la necessità di ridurre i fondi disponibili, perché, con la storia del Consenso di Washington e l’obbligo di privatizzare e ridurre il ruolo dello Stato (grazie Reagan e Thatcher), bisognava spendere meno.

 

Meno soldi, che però andavano sempre in maggioranza a favore dei più ricchi, e una sensibilità ambientale che iniziava a farsi sentire. Noi italiani (ma probabilmente non da soli) abbiamo pensato che potessimo fregare i burocrati di Bruxelles, taroccando i prodotti (chi si ricorda il vino al metanolo?) oppure non rispettando le quote latte che erano state negoziate ed accordate. Ricordate che spingeva perché non si pagassero le multe che, giustamente, venivano inflitte a questi furbastri agricoltori padani? La Lega del vostro amico Salvini e del papà Bossi.

 

Non ricordo di aver mai sentito i grossi sindacati degli agricoltori lamentarsi o, ancor meglio, lottare e fare lobbying contro la Grande Distribuzione Organizzata. Nemmeno ricordo averli mai sentiti schierati a favore di una transizione ecologica che era evidente dai primi anni settanta. Hanno preferito sempre vivere nell’illusione del breve e brevissimo periodo, cioè gestire urgenze, chiedendo elemosine per tirare avanti (secondo il famoso detto Andreottiano per cui era meglio tirare a campare che tirare le cuoia).

 

L’unica novità, emersa fuori dagli schemi politici, è stata l’agricoltura biologica nelle sue varie declinazioni. Poi è arrivato anche il movimento Slow Food a rimettere all’ordine del giorno la questione della genuinità dei prodotti (antichi e da preservare), con un’agenda che cerca di riportare in auge l’idea che mangiare bene e sano, pochi grassi e tanta verdura, può allungarci la vita anche perché il territorio viene gestito meglio.

 

La crisi attuale arriva quindi da lontano e, se tanto mi da tanto, non cambierà nulla una volta passata la buriana. Poco centra il governo Meloni, perché non è che quando c’era il centro sinistra si sia spinto per riequilibrare i rapporti di potere nelle negoziazioni con la GDO, oppure per far cambiare la PAC in direzione “verde”. 

 

Gli agricoltori – confermando che oramai sono clonati dentro la visione di brevissimo periodo - chiedono al governo di Giorgia Meloni di mantenere in vigore altre agevolazioni fiscali di cui per anni hanno potuto beneficiare. Con la legge di bilancio per il 2024 il governo non ha confermato l’esenzione per i redditi agricoli dall’IRPEF, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, che era in vigore dal 2017: gli agricoltori dovrebbero quindi tornare a pagare l’aliquota ordinaria. Il condizionale è d’obbligo perché alla fine Meloni cederà su questo.

Chiedono anche un netto cambio nelle politiche agricole europee. Se la prendono con le timide decisioni di cominciare ad occuparsi della sterilizzazione crescente dei suoli agricoli. Scriveva anni fa la FAO (2015): “Oggi il 33% del territorio risulta da moderatamente ad altamente degradato, a causa di erosione, salinizzazione, compattazione, acidificazione e inquinamento chimico dei suoli”. La situazione è solo peggiorata, ma questo sembra non interessare i manifestanti. Il Green Deal vuole ridurre l’uso dei prodotti fitosanitari che in Italia (dati Istat 2020) ammontano a 122.000 tonnellate l’anno. Detto in altre parole: grazie a questi produttori noi non stiamo mangiando sano: mangiamo cibi avvelenati che accorciano la vita. In Italia non si lamentano (come in Francia) per il prezzo del gasolio agricolo, dato che già beneficia di accise ridotte. Si lamentano, davanti ai ministeri dell’agricoltura o le prefetture (in Italia e in Europa), dei prodotti che importiamo dall’Ucraina per aiutare questo paese che è in guerra per salvare il culo all’Europa. Ma allora perché non vanno a manifestare davanti alle ambasciate russe? Sarebbe più corretto!

Infine, si lamentano della concorrenza (secondo loro sleale) dei prodotti importati che arrivano con meno obblighi sanitari. Interessante e parzialmente corretta questa richiesta. Bisognerebbe però che innanzitutto si guardassero dentro casa propria perché, come dicevo sopra, noi europei, assieme agli americani e poi gli altri grossi produttori mondiali, abbiamo fatto una concorrenza totale e sleale nei confronti di tutte le agricolture contadine del Sud, riducendole ai minimi termini, provocando l’esodo di milioni di persone, impoverite e facili prede dei movimenti islamici terroristici. Anche qua, lo posso dire per aver toccato con mano i disastri prodotti dalle sovvenzioni alle esportazioni di pomodori italiani in scatola che arrivavano nell’altipiano centrale dell’Angola, quando ancora c’era la guerra, primi anni 2000, a prezzi talmente irrisori che i pochi contadini locali non potevano vendere nemmeno un pomodoro perché il loro costo di produzione, per quanto basso, non poteva competere.

Insomma, grazie ai vostri sindacati e alle forze politiche che avete votato, il sistema agroalimentare italiano è arrivato davanti al muro. Ripeto, non è che a sinistra le cose stiano meglio, ma certo con questa banda di bras cassés come dicono i francesi, è chiaro che non si andrà da nessuna parte.

Va bene battersi contro il caporalato e il lavoro nero in campagna. Ma se i produttori non hanno un prezzo minimo garantito, non ce la potranno mai fare. Quindi politiche pubbliche che vadano nella direzione di forzare la mano alla GDO, fissare dei prezzi minimi per tipo di produzione, incentivando chi usa metodi agro-ecologici (con prezzi maggiori) e in parallelo una ricerca di alleanze in Europa per cambiare la PAC e togliere tutti i sussidi ai grandi produttori, liberando risorse per l’agricoltura contadina che ancora resiste, ecco un’agenda minima di lavoro. A questo si può e si deve aggiungere la protezione della biodiversità, il recupero dei suoli e dell’acqua.

Abbiamo fior fiore di economisti in Italia. Possibile che non si possa stimare quanti soldi verrebbero risparmiati alla salute pubblica con politiche di questo tipo? Soldi che andrebbero girati al ministero dell’agricoltura e dell’ecologia, per ricompensare chi fa questo lavoro.

I soldi non mancano. Lo abbiamo visto con la crisi Covid. I soldi ci sono ma vanno nelle mani sbagliate. Il problema che queste mani sono quelle che hanno il potere, a Roma come a Bruxelles, per cui un’agenda come quella sopra, non la farà mai questo governo (ma ho molti dubbi anche se andasse su un governo dell’opposizione).

Ricordiamoci che per gestire tutta la storia dei migranti (che noi europei contribuiamo a generare con le nostre politiche non solo agricole, ma anche militari ed energetiche), spendiamo una montagna di soldi ogni anno. Se vogliamo che la gente resti a casa sua, devono avere un reddito sufficiente, e siccome alle origini sono contadini e contadine, dovremmo cessare di distruggere le loro agricolture e impegnarci a ricostruirle.

Solo cercando un equilibrio più globale staremo meglio tutti. Ma se invece pensiamo che con queste 4 fregnacce che il governo mollerà ai “trattori” abbiamo risolto qualcosa, allora buonanotte. Io ho cercato di spiegarvelo in sintesi, poi fate voi.

 

giovedì 8 febbraio 2024

2024 L8: Andrea Camilleri - Riccardino

 

Sellerio, 2020

L'ultima indagine del commissario Montalbano.


