sabato 31 marzo 2012
Ricetta Xuor: Caramello - come si fa
Zucchero, acqua e 6 gocce di limone x non farlo addensare troppo presto
10 cl di acqua per 90 gr di zucchero (circa)
mettere sul fuoco (tutto assieme), lasciar bollire e quando il colore cambia e diventa biondo (attenti che va molto veloce) ritirarlo dal fuoco e utilizzarlo subito.
la foto è fatta un attimo prima di diventar biondo...
giovedì 29 marzo 2012
2012 L 18: Laurentino Gomes - 1808
Nunca algo semelhante tinha acontecido na história de Portugal ou de qualquer outro país europeu. Em tempo de guerra, reis e rainhas tinham sido destronados ou obrigados a refugiar-se em territórios alheios, mas nenhum deles tinha ido tão longe, a ponto de cruzar um oceano para viver e reinar do outro lado do mundo. Embora os europeus dominassem colónias imensas em diversos continentes, até àquele momento nenhum rei tinha posto os pés nos seus territórios ultramarinos para uma simples visita – muito menos para ali morar e governar. Era, portanto, um acontecimento sem precedentes tanto para os portugueses, que se achavam na condição de órfãos da sua monarquia da noite para o dia, como para os brasileiros, habituados até então a serem tratados como uma simples colónia de Portugal.
Publicações Dom Quixote
Gostei, bastante. Os detalhes da vida de todos os dias, do novo Brasil que ia surgir e do velho Portugal que ia sumir.... leitura agradavel... obrigado pelo presente...
martedì 27 marzo 2012
Amina: il tuo suicidio, la nostra lotta
Penso al libro di Paola Bottero, Ius Sanguinis, alle storie di violenza sulle donne. Non posso che esser triste, triste dentro, profondamente scioccato da notizie come questa che ci è giunta dal Marocco dove Amina Al Falali, 16 anni, obbligata a sposare l’uomo che l’aveva violata, suicidatasi il 10 marzo scorso a Tangeri. Così è la legge marocchina, che permette in questo modo al violentatore di sfuggire alla prigione. Che poi questo signore se ne venga a dire che non riesce proprio a capire cosa l’abbia portata a questo gesto, dimostra solo l’abisso culturale nel quale è immerso, lui e tutti quelli come lui, che sono tanti, non solo in Marocco, ma in troppi paesi del mondo.
Si parte dal non considerare questo aspetto basico, evidente fra di noi essere umani: la diversità di genere. Non accettando questa diversità, e non costruendo un rapporto equilibrato a partire da questo, semplicemente riveliamo la nostra tendenza (non dico genetica) al non rispetto dell’altro ed alla sopraffazione. Si finisce così per legittimare ogni violenza, in nome sempre di un “bene” supremo. Si citano “valori” superiori, Famiglia, Patria e tutto il resto, ma alla fine ci si dimentica sempre da dove (non) si è partiti.
Io lo vedo nel mio lavoro, ogni giorno. La questione di genere nello sviluppo è stata declinata per molti anni come una salsa da spalmare sopra il piatto principale, che può essere la soluzione tecnica, economica, tecnologica o politica ai problemi della povertà e alla fame nel mondo. Mai che si senta dire che è dalla dimensione “genere” che si deve partire. E perché proprio da lì? La ragione e’molto semplice. La fame e la povertà sono problemi creati da noi stessi, man-made come dicono gli anglofoni. Di conseguenza dobbiamo partire da noi stessi se vogliamo risolverli. E partire da noi vuol dire innanzitutto riconoscerci per quello che siamo: diversi. Riconoscerci diversi per poi accettarci, nella nostra diversità. Rimettere la centralità dell’essere umano nelle discussioni, nelle politiche e programmi per la lotta alla fame e alla povertà vuol dire quindi partire dalla prima e più ovvia diversità, di genere. Genere vuol dire cultura, rispetto, diritti e doveri.