«A ottant’anni volevo prevedere l’uscita di scena di Montalbano, mi è venuta l’idea e non me la sono fatta scappare. Quindi mi sono trovato a scrivere questo romanzo che rappresenta il capitolo finale; l’ultimo libro della serie. E l’ho mandato al mio editore dicendo di tenerlo in un cassetto e di pubblicarlo solo quando non ci sarò più».
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Devo ammettere che non mi ha convinto granché. A parte la questione della neo-lingua che rende difficile la lettura, resta che più si va avanti più vien da pensare che se non fosse stato per Luca Zingaretti, tutti sti racconti non sarebbero mai usciti da un anonimato di piccoli circoli di lettura.

lunedì 5 febbraio 2024

2024 L7: Benedetta Tobagi - La resistenza delle donne


Einaudi, 2022 

Le donne furono protagoniste della Resistenza: prestando assistenza, combattendo in prima persona, rischiando la vita. Una «metà della Storia» a lungo silenziata a cui Benedetta Tobagi ridà voce e volto, a partire dalle fotografie raccolte in decine di archivi. Ne viene fuori un inedito album di famiglia della Repubblica, in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne.
La Resistenza delle donne è dedicato «A tutte le antenate»: se fosse una mappa, alla fine ci sarebbe un grosso «Voi siete qui». Insieme alle domande: E tu, ora, cosa farai? Come raccoglierai questa eredità?

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Uno di quei libri che in tanti, anche a sinistra, dovrebbero leggere! Sarà nella Top.

venerdì 2 febbraio 2024

Dall’accaparramento delle risorse alla geoingegneria climatica: per un mondo migliore bisogna cominciare a cambiare casa propria

 articolo pubblicato il 30 gennaio 2024 nell'ottima rivista Restart n. 4  

https://issuu.com/.../restart04_21x25_48pagine_altasingole

 

https://www.restartrivista.it

 

per chi non riuscisse ad accedere direttamente, ecco qui il testo:


1.     Introduzione

Che il clima sia il nuovo terreno dei conflitti è una tesi interessante che, a mio giudizio, semplifica un po’ troppo la complessità di quello che sta succedendo al nostro pianeta e a noi, suoi abitanti. Nel libretto “La crisi agraria ed ecogenetica spiegata ai non specialisti”[1] ho cercato di rendere comprensibile quelli che considero i tre stadi successivi dell’attacco portato dal sistema capitalista nelle sue varie forme, al mondo dell’agricoltura e delle risorse naturali (e genetiche). A questo bignamino abbiamo aggiunto un capitolo successivo (“Quando Eva bussa alla porta – Donne, terre e diritti”)[2] centrato sulla questione dei diritti delle donne e lotta al patriarcato, la madre di tutti i conflitti.

 

Partiamo dall’inizio. L’evoluzione del rapporto degli esseri umani alla Natura, la presunzione di potersi porre al di sopra di essa in nome del profitto, è il filo conduttore del racconto del primo libro che, partendo dal secondo dopoguerra, offre un ritratto delle nuove sfide (e conflitti associati) verso cui ci dirigiamo. 

I fenomeni di accaparramento delle terre e di altre risorse naturali (genetiche) a cui assistiamo in misura crescente in anni recenti, hanno una loro logica che va studiata, capita e spiegata, in modo che le (non molte) forze che cercano di opporsi, si facciano un’idea più completa del gioco in corso. 

Siamo passati da un attacco vecchio stile alla terra, il Land- Grabbing, a un livello più alto e più complicato, dove la proprietà dei beni non è più condizione necessaria. Uno scontro che avviene in un momento storico di crescenti asimmetrie di potere e che ha alla base un cambio di paradigma totale dei rapporti dell'uomo con la Natura. Da un'idea di convivenza e di ricerca di equilibrio fra pari livelli, si è passati a una dove l'Uomo si erge a dominus della natura - il cambio di maiuscole è voluto -, vista come un semplice supporto dal quale estrarre quanto ci serve per un modo di vita “non negoziabile” come disse il presidente americano George Bush Sr. al Summit di Rio 1992. Una nuova fase che ci trova impreparati a reagire come società e dove le conoscenze e le possibili proposte su “cosa fare” e “con chi” hanno ancora difficoltà ad uscire dall'alveo dei circoli specialistici. 

2.     Il secondo dopoguerra e il modello americano 

Alla fine dal secondo conflitto mondiale la situazione dell’agricoltura mondiale vedeva molti paesi, del nord e del sud, deficitari in termini di produzione: per alcuni di loro si parlava chiaramente di “fame”. All’epoca il “farmer” americano si presentava non solo come un esempio di successo dal punto di vista produttivo, ma anche come un modello di stile di vita tout court. Le condizioni di vita degli agricoltori americani erano anni luce avanti rispetto ai colleghi europei. Basti pensare che, nel 1940, il 58% delle aziende agrarie disponeva di automobili, il 25% aveva il telefono e il 33% l'elettricità. Inoltre esistevano servizi di assistenza tecnica pubblica in tutte le contee degli stati americani[3].

Il periodo storico era quello della formazione progressiva di un mercato mondiale unico che, iniziatosi nella seconda metà dell’ottocento, ha preso forma compiuta in questi ultimi decenni. Nel Sudamerica dominava largamente il sistema del latifondo, con una parte importante della popolazione rurale che viveva (o moriva) di stenti, grazie a una struttura agraria molto polarizzata. Finalmente era il periodo nel quale si consolidò un nemico di classe, l’Unione Sovietica il cui peso geopolitico, risultante nella partizione del mondo tra paesi alleati all’Ovest o all’Est, servì da freno per la scattante economia di mercato americana. Le scelte in materia agricola erano diametralmente opposte a quelle americane, da un lato il collettivismo e dall’altro l’individuo (e la famiglia). La scelta fra l’uno e l’altro era, innanzitutto, una scelta politica. E il modello “farmer” si dimostrò vincente.

In vari paesi europei occidentali, i decenni dopo la seconda guerra sono stati considerati come gli anni del boom economico, con forti tassi di crescita dell’economia. Con riferimento all’agricoltura, basti ricordare che nel giro di soli quindici anni, dal 1945 al 1960, i paesi europei passarono da una situazione in cui la produzione era insufficiente per il fabbisogno ad una situazione in cui si iniziò a produrre diffusamente eccedenze agro-alimentari, che da allora sono diventate una costante del sistema agrario europeo. 

3.     La caduta del tasso di profitto e l'emergere del neoliberismo 

Sul finire della guerra, e per stabilizzare il sistema economico (occidentale), i grandi paesi industrializzati si misero d’accordo per un sistema di cambi fissi, il Gold Standard, indicizzati sull’oro. In questo modo si assicurava stabilità nel commercio anche se limitatamente alle monete convertibili (in dollari). 

Viste le enormi necessità della ricostruzione (soprattutto nei paesi europei), il saggio di profitto del capitale viaggiava a livelli del 15-16%. A tenerlo alto contribuivano anche delle abili politiche commerciali nonché la massificazione di una serie di nuovi prodotti (televisore, lavatrice, automobile) di cui dotare l’insieme delle famiglie europee, nonché un insieme di politiche keynesiane di dotazione di infrastrutture (strade, elettricità …) finanziate dalla mano pubblica.

Ovviamente, a mano a mano che arrivava a compimento la ricostruzione e la dotazione di ogni famiglia con tutti i nuovi beni di consumo, anche il tasso di profitto tendeva a scendere. Di fronte a questa riduzione tendenziale, una prima risposta fu il tentativo di abbassare il costo del lavoro e il livello dei salari, ma questo tentativo si scontrò con forti resistenze sociali (si pensi al periodo dell’autunno caldo in Italia). Una seconda strategia, foriera di ben altri cambiamenti, prese il via nel 1971. Sobillato da potenti lobbying interne, il presidente americano Richard Nixon dichiarò decaduto il sistema dei cambi fissi. Rompendo il Gold Standard ognuno giocava per conto suo e, in teoria, tutte le monete potevano fluttuare rispetto alle altre in funzione del loro tasso di sviluppo interno. In realtà, essendo la potenza del dollaro molto superiore alle altre, si instaurò immediatamente un sistema dove il dollaro dominava e gli altri dietro arrancavano. 

In questo periodo si colloca l’inizio delle incertezze monetarie e finanziarie che non sono mai finite[4]. La fluttuazione imprevedibile delle monete creava dei rischi, contro i quali le grandi imprese esportatrici dovevano imparare a proteggersi. Ecco perché, nel 1972, a Chicago, sulla scorta dell’esperienza del Chicago Board of Trade del 1848, dedicato esclusivamente alla negoziazione del grano, venne aperto il mercato finanziario dei futures[5], contratti che permettevano di acquisire specifiche quantità di merci o di strumenti finanziari a un determinato prezzo con consegna in uno specifico momento nel futuro. Si tratta, a tutti gli effetti, della nascita dei “derivati” i cui effetti negativi abbiamo cominciato a conoscere con la crisi dei Subprime oltre dieci anni fa. 

Il nuovo sistema rendeva ora possibile la “fabbrica del credito”: la creazione della moneta dal nulla, con influenze destabilizzanti per conseguenza del ridotto riferimento all’economia reale. Come ebbe a dire l’ex governatore della banca centrale americana, Greenspan: Al di fuori del gold standard non esiste possibilità di proteggere i propri risparmi dalla confisca dell’inflazione. Non c’è nessuna protezione per il loro valore. Se esistesse, il governo l’avrebbe abolita come ha fatto con l’oro[6].

Nel 1974 il Nobel per l’economia venne assegnato a Friedrich Hayek e nel 1976 a Milton Friedman (rispettivamente fondatore e membro della Mont Pelerin Society dove si è forgiato il pensiero neoliberale): il monetarismo, che vede nell’emissione di moneta della banca centrale un minaccia per la stabilità dei prezzi, irrompe sulla scena internazionale e conquista la FED con la nomina di Paul Volcker, Downing Street con l’elezione di Margaret Thatcher e la Casa Bianca con l’ingresso di Ronald Reagan (1980). 

Il neoliberalismo, corrispettivo economico della politica monetaria di Milton Friedman, imponeva l’uscita dello Stato dall’industria, il trasferimento della produzione manifatturiera in Paesi con minori costi di produzione e l’iniezione di massicce dosi di flessibilità nel mercato del lavoro, con vistose ricadute deflattive sui salari[7].

Con l'avvento di questa nuova vulgata intellettuale e politica, si pone così la base per nuove e future speculazioni che avrebbero iniziato a toccare anche il bene che più mi ha interessato nella mia vita professionale alla FAO: la terra. 

4.     Il neoliberalismo e i mercati della terra 

In agricoltura, sulla scia dello sviluppo dei farmers americani, il modello proposto era quello di proprietà famigliari di dimensioni crescenti dove l’uso combinato di manodopera, macchine e chimica determinavano un continuo aumento di produttività con costi unitari decrescenti. 

Il confronto fra questo modello, a produttività crescenti, e le scelte di collettivizzazione forzata dei paesi “socialisti” era innanzitutto politico, rendeva particolarmente evidenti le differenze fra i paesi occidentali e quelli sotto controllo sovietico. In particolare, quello che preoccupò gli americani, fu il combinato disposto della rivoluzione cubana (1959) e della riforma agraria, con l’esproprio delle grandi proprietà americane e con la collettivizzazione delle terre. Nell’inconscio politico americano si fissò allora l’idea che la riforma agraria fosse sinonimo di rivoluzione, e che ambedue andassero bloccate. 

La reazione su immediata. Da un lato, l’amministrazione Kennedy promosse l’Alleanza per il Progresso, con l’intento di spingere i paesi latinoamericani alleati a realizzare delle riforme agrarie minime per evitare che il fuoco guerrigliero si diffondesse anche in altri paesi. Dall’altro, gli USA si impegnarono all’interno delle Nazioni Unite per combattere questo pericolo in modo più subdolo, iniziando con una modificazione terminologica per sostituire il termine “riforma agraria” (cambiamento globale di politiche rispetto all’accesso, uso e gestione della terra, nonché i programmi di appoggio che i governi devono mettere in atto: credito, assistenza tecnica etc. etc.) con il più blando “riforma fondiaria”, una semplice riequilibrio della struttura fondiaria, senza nessun riferimento all’insieme delle politiche pubbliche di accompagnamento. 

In quel periodo, la questione agraria teneva banco spesso nei dibattiti all’ONU e non passava anno che non fosse messa in agenda: una vera e propria patata bollente. L’irrompere dei paesi di nuova decolonizzazione e dei paesi arabi con le crisi petrolifere del 1973 e 1979, cambiò un po' le carte in tavola per le agenzie delle Nazioni Unite che, fino ad allora, seguivano pedissequamente i dettami provenienti dall'ovest in materia di sviluppo. Per la prima volta nella storia della FAO, un candidato appoggiato dai paesi del Sud vinse l’elezione al posto di Direttore Generale contro il candidato del Nord. Edouard Saouma riprese in mano il tema della terra e nel 1979 fu organizzata a Roma la prima Conferenza Mondiale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale. Un tentativo lodevole di riportare il tema terra nell'alveo delle politiche pubbliche, che ebbe però poco respiro, poiché pochi mesi dopo arrivarono sulla scena Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Per il nuovo credo economico lo Stato doveva essere ridotto ai minimi termini e il mercato doveva essere il dominus. I due epitaffi attribuiti alla dama di ferro “Non vedo società, ma solo individui” e There Is No Alternative (Non c'è alternativa), descrivevano bene l’idea del nuovo mondo che si voleva costruire con al centro l’individuo e la sua sete di successo. 

Il nemico da togliere di mezzo era l'Unione Sovietica e grazie alla spinta data dall'amministrazione Reagan con le “Guerre stellari” da un lato, e la crisi interna nella quale versava l'impero sovietico dall’altro, la fine si avvicinò in modo brusco. Dopo la caduta del muro di Berlino del 1989, passarono solo due anni e nel 1991 finì l’avventura storica dell’URSS. 

La dissoluzione dell’Unione Sovietica portò gli Stati Uniti a dichiarare che un Nuovo Ordine Economico era oramai dominante, all’interno del quale essi avevano il ruolo di Deus Ex Machina economico, militare e ovviamente politico. Si era arrivati alla “fine della Storia”, come scrisse un famoso economista[8]

La traduzione pratica della corrente neoliberale furono i Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS), ideati congiuntamente da Banca Mondiale e FMI, e imposti per la prima volta nel 1982 al Messico e successivamente a quasi una novantina di paesi, di cui circa la metà in Africa[9]. Le misure di politica economica che i PAS imponevano – i tagli ai servizi essenziali, un orientamento dell’agricoltura verso l’export, il taglio nelle spese sanitarie, educazione e programmi di assistenza tecnica – furono all’origine di un largo insieme di problemi dai quali i paesi non riuscirono ad uscire. A ciò si aggiungano le conseguenze dei PAS a livello delle comunità locali, che sono meno conosciute ma forse ancora più gravi: i conflitti inter-etnici legati all'indebolimento degli Stati e alla precarizzazione della situazione economica hanno fatto aumentare le tensioni fino a far parlare di vere e proprie purificazioni etniche come, ad esempio, in certe regioni del Congo, comparabili a quelle osservate nell'ex-Jugoslavia e nel Kosovo. Inoltre, la corruzione dilagante ha cominciato a spingere anche i consigli degli anziani, simbolo immutabile della società africana, a vendere sottobanco le terre dei loro villaggi[10].