Finché non avremo chiaro questo aspetto basico, purtroppo ci saranno ancora tante Amina da piangere. Io provo, qui dentro, a spingere perché la questione “genere” diventi la variabile strutturale per pensare ai nostri interventi futuri, ma anche nei nostri rapporti quotidiani, dal piccolo al grande insomma, perché la diversità e il rispetto non sono solo parole da usare nella manifestazioni, ma anche nella nostra vita e nella nostra attività professionale di tutti i giorni.
Amina, non ti dimenticheremo.
lunedì 26 marzo 2012
Inter, è Champions battuta l'Ajax ai rigori
La Primavera nerazzurra ha vinto la più importante competizione europea giovanile battendo i favoritissimi olandesi 6-4. La partita era finita 1-1-Moratti: "Una vittoria fantastica"
L'Inter Primavera è salita sul tetto d'Europa conquistando la prima edizione della Next Generation Series, un trionfo che riempie d'orgoglio il mondo nerazzurro e che Andrea Stramaccioni, all'indomani della finale, sceglie di condividere con tutta Italia: "Perché questa vittoria dell'Inter è una vittoria di tutto il calcio italiano", ci ha tenuto a precisare il tecnico
vabbé.. almeno questa é andata bene in quest'annata disgraziata...
domenica 25 marzo 2012
Sulla strada del Sagrantino a Montefalco
Non sto qui a spiegare quanto buono sia questo vino, così come il Rosso di Montefalco o il pregiato trebbiano bianco che fanno nella cantina Antonelli.
Vi racconto un week-end simpatico, cominciato con l’idea di partire sulle tracce di questi vini, a poco più di due ore da casa. Errore iniziale, non avendo fretta, è di fidarsi del Tom-Tom e chiedergli la strada più corta (ma non più veloce). Memori delle avventure passate (estate scorsa, Puglia) forse avremmo dovuto essere meno ingenui e prendere il Tom-Tom per quello che è: una macchina che ragiona come una macchina. Risultato: siamo passati per Narni, ridente cittadina come si diceva ai miei tempi a scuola. Famosa fin dai tempi dei romani, sul net tutti quelli che ci sono passati hanno lasciato commenti più che positivi. Nel nostro caso il Tom-Tom ha deciso di colmare la nostra ignoranza e farci passare per il centro storico, bello, anzi bellissimo anche se goduto guidando. Dopo però, finita la stretta via che passa davanti al palazzo comunale, ci ha ordinato di girare a destra e subito dopo a sinistra… e siamo così finiti dritti .. in un parcheggio. La strada essendo stretta e in salita, non si poteva far altro che entrarci, per cui premuto il pulsante e ritirato il gettone siamo entrati cercando l’uscita.
Un gruppo di ragazzi fortunatamente era lì e ci hanno mostrato per dove uscire dato che non era scritto da nessuna parte. Arrivati davanti alla barra di uscita, nemmeno 3 minuti dopo essere entrati, rimetto il gettone e: “gettone non pagato” mi dice la voce meccanica. Torno su a piedi, alla cassa automatica, metto il gettone e la risposta è: “pagamento non richiesto, riprendere il gettone”. Siamo andati avanti altri 15 minuti così, su e giù, ovviamente senza possibilità di uscita. Impietosito, uno dei ragazzi ha chiamato il responsabile comunale il quale, dopo una lunga spiegazione ha risposto dicendo che il sistema ha dei problemi e a volte si incanta, come è stato il caso nostro. L’unica era aspettare un po’, finchè non scattava un pagamento minimo e, dopo aver pagato, uscire dall’altra parte. Mezz’ora dopo siamo finalmente usciti, incazzati, da Narni e abbiamo ripreso il cammino, senza Tom-Tom, verso Montefalco. Siamo passati così da Bastardo, dove pare facciano un RossoBastardo niente male e ci siamo fermati alla cantina Antonelli, della quale avevamo già assaggiato il Rosso Montefalco. A parte il Rosso e il Sagrantino, molto buono e a prezzi leggermenti alti (gli altri saranno ancora più alti), la novità è stato il Trebbiano che fanno su quelle terre da rosso. Un gran vino e non molto caro. Consigliato.