Il legame tra la nuova dottrina neoliberale e la questione fondiaria trovava le radici iniziali nell'articolo di G. Hardin sulla Tragedia dei Commons[11], e nell’affermazione della scuola dei Property Rights[12]. La convinzione principale di questa scuola di pensiero era che un sistema ben definito di diritti di proprietà fosse il modo più appropriato per stimolare l'impegno a far meglio, investire di più per massimizzare il valore della terra. Grazie a questa base intellettuale, il mercato della terra trovava un’apertura enorme, facilitata ancor di più dalla scomparsa dell’Unione Sovietica. Tutti i principali centri di ricerca, nonché le agenzie ONU, si misero a studiare il loro funzionamento, tralasciando sempre più lo studio e l’analisi delle riforme agrarie. 

5.     Quali terre? 

Una delle condizioni per imporre ovunque il nuovo mantra dei mercati fondiari era di avere un’idea più precisa di dove si trovassero le disponibilità di terre di buona qualità. A quest’ultimo punto ci pensò la FAO[13]: i dati pubblicati confermavano che in Asia non esistevano più terre di buona o alta qualità disponibili perché erano già tutte coltivate. Stesso discorso si poteva fare per l’Europa, la Russia e il Nord America. Al contrario il Centro e Sud America indicavano delle possibili espansioni, mentre il vero tesoro sembrava essere l’Africa, con soli 197 milioni di ettari coltivati, fronte a una disponibilità di 653 milioni di ettari. 

La cultura economica neoliberale stava spazzando via lo stato, ridisegnando il panorama istituzionale in funzione delle necessità del mercato. Si registrò quindi un interesse rinnovato e crescente per le risorse fondiarie, col risultato di un aumento delle pressioni sulle popolazioni rurali povere che erano quelle che più necessitavano di terra per la loro sopravvivenza[14].

Come spiegò successivamente un rapporto della stessa cooperazione americana, la conseguenza fu una “corsa globale alla terra come fonte di conflitto: un incremento drammatico nella domanda globale di terre, guidato dalla domanda crescente di prodotti agricoli, agrocarburanti e per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (uno strumento considerato come efficace contro il cambiamento climatico”[15].

6.     Concentrazione agro-alimentare e crisi dell'agricoltura contadina 

La corsa alla concentrazione della terra non avveniva però in maniera isolata. Era l’intero sistema agro-alimentare che si trasformava in conglomerati sempre più grossi, riducendo il numero degli attori nelle varie filiere. Per quanto riguarda il mercato delle sementi, fonte primaria della diversità agricola globale, in poco più di 20 anni ha subito una fortissima concentrazione: se prima erano alcune migliaia le aziende produttrici nei vari paesi del mondo, oggi siamo arrivati a una concentrazione del 60% del mercato globale in sole 4 società[16]. In maniera simile, il mercato dei pesticidi è arrivato a un controllo del 60% da parte di 4 multinazionali (due sono le stesse delle sementi: Syngenta e Bayer)[17]

Insomma, un sistema agroalimentare sempre più concentrato, che necessitava investimenti colossali per produrre nuove varietà, e che quindi tendeva a farlo in funzione sempre più esclusiva delle disponibilità di terre di alta qualità e su un numero ridotto di specie. Ecco perché l’erosione genetica divenne un corollario naturale del nuovo sistema che si andava imponendo. Delle oltre 7000 piante commestibili, l’essenziale del mercato mondiale si ridusse così a quattro specie: grano, riso, patate e mais![18]

I contadini venivano cancellati dall’avanzata a gran carriera del mercato unico mondiale, che metteva in concorrenza agricolture con livelli di sviluppo molto diseguale per ragioni storiche, climatiche, pedologiche e tecnologiche. Mentre verso la fine degli anni 30 una famiglia contadina del centro della Francia sarebbe riuscita a sopravvivere con una produzione di circa 260 quintali di grano per attivo familiare, 50 anni dopo avrebbe dovuto migliorare sensibilmente sia la superficie per unità lavorativa (passando dai 30 ai 50 ettari) che la produttività individuale, arrivando a una produzione di circa 2100 quintali di grano per attivo familiare[19]. Un aumento della produttività di circa otto volte, per ritrovarsi alle stesse condizioni economiche dato che, nel frattempo, i prezzi pagati agli agricoltori continuavano la discesa storica già osservata da Mazoyer.[20]

Il sud del mondo è il luogo in cui si trovano perlopiù le agricolture contadine diversificate e i sistemi pastorali in lotta per una sopravvivenza sempre più precaria. I prezzi a cui possono vendere quel po’ di eccedenza produttiva sono decisi alla borsa di Chicago, sulla base della produttività degli agricoltori più avanzati. La produttività crescente permette di abbassare continuamente i prezzi pagati a tutti i produttori, dato che competono tutti sullo stesso mercato mondiale. La corsa ad aumentare le superfici è una corsa drogata, in cui l’agricoltore deve aumentare la sua dimensione economica totale (superficie e produttività) solo per poter restare fermo allo stesso posto della classe economica. Per poter continuare questa rincorsa, i produttori più forti hanno dovuto ricorrere sempre più all’indebitamento e alla dipendenza dagli aiuti pubblici (PAC, Farm Bill...), mentre a chi sta sotto non rimane che l'abbandono e le migrazioni. 

Il risultato finale era scontato: poiché il potere contrattuale è nelle mani del sistema agro-alimentare, gli agricoltori sono costretti a subire. A mano a mano che si specializzano in una sola filiera, o con una sola catena distributiva, le asimmetrie di potere tendono ad aumentare ancora di più.[21]

7.     Il Land Grabbing africano 

La corsa all’oro si sviluppò in varie parti del mondo, ma fu in Africa che si coniò il termine Land Grabbing, a partire dal famoso caso di Madagascar dove, nel 2008, la società sudcoreana Daewoo tentò di sfruttare le faglie delle politiche locali cercando di accaparrarsi 1,3 milioni di ettari di terre per produrre grano e olio di palma.[22]

Il perché il land grabbing si sia manifestato particolarmente in Africa ha varie spiegazioni. Abbiamo visto prima come la FAO stessa abbia suggerito l’esistenza di una gran disponibilità di terre nel continente. Le tecnologie più moderne, come i sistemi di informazione geografica, tendevano a suffragare questa impressione. Le foto aeree e le immagini satellitari a piccola scala mostravano grandi quantità di terre (apparentemente) non coltivate. Era solo quando si aumentava la risoluzione che apparivano gli innumerevoli insediamenti di produttori che, come in un formicaio, lavoravano intensamente quelle terre. La realtà rivelava allora sistemi complessi dove le terre di una comunità presentavano porzioni coltivate, individualmente, zone di riserva forestale per le future generazioni, zone di pascolo comunitario, aree abitative e zone considerate sacre. 

Questi sono sistemi in cui si manifestano tensioni e conflitti e, conseguentemente, si formano istituzioni per la loro risoluzione; istituzioni che non necessitano alcuna formalizzazione, almeno finché non intervenga una minaccia esterna, che non conosca e non rispetti quelle regole. Preferiamo chiamare questi sistemi fondiari “consuetudinari” e non “tradizionali” perché la percezione comune è che un sistema tradizionale sia un sistema vecchio, immobile, al quale vada contrapposto un sistema “moderno” di cui noi occidentali ci vantiamo di essere i portatori. In realtà i sistemi fondiari di tipo consuetudinario, pur non essendo necessariamente “democratici” alla luce del blocco di valori occidentali recenti, sono pur sempre dei sistemi in divenire che cambiano in funzione degli stimoli e del grado di convincimento interno. 

La mancanza quasi assoluta di titoli formali relativi alle forme di “proprietà” ha fatto credere, a chi ne aveva interesse, che quelle terre fossero disponibili e comunque di proprietà governativa. Da lì sono nati molti degli equivoci che hanno portato al gran numero di conflitti attuali. Riassumendo potremmo dire che non esiste un metro quadro di terra senza una forma di diritti da parte di uno o più attori. Il non voler saperlo e/o ammetterlo, è stato, è e sarà fonte continua di conflitti sempre più cruenti.

8.     Disponibilità decrescenti e capacità gestionali indebolite: il panorama si completa 

La disponibilità di terra sta diminuendo, con punte del -45% in India nel periodo che va dal 1975 al 2005[23].Se analizziamo un caso emblematico come quello della Cina, capiamo un po’ meglio cosa sta succedendo. Dagli oltre 128 milioni di ettari (2000), la disponibilità è scesa a meno di 122 milioni[24] nel 2011 e questo di fronte a una popolazione di 1.4 miliardi, equivalente a una disponibilità di 3900 m2 per famiglia (l’equivalente di un campo vicentino o padovano).[25] Fra gli elementi che contribuiscono alla riduzione della disponibilità, viene in prima linea l’urbanizzazione massiccia del paese, seguita dalla degradazione e desertificazione, che mettono a rischio la sopravvivenza di circa 400 milioni di cinesi.[26]

Di fronte a questo squilibrio crescente, e considerando che lo sviluppo economico degli ultimi decenni ha avuto come conseguenza il miglioramento della dieta, con un aumento del consumo di carne[27], la domanda un po’ retorica è: dove può trovare la Cina le disponibilità di terra di cui ha necessità? Altrove. Ecco così spiegato il perché dell’accresciuta attività di ricerca di terra e prodotti alimentari, che ha caratterizzato il land rush e il land grabbing di questi anni.

Affinché l’accaparramento delle terre possa avvenire più facilmente, un’altra condizione necessaria è una cattiva governance[28]. Quanto minori sono le capacità istituzionali, politiche, legislative e di reazione della società, tanto più facile sarà prendersi le terre. Una cattiva governance non vuol solo dire corruzione o mancanza di trasparenza, ma anche semplicemente il non avere soldi e risorse umane specializzate per far funzionare i servizi amministrativi legati al tema che ci preoccupa: uffici del registro, del catasto, giustizia etc. La responsabilità dei PAS nell'indebolire le capacità istituzionali per la gestione di un paese, furono analizzate in una pubblicazione della FAO del 2012[29]. Anche la Banca mondiale ha confermato da parte sua il legame diretto tra scarsa capacità istituzionale nel riconoscimento dei diritti alla terra e domanda internazionale crescente per la terra nei paesi africani. Ciononostante ha continuato a finanziare grandi operazioni considerate come forme di land grabbing dall’insieme del mondo delle ONG internazionali e movimenti contadini.[30]

9.     Natura, mercato, catastrofi 

Il cambiamento di paradigma economico e il neoliberalismo introdotto agli inizi degli anni 80 avevano avuto una traduzione immediata nel tema ambientale. Possiamo datare l'inizio di questo processo proprio con l'amministrazione Reagan e l'attacco frontale contro l'Agenzia di Protezione dell'Ambiente (EPA), con l’eliminazione di una serie di leggi di protezione dell'ambiente, la riduzione dei poteri dell'EPA, il taglio dei finanziamenti del 25%, e il licenziamento di un numero importante di funzionari. In parallelo, si adottava una politica aggressiva di autorizzazioni per il carbone, gas e petrolio. 

L'amministrazione Reagan, fin dal 1982, aveva anche promosso un programma pilota di “banche della natura” (mitigation bank) nella Luisiana, con la ditta Tenneco Oil. Questo programma permetteva la compensazione anticipata di futuri impatti generati dalla Tenneco Oil nelle “wetlands”. Si generavano così dei “crediti habitat” da poter vendere a chi ne avesse bisogno per compensare il degrado degli habitat causato da imprese private. 

Il meccanismo del “No alle perdite nette” (No net loss) diventa politica nazionale con l'amministrazione Bush Senior nel 1991. Lo slogan No net loss divenne allora l'emblema dell'alleanza promossa tra l'ambiente e il mercato. Dal 1995 il programma venne esteso alle specie protette della California e infine divenne programma federale nel 2010[31] confermando, semmai fosse stato necessario, che tanto presidenti repubblicani (Reagan, Bush Sr. e Jr.) che democratici (Clinton, Obama) seguivano la stessa via ideologica. 

Sotto questa spinta, non sorprende che l'idea di associare i mercati al tema ambientale, in questo caso il riscaldamento della Terra, diventasse centrale anche alla Conferenza di Kyoto del 1997. In quella sede furono introdotti i Trading Mechanisms: il meccanismo dello sviluppo pulito (CDM - Clean Development Mechanism: grazie al quale i paesi possono raggiungere i loro obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio comprando crediti di unità di riduzione dei gas a effetto serra da progetti messi in opera nei paesi del sud) e la implementazione congiunta (JI - Joint Implementation) che prevedeva che ogni paese firmatario dell'accordo potesse investire in progetti di riduzione delle emissioni in qualsiasi altro paese, come alternativa alla riduzione delle emissioni nel proprio paese. 

Il secolo breve si chiudeva con un impianto politico-ideologico totalmente diverso da come si era aperto. Un dominio totale del pensiero neoliberale in fase di trasformazione verso la globalizzazione finanziaria, un attacco alle risorse naturali che veniva portato avanti in fasi progressive: da un lato, la questione della terra e dei mercati fondiari e l'attacco ai “commons”, e dall’altro, la questione della privatizzazione dell'acqua e l'attacco centrale alla natura che avrebbe preso forma compiuta nei primi anni del 2000. 

Nuovi attori erano apparsi a fianco dei tradizionali grandi proprietari fondiari. Questo succedeva perché anche il sistema agro-alimentare mondiale si andava modificando, concentrandosi e specializzandosi in prodotti e regioni particolari. Il sistema bancario a sua volta evolveva e sviluppava nuovi prodotti da mettere sul mercato, facenti tutti parte di quei “futures” inventati nel lontano 1972: i “derivati”. 

I cambiamenti climatici, valutati attraverso la semplice contabilità dei disastri naturali occorsi annualmente, confermavano la tendenza al netto peggioramento. Disastri crescenti in numero, ma anche, e soprattutto, in valore economico dei danni. I meccanismi tradizionali, assicurazioni e re-assicurazioni cominciavano a non essere all'altezza delle cifre in gioco (nel caso dell'uragano Katrine, la stima globale dei danni, fra quelli assicurati e quelli no, fu di 150 miliardi di dollari). Ecco allora apparire i nuovi strumenti come i Cat-Bond e i derivati climatici. 

Per far funzionare bene questi prodotti servivano altre istituzioni: agenzie di rating (come S&P), agenzie preposte alla modellizzazione (cioè a preparare gli algoritmi che stanno dietro questi nuovi fondi speculativi: ed ecco arrivare Applied Insurance Research, Eqecat e Risk Management Solutions) e, infine, la privatizzazione dei servizi metereologici attraverso i fondi sulle catastrofi climatiche (Cat-Bond). 

10.  Il nuovo millennio: servizi ecosistemici e meccanismi compensatori 

Anche se molto era già stato fatto in precedenza, il dibattito internazionale era ancora legato a concetti e terminologie vecchie che non andavano bene per la nuova era che si stava aprendo. La parola d’ordine del passato era stata Biodiversità: rispetto per la vita in tutta la sua diversità e promozione della sua gestione considerandola come bene comune, tutte cose che non andavano d'accordo col credo neoliberale. La nuova filosofia preferì privilegiare un concetto e una terminologia nuova: gli ecosystem services (ES). In questo modo di pensare la natura andava protetta in funzione dei servizi che apportava agli esseri umani. Non era più quindi una dimensione assoluta ma relativa, dove l'essere umano si collocava a un livello superiore, come beneficiario di questi servizi. Corollario di questo principio era la necessità di monetizzare la natura, attribuendole un prezzo in modo da avere tutti la percezione concreta di quanto importante fosse. E, poiché eravamo (e siamo) incapaci di capire il funzionamento globale di un ecosistema con tutte le sue componenti e interazioni, la proposta fu di dividerlo in parti più semplici che si supponeva fossero più facilmente gestibili attraverso meccanismi di mercato, dimenticando che le interazioni fra le parti sono importanti quanto le singole componenti, se non di più. 