A Montefalco abbiamo dormito al B&B Cardinal Girolamo (consigliato), a due passi (in macchina) dal centro. Siamo andati poi a Bevagna alla ricerca di un’altra cantina che però era chiusa e allora, sulla strada del ritorno, ci siamo fermati, a caso, da Milziade Antano, senza sapere che si trattava di uno dei migliori (e più cari) produttori. Una piccola azienda di 12 ettari, produzione limitata, arrivano a fare una vigna speciale di sole mille bottiglie, che vendono a 50 euro. Alle casse hanno messo Giordano, un giovane liceale molto simpatico e che ci sa fare veramente. Sicuramente anche da grande lo ritroveremo lì, tanto si vede che è il suo mestiere.
Cena in piazza, all’Alchimista, consigliato sul net e che consigliamo a nostra volta. Fondamentale telefonare prima perché il locale è piccolo e la cuoca molto ma molto brava, per cui è sempre pieno.
Voilà, un posto dove andare, e dove tornare. La foto è presa dal B&B.
venerdì 23 marzo 2012
La superiorità dei francesi:
Leggo su un giornale satirico la storia di una partoriente nel nuovo blocco creato alla maternità di Port Royal a Parigi (dove fra l’altro è nata mia figlia). Si tratta del più grosso centro della zona parigina e forse dell’intera Francia, con una capacità stimata di 6000 nascituri all’anno.
Succede però che un giorno si trovino lí contemporaneamente 4 donne, assistite da altrettante ostetriche. Fin qui tutto normale, la catena di montaggio va avanti normalmente finché una di loro viene chiamata da un chirurgo per una urgenza in sala operatoria, e dato che il nuovo raggruppamento ha avuto come conseguenza il taglio del 30% dei posti (http://10lunes.canalblog.com/archives/2012/03/23/23829420.html) il suo posto resta scoperto. Poco dopo una delle partorienti ha la bella idea di mettere al mondo due gemelli, così che l’ostetrica che stava con lei ha dovuto chiamare aiuto. La collega, nella sala a fianco, è corsa ad aiutarla lasciando così due partorienti in attesa, da sole. Cose che succedono, anche noi all’epoca era andata così. Sfortuna vuole che una delle due metta al mondo anche lei un bimbo in quel momento: la porta si era chiusa e nessuno ha sentito le grida della donna, che in più era lì da sola. Il bimbo è nato ma una volta uscito fuori è caduto per terra battendo sul pavimento.
A quel punto pare si siano attivati tutti, e si spera che stiano tutti bene anche se, sottolinea il giornale, gli effetti sul lungo periodo di questa botta presa in testa saranno difficili da valutare.
Pare che i colleghi d’ufficio siano stati invitati a non far circolare la notizia. Così che l’unica fonte per il momento resta il Canard Enchainé in edicola questa settimana.
PS. A noi con Charlotte era andata meglio; nata con un cesareo, finché stavano finendo con la madre un’infermiera è uscita nel corridoio con la bimba in braccio e mi ha chiamato, dicendomi: questa è sua! Da quel momento ho dovuto imparare a fare il mammo.