La data ufficiale di nascita degli ES è considerata il 2005, quando venne pubblicato il Millennium Ecosystem Assessment (MEA). Nei circoli specializzati il concetto non è nuovo, ma è da quel momento che il numero di articoli dedicati al tema aumenta in maniera esponenziale. Il MEA veicolava messaggi semplici e chiari: il primo era che la natura doveva essere gestita attraverso i servizi ecosistemici. Sul secondo messaggio, corollario al primo, vale la pena di fermarsi un momento: avendo deciso che la miglior forma per difendere i commons sia attraverso gli ES, per farlo “dobbiamo dare loro un prezzo”. Si giustificano così le Nuove Enclosures[32] con una prospettiva ecologica: le terre comunali (commons) andavano delimitate e messe sul mercato per poter proteggerle attraverso una buona gestione ambientale che, si postulava, le comunità locali non erano in grado di garantire. Il nuovo land grabbing si aggiunge così al precedente, ma in una diversa prospettiva. 

La domanda che a questo punto dobbiamo porci è: per quale ragione qualcuno dovrebbe comprare dei prodotti finanziari destinati a gestire meglio le risorse naturali? con quale prospettiva di guadagno? Iniziamo così a comprendere come la chiave di volta del sistema non risieda nei nuovi strumenti finanziari che “proteggevano” le specie e gli ambienti in pericolo. Essa risiede nel meccanismo di compensazione del degrado causato da una parte del mondo (debiti) con “buone” azioni (crediti) fatte altrove. 

Passiamo da una visione in cui consideravamo il sistema economico come un sottosistema dell'insieme più grande, la Madre Terra, a una visione in cui i ruoli sono invertiti. Il sistema economico (e finanziario) sta sopra, e tutto il resto sta sotto. In questa fase l’essere umano (l’Uomo) si erge a Dominus della Natura. Un cambiamento antropologico che dà un senso concreto una parola che viene utilizzata sempre più frequentemente: Antropocene[33]

11.  I frutti avvelenati della Convenzione sulla Biodiversità (CBD)

Grazie al summit di Rio del 1992 e alla Conferenza (e Protocollo) di Kyoto (1997), il meccanismo di compensazione, che permette di continuare a distruggere un ecosistema purché si “compensi” con delle azioni (anche finanziarie) da qualche altra parte, è diventato la pietra miliare del sistema economico-finanziario. 

Dobbiamo ricordare che il 90% della diversità biologica si trova nei paesi del Sud, mentre il 97% dei brevetti sono già in possesso di aziende del mondo industrializzato (FAO). Quindi se si vuole continuare a fare profitti, una prima fase era quella di mettere la Natura sul mercato (cioè darle un prezzo), dopodiché trovare delle forme per impossessarsi delle risorse genetiche.

La CBD prevedeva un meccanismo per la giusta ed equa divisione dei benefici dall’utilizzo delle risorse genetiche (fra chi le metteva a disposizione, i paesi del Sud, e chi le trasformava in prodotti finali per il mercato – farmaceutico, cosmetici, alimentari). Sono passati più di 30 anni e quel meccanismo (detto ABS – Access and Benefit Sharing) non ha ancora visto il giorno.

I poteri forti del nord giocano su tre livelli: da un lato appropriarsi di sequenze genetiche (DSI - Digital Sequence Information) estratte dalle piante del Sud, continuare con la biopirateria, e impadronirsi delle banche del gene (i centri CGIAR)[34]. La prima strategia è diventata possibile grazie allo sviluppo tecnologico che ha ridotto il costo di un sequenziamento del genoma dai 450 milioni di dollari (del primo caso riuscito) ai meno di 100 dollari attuali. Questo ha comportato che il centro dell’attenzione si stia spostando dalla risorsa genetica intera (una pianta per esempio) ad una specifica sequenza genetica (DSI) che possa essere poi ricombinata in laboratorio. Lo scontro in sede CBD è proprio sulla questione se i DSI facciano parte oppure no della CBD: le imprese e multinazionali del nord sostengono di no, per cui non esiste obbligazione di condivisione dei benefici, mentre i paesi del Sud ovviamente sostengono il contrario.

Lo sviluppo tecnologico ha reso molto più semplici il servirsi da soli e prendersi le sequenze genetiche direttamente in campo, senza chiedere nessun permesso: da lì il boom della biopirateria. Se ricordiamo che il mercato farmaceutico globale, per il 2022, è stato stimato a 1.48 trilioni di dollari, e quello dei cosmetici a 600 miliardi di dollari, è facile capire quali forze siano in campo.

Un ulteriore movimento si sta realizzando, attraverso la presa del controllo delle banche del gene, cioè i centri di ricerca agricola del CGIAR.

Questo sviluppo, che porta a un ruolo crescente della tecnologia (e dell’ingegneria genetica), ha anche altri risvolti, che sembrano poco conosciuti dal pubblico italiano.

Il primo è che il sequenziamento genetico (indipendentemente da come vadano a finire le negoziazioni del DSI nelle varie ronde della CBD) genera una enorme quantità di dati biologici. Da questo ne deriva una crescente necessità di Data Center (col conseguente potere che hanno in mano chi li controlla – Google, Microsoft, Amazon, Meta …). I Data Center consumano già adesso una grande quantità di elettricità (1% della domanda globale con tendenze alla crescita) e di acqua (abbiamo solo delle stime per gli Stati Uniti, con un consumo giornaliero – per raffreddarli – di 1.7 miliardi di litri).

Il secondo è l’apparizione e rapido sviluppo dell’agricoltura digitale (e-agriculture). Le grandi aziende tecnologiche come Microsoft, Google, Amazon e Facebook, nuove in agricoltura, stanno già investendo pesantemente, soprattutto nelle piattaforme informative digitali collegate ai loro servizi cloud. Le aziende agroalimentari, in particolare quelle che vendono sementi, pesticidi e fertilizzanti, hanno adottato le tecnologie digitali a un ritmo sostenuto. Negli ultimi anni si è assistito a un'esplosione di applicazioni mobili offerte agli agricoltori dalle aziende produttrici di pesticidi e fertilizzanti, apparentemente per "aiutarli" a decidere quali colture piantare, quanti pesticidi spruzzare, quanto fertilizzante usare e quando raccogliere, tra le altre cose. Quasi tutti i principali operatori del settore agroalimentare hanno collaborato con aziende tecnologiche globali per creare applicazioni che ora coprono milioni di ettari di aziende agricole. Bayer, la più grande azienda di pesticidi e sementi del mondo, afferma che la sua app è già utilizzata in aziende agricole che coprono oltre 24 milioni di ettari. In cambio dei "consigli" dispensati da queste app, gli agricoltori forniscono alle aziende agricole un flusso costante di dati sulle condizioni del suolo e del clima, sulla prevalenza dei parassiti, sulla resa delle colture, ecc.

La strategia di far sì che gli agricoltori presentino dati in cambio di "consigli" è fin troppo conveniente per qualsiasi azienda che intenda vendere input chimici agli stessi agricoltori. Nell'ambito di questa strategia, gli "esploratori" dell'azienda aiutano gli agricoltori a identificare le erbacce, le malattie, gli insetti, ecc. nei loro campi e a prevedere quando questi potrebbero diventare un problema. I "responsabili di campo" indicano agli agricoltori quando e quanti pesticidi e fertilizzanti usare e, dietro pagamento di un extra, lasciano che gli agricoltori si occupino della pianificazione, dell'attuazione e della documentazione delle attività di protezione delle colture.

Senza un'adeguata regolamentazione, ciò potrebbe portare a una situazione in cui poche aziende acquisiscono un potere sufficiente a influenzare il processo decisionale sull'agricoltura globale, a scapito dei piccoli produttori. Finora, le politiche dei governi e delle istituzioni pubbliche, come la FAO, non hanno riconosciuto e affrontato questo problema, (anzi!) che potrebbe intensificare il controllo delle imprese sul sistema alimentare.

Terzo tema, per concludere, è quello della ingegneria climatica (geo-ingegneria). Con questa parola si intendono le manipolazioni di grande scala del sistema climatico per contrarrestare il riscaldamento globale. Da molti viene considerato come uno schema di greenwashing e una tattica di diversione politica volta a distogliere risorse e attenzione dalle politiche di riduzione delle emissioni e dagli sforzi di mitigazione. Sono già in tanti a provarci e, fra questi, non poteva certo mancare Bill Gates che si attiva per ricerche dirette ad “oscurare” il sole.[35] È il mondo della geo-ingegneria, per la quale esisterebbe una moratoria, come stabilito dalla COP10[36], ma che, nella pratica, non viene rispettata da vari attori avidi di profitti a tutti i costi. 

 

Altro figlio dell’ingegneria climatica sono i GDO – Gene Drive Organisms. Realizzati con tecniche di editing genomico come la (CRISPR),[37] sono progettati per diffondere intenzionalmente i loro tratti impiantati attraverso un’intera popolazione e potrebbero facilmente essere progettati per causare l’estinzione o la sostituzione di un’intera specie. La GDO è stata definita dai critici una “tecnologia sterminatrice”Ciò può essere spiegato da due ragioni. In primo luogo, sembra che gli sviluppatori della tecnologia stiano attivamente considerando l’uso della GDO per eliminare le specie considerate indesiderabili. In secondo luogo, poiché alcune specie apparentemente distinte si incrociano in natura, provocando il trasferimento di geni tra di loro, è possibile che anche le cosiddette specie non bersaglio (specie diverse da quelle previste) possano essere minacciate di estinzione.[38]

 

12.  Concludendo 

 

(«il dramma ecologico deriva direttamente dall’origine del sistema patriarcale») 

Françoise d’Eaubonne

 

Il recente summit della CBD iniziato in Cina (Kunming) e terminato in Canada (Montreal) nel dicembre del 2022, è stato festeggiato per il raggiungimento di un accordo sul nuovo Global Biodiversity Framework. Anni di discussioni, negoziazioni serrate e molte speranze che il nuovo GBF segnasse un vero passo avanti, e non fosse solo l’ultimo giro di valzer. Il pacchetto finale di decisioni è stato deludente per gli attivisti che speravano in testi forti su, ad esempio, privatizzazione e commercializzazione dell'informazione genetica attraverso sistemi informativi di sequenza digitale (DSI). Delle importanti proposte che riterrebbero le aziende legalmente responsabili per i danni causati alla biodiversità sono state totalmente rimosse dal testo finale del GBF. Sono stati eliminati dal testo i riferimenti alla necessità di modificare le diete e/o i sistemi alimentari in generale per ridurre l’impatto, in particolare, dell’allevamento non sostenibile, che è una delle principali cause della perdita di biodiversità e del cambiamento climatico.

 

Il GBF ha aperto le porte a “tutte le fonti di finanziamento” per sostenerne l’attuazione, compreso in particolare il sostegno finanziario del settore privato. E mentre nel GBF è stata inserita l’ambiziosa cifra di 200 miliardi di dollari all’anno destinati al finanziamento della biodiversità, il testo specifica anche che solo tra i 20 e i 30 miliardi saranno effettivamente costituiti da aiuti ufficiali allo sviluppo. 

Ciò spalanca la porta alle pratiche di greenwashing (e potenzialmente anche di whitewashing, poiché anche il denaro acquisito illegalmente sembra essere il benvenuto). Questo significa che la politica pubblica sulla biodiversità diventerà ancora più dipendente dal sostegno finanziario – e quindi dai capricci e dai desideri – delle imprese e dell’industria.

Ancora peggiore è stata l’inclusione di “compensazioni e crediti per la biodiversità” come “schema innovativo” di finanziamento nel GBF. Le compensazioni della biodiversità, di cui abbiamo parlato in precedenza, non funzionano nella pratica perché non è possibile sostituire semplicemente un ecosistema distrutto con un altro ecosistema.[39] Per le donne e gli uomini locali che dipendono dall’ecosistema distrutto, un progetto di compensazione in un altro luogo non offre alcun vantaggio.

Di fronte a questi fenomeni, poco conosciuti e ancor meno capiti in Italia, l’unico tentativo di dire una parola diversa è stata quella di Papa Francesco invocando la ricerca di armonia tra Uomo e Natura (enciclica Laudato Sì)[40], così criticando l’idea dell’Uomo come Dominus della Natura. Ad esser sincero però, al di là di questo principio molto condivisibile, mi aspettavo anche un ulteriore passo, che si originasse magari nel dibattito pubblico nato da questo documento in nome del quale sono sorte tante associazioni e gruppi di lavoro e riflessione. Il passo successivo, secondo me, era quello di premettere, alla ricerca di una armonia tra Uomo e Natura, la necessaria ricerca di un’armonia tra l’Essere Maschile e quello Femminile. Io sono convinto che solo quando inizieremo realmente questo percorso di armonia tra gli esseri umani, solo allora sarà possibile intraprendere un cammino di ricerca d’armonia con la Natura.

 

Nemmeno le encicliche papali sono riuscite a smuovere di un millimetro le grandi forze in gioco e la ricerca spasmodica dei loro interessi. Se guardiamo indietro, dal secondo dopoguerra in avanti, le asimmetrie di potere nel mondo ambientale e agrario, sono cresciute in modo esponenziale. Possiamo dire senza paura di smentite, che i grandi attori che dominano la scena stanno uno o più passi avanti rispetto alle forze democratiche che cercano di controllarle (creazione di normative adeguate).

 

La visione antropocentrica che si portano dietro difficilmente potrà essere cambiata andando a giocare sul loro stesso terreno, dato che sono troppo forti e potenti. Ma non si tratta solo di capitalismo. Personalmente credo che il problema a monte stia in una visione di Dominus maschile su tutto quello che lo circonda, a cominciare dall’essere femminile. La mia conclusione è che bisogna partire dalla vera base di questo potere, che si trova nella sfera familiare, laddove non solo si riproduce a costo zero la manodopera del sistema capitalista, ma dove si riproducono le logiche patriarcali, violente e dominanti, che sono alla base della filosofia di questi attori.

Per quanto sia azzardato lanciare delle proposte in questo senso, ne faccio una, che va nella direzione delle mie riflessioni di questi anni recenti, dove l’uguaglianza di genere, partendo dalla sfera domestica sono diventate la pietra miliare da cui partire per costruire un mondo diverso. Concretamente propongo a tutte quelle forze organizzate (movimenti, associazioni, partiti …) che si proclamano “progressiste” e in lotta per un futuro diverso e migliore, che comincino a promuovere al loro interno un cambiamento verso una vera parità di genere nella sfera domestica. Penso ovviamente anche all’idea di una costituente per una nuova sinistra di cui parla Alessandro Ritella in un altro articolo. 

 

Da parecchi mesi, con un gruppo di lavoro misto di donne e uomini, di università, agenzie internazionali e/o cittadine impegnate sul territorio, stiamo lavorando alla costruzione di un indicatore di parità domestica (IPAD), pensato per un quel pubblico di cui sopra. L’IPAD permetterà di mostrare quindi la coerenza tra il discorso, la parola e le azioni concrete intraprese al loro interno per stimolare le persone partecipanti (o simpatizzanti) a questi gruppi, a iniziare (continuare, accelerare) un percorso di cambiamento verso una vera uguaglianza.