Succede però che un giorno si trovino lí contemporaneamente 4 donne, assistite da altrettante ostetriche. Fin qui tutto normale, la catena di montaggio va avanti normalmente finché una di loro viene chiamata da un chirurgo per una urgenza in sala operatoria, e dato che il nuovo raggruppamento ha avuto come conseguenza il taglio del 30% dei posti (http://10lunes.canalblog.com/archives/2012/03/23/23829420.html) il suo posto resta scoperto. Poco dopo una delle partorienti ha la bella idea di mettere al mondo due gemelli, così che l’ostetrica che stava con lei ha dovuto chiamare aiuto. La collega, nella sala a fianco, è corsa ad aiutarla lasciando così due partorienti in attesa, da sole. Cose che succedono, anche noi all’epoca era andata così. Sfortuna vuole che una delle due metta al mondo anche lei un bimbo in quel momento: la porta si era chiusa e nessuno ha sentito le grida della donna, che in più era lì da sola. Il bimbo è nato ma una volta uscito fuori è caduto per terra battendo sul pavimento.
A quel punto pare si siano attivati tutti, e si spera che stiano tutti bene anche se, sottolinea il giornale, gli effetti sul lungo periodo di questa botta presa in testa saranno difficili da valutare.
Pare che i colleghi d’ufficio siano stati invitati a non far circolare la notizia. Così che l’unica fonte per il momento resta il Canard Enchainé in edicola questa settimana.
PS. A noi con Charlotte era andata meglio; nata con un cesareo, finché stavano finendo con la madre un’infermiera è uscita nel corridoio con la bimba in braccio e mi ha chiamato, dicendomi: questa è sua! Da quel momento ho dovuto imparare a fare il mammo.
giovedì 22 marzo 2012
La parola magica: fare un CATASTO
Come molti di voi sanno, il mio lavoro consiste ad occuparmi delle questioni legate all’accesso e alla gestione a certe risorse naturali, la terra in particolare. Come rendere più sicuro questo accesso, come riconoscere i diritti dei vari attori, popoli indigeni, comunità locali, privati cittadini etc… ecco come riempio le mie giornate, fra progetti da seguire e rapporti da leggere.
Con gli anni uno impara anche a non farsi troppo trasportare dalle mode che, inevitabili come i temporali d’agosto, periodicamente vengono lanciate come soluzioni miracolose a problemi complessi. In fondo questo è il sogno di tutti, trovare risposte semplici e facili da mettere in opera a problemi così complessi che richiederebbero una energia e una quantità di voglia troppo grande per i politici che abbiamo, noi tutti, nel mondo.
Una di queste mode riguarda il tema del catasto. Da molti anni si legge e si sente dire come con l’avvento di un catasto moderno, gran parte dei problemi di insicurezza della terra saranno risolti. La Banca mondiale spinge (ha spinto?) per decenni su questo tema, cosí altre organizzazioni finanziarie internazionali. Da noi si è (parzialmente) seguito lo stesso cammino; poco serviva raccontare come il catasto italiano ci abbia messo cent’anni a nascere e che, dal momento che fu completato, già aveva bisogno di essere aggiornato perché era vecchio. Nel sud del mondo non ne trovi uno che funzioni, dato che le risorse, umane e tecniche, necessarie vanno ben al di là delle capacità delle fragili istituzioni locali.
Leggo stamattina su un giornale satirico francese un articolino sulla crisi greca e sulle soluzioni per venirne fuori: constatando l’impossibilità della Grecia di pagare un prestito contratto alcuni anni prima, un rappresentante francese (Ambasciatore?) suggeriva una serie di riforme amministrative fra cui l’introduzione del catasto. Questo succedeva nel 1859. L’ultimo numero della rivista francese “Studi Fondiari” che esce a giorni, riporta una notizia, già apparsa anche su vari siti italiani a dire il vero, che la Grecia non ha un catasto. Ci sono pezzi di informazioni qui e lá… e adesso, cento cinquant’anni dopo aver capito la natura strategica del catasto, pare che il governo si metterà al lavoro su questo tema. Si stima che siano 110.000 (centodiecimila) i volumi che riposano presso la Conservatoria dei registri immobiliari, che dovrebbero essere digitalizzati. Buona fortuna. Ne riparleranno i nostri nipoti.