 

Se è vero, come scriveva il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace[41] in un documento seminale sui temi di cui mi sono occupato tutta la vita: fame, povertà, degrado ambientale sono tutti temi legati all’ingiusta ripartizione delle terre e alla necessità di spingere per le riforme agrarie. A questo appello, lanciato oltre 25 anni fa, io aggiungo la necessaria attenzione a quanto sta avvenendo in questi ultimi anni, fuori dai radar dei nostri quotidiani e osservatori politici, chiudendo col ricalcare la necessità di partire da qualcosa di veramente rivoluzionario, il riequilibrio nella sfera domestica, mettere tempo maschile per liberare tempo femminile; qualcosa che possiamo iniziare subito tutti noi, senza il rischio di finire nelle sabbie mobili della retorica dei tanti slogan già gridati, una retorica che è maestra nell’evitare cambiamenti strutturali dato che toccherebbero gli equilibri di potere sulle quali si fonda. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] https://www.meltemieditore.it/catalogo/la-crisi-agraria-ed-eco-genetica/

[2] https://www.ombrecorte.it/index.php/prodotto/quando-eva-bussa-alla-porta/

[3] https://www.agclassroom.org/gan/timeline/1940.htm 

[4] Secours Catholique-Caritas France, La finance aux citoyens, Postface de Gael Giraud “La régulation financière - esquisse d’un chemin réaliste 

[5] futures nascono come strumenti di copertura rispetto ad eventuali rischi, come quello valutario, ma permettono anche l’assunzione di posizioni speculative.

[6] http://www.brunoleoni.it/il-peccato-monetario-dell-occidente

[7] http://federicodezzani.altervista.org/euro-gold-standard-il-trionfo-dellalta-finanza/

[8] F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR, 2003

[9] https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000101383_fre/PDF/101383freo.pdf.multi

[10] https://www.cairn.info/revue-sante-publique-2003-4-page-503.htm

[11] G. Hardin, The Tragedy of the Commons, in “Science, New Series”, Vol. 162, No. 3859 (Dec. 13, 1968), pp. 1243-1248 -Traduzione italiana: https://archiviomarini.sp.unipi.it/511/1/hardin.pdf 

[12] D. C. North, Institutions, Institutional Change and Economic Performance, Cambridge: Cambridge University Press, 1990

[13] FAO-IIASA, Global Agro-Ecological Zones, FAO, 2002 - http://www.fao.org/nr/gaez/en/

[14] FAORural development and the future of small-scale family farms, in “RURAL TRANSFORMATIONS - Technical Papers Series #3”, FAO, 2015  - http://www.fao.org/3/a-i5153e.pdf

[15] https://land-links.org/issue-brief/land-disputes-and-land-conflict/ (US-AID)

[16] https://www.greatitalianfoodtrade.it/idee/sementi-i-4-padroni-del-mondo/

[17] https://www.cambialaterra.it/2023/02/cresce-il-mercato-globale-di-pesticidi-4-lanno/

[18] https://www.euragri.aau.dk/digitalAssets/158/158282_abstract_esquinas.pdf

[19] P. Groppo, Stratégies paysannes de survie économique: le système agraire de la Nièvre Centrale, Mémoire de DAA, INAP-G, Francia, 1986

[20] M. Mazoyer, Protecting Small Farmers and the Rural Poor in the Context of Globalization, FAO, 2001 - http://www.fao.org/docrep/007/Y1743E/Y1743E00.htm#TOC 

[21] FAORural development and the future of small-scale family farms, op. cit.

[22]https://www.slowfood.com/filemanager/landgrabbing/12377-22665-1-PB_Mosca_L.pdf

[23] http://abnormalecon.blogspot.com/2011/02/arable-land-per-capita-is-declining.html

[24] https://economictimes.indiatimes.com/news/international/world-news/with-rising-population-and-declining-arable-land-china-may-be-staring-at-a-major-food-crisis/articleshow/77942570.cms#:~:text=are%20non%20cultivable.-,Since%201949%2C%20China%20lost%20one%20fifth%20of%20its%20arable%20land,and%2032%20percent%20in%20France).

[25] https://agpolicyreview.card.iastate.edu/winter-2018/can-chinas-rural-land-policy-reforms-solve-its-farmland-dilemma#:~:text=The%20scarcity%20of%20arable%20land,of%20the%20world%27s%20arable%20land.

[26] https://www.inkstonenews.com/china/china-builds-great-green-wall-trees-fight-against- desertification/article/2163557

[27] “very strong relationship: the more beef we eat, the higher our land use requirement” https://ourworldindata.org/agricultural-land-by-global-diets

[28] Per governance intendiamo l'insieme dei principi, delle regole e delle procedure che riguardano la gestione e il governo di una società, di un'istituzione, di un fenomeno collettivo

[29] FAO, Greening the Economy with Agriculture, FAO, 2012 - http://www.fao.org/nr/sustainability/greening-the-economy-with-agriculture-gea/en/

[30] https://www.culturalsurvival.org/news/world-bank-responds-criticism-over-financing-land-grabs

[31] S. Feydel, Ch. Bonneuil, Prédation  Nature, le nouvel Eldorado de la Finance, La Découverte, Parigi, 2015

[32] Con il termine enclosures ci si riferisce alla recinzione dei terreni comuni (terre demaniali) a favore dei proprietari terrieri della borghesia mercantile avvenuta in Inghilterra tra il XVII ed il XIXsecolo. Gli enclosure acts danneggiarono principalmente i contadini, che non potevano più usufruire dei benefici ricavati da quei terreni, a favore dei grandi proprietari. https://it.wikipedia.org/wiki/Enclosures

[33] https://it.wikipedia.org/wiki/Antropocene 

[34] Il CGIAR (gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale) è un partenariato globale che unisce organizzazioni internazionali impegnate in ricerche sulla sicurezza alimentare -  https://it.wikipedia.org/wiki/CGIAR

[35] https://www.corriere.it/tecnologia/23_luglio_04/bill-gates-vuole-oscurare-il-sole-si-ma-per-combattere-il-cambiamento-climatico-con-l-appoggio-della-casa-bianca-00d33cdd-645b-412b-84b0-3a88803a3xlk.shtml

[36] https://www.etcgroup.org/sites/www.etcgroup.org/files/publication/pdf_file/ETCMoratorium_note101110.pdf

[37] https://parentproject.it/2016/02/12/crispr-lultima-frontiera-dellingegneria-genetica/

[38] In Italia i GDO godono di ottima fama in particolare nella lotta alla malaria - https://www.lescienze.it/news/2017/06/28/news/crispr_gene_drive_intervista_crisanti-3585582/, anche se da molto tempo si conoscono i benefici dell’Artemisia, una pianta coltivata in Cina da duemila anni. Tutte le prove fatte usando la pianta dell’Artemisia, sia la annua che la afra, per farne delle infusioni, stanno dando dei risultati molto positivi, senza effetti secondari e soprattutto può essere prodotta direttamente da tutti i contadini perché gli basterebbe tenere qualche pianta vicino casa per farne dei trattamenti preventivi in infusione. Laddove questo è successo, così come dove degli studi clinici sono in corso, le industrie farmaceutiche hanno iniziato a far pressione sui medici responsabili dei test, cercando di farli dimettere o obbligarli a lasciare il paese (J. Duval, Jérôme Munyangi, L’Artemisia è la soluzione per l’Africa in “Pressenza”, 19 gennaio 2020 https://www.pressenza.com/it/2020/01/jerome-munyangilartemisia-e-la-soluzione-per-lafrica/

[39] https://www.wired.it/article/crediti-di-carbonio-mercato-crisi/

[40] https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

[41] https://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_12011998_distribuzione-terra_en.html