Con gli anni uno impara anche a non farsi troppo trasportare dalle mode che, inevitabili come i temporali d’agosto, periodicamente vengono lanciate come soluzioni miracolose a problemi complessi. In fondo questo è il sogno di tutti, trovare risposte semplici e facili da mettere in opera a problemi così complessi che richiederebbero una energia e una quantità di voglia troppo grande per i politici che abbiamo, noi tutti, nel mondo.
Una di queste mode riguarda il tema del catasto. Da molti anni si legge e si sente dire come con l’avvento di un catasto moderno, gran parte dei problemi di insicurezza della terra saranno risolti. La Banca mondiale spinge (ha spinto?) per decenni su questo tema, cosí altre organizzazioni finanziarie internazionali. Da noi si è (parzialmente) seguito lo stesso cammino; poco serviva raccontare come il catasto italiano ci abbia messo cent’anni a nascere e che, dal momento che fu completato, già aveva bisogno di essere aggiornato perché era vecchio. Nel sud del mondo non ne trovi uno che funzioni, dato che le risorse, umane e tecniche, necessarie vanno ben al di là delle capacità delle fragili istituzioni locali.
Leggo stamattina su un giornale satirico francese un articolino sulla crisi greca e sulle soluzioni per venirne fuori: constatando l’impossibilità della Grecia di pagare un prestito contratto alcuni anni prima, un rappresentante francese (Ambasciatore?) suggeriva una serie di riforme amministrative fra cui l’introduzione del catasto. Questo succedeva nel 1859. L’ultimo numero della rivista francese “Studi Fondiari” che esce a giorni, riporta una notizia, già apparsa anche su vari siti italiani a dire il vero, che la Grecia non ha un catasto. Ci sono pezzi di informazioni qui e lá… e adesso, cento cinquant’anni dopo aver capito la natura strategica del catasto, pare che il governo si metterà al lavoro su questo tema. Si stima che siano 110.000 (centodiecimila) i volumi che riposano presso la Conservatoria dei registri immobiliari, che dovrebbero essere digitalizzati. Buona fortuna. Ne riparleranno i nostri nipoti.
UNIPOL, Ligresti e ricordi giovanili
La Unipol è una compagnia di assicurazione nata con una solida collocazione a sinistra, Lega delle Cooperative etc. Cosa per cui, quando iniziai il mio tirocinio di giovane geometra, il caso volle che il mio capo avesse l’ufficio assieme a quelli dell’Unipol di Vicenza. Passai un paio d’anni con loro e la simpatia nei loro confronti aumentò.
Poi un giorno ti capita di leggere i giornali e quel tentativo di scalata della Banca Nazionale del Lavoro da parte della Unipol di Consorte. Le polemiche seguite alla storia della telefonata intercettata a Fassino, non tolgono il fatto che uno si chiede cosa ci vadano a fare le cooperative dentro un mondo della finanza dove girano più squali che nell’oceano. E così cominci a ripensare alle tue simpatie giovanili …
L’altro ieri invece ero in macchina ed ascoltavo la radio. Si parlava della Fondiaria, altra compagnia assicurativa, e del salvataggio che stanno tentando di organizzare a partire proprio dalla UNIPOL. Il socio di maggioranza della Fondiaria è Salvatore Ligresti, su cui non c’è bisogno di dilungarsi. Il giornalista (Radio24 credo) ricordava come il Salvatore (di se stesso), padrone assoluto delle decisioni strategiche del gruppo Fondiaria (portata abilmente sul lastrico), fra il 2003 e il 2010 ha pensato bene di prendere un consulente speciale, con contratto ad-hoc, per la bella somma di 40 milioni di euro tondi tondi. Il nome del consulente non mi è nuovo, si chiama Ligresti Salvatore, sí proprio lui. Il Ligresti socio di maggioranza si è fatto contrattare da se stesso per aiutare, se stesso, a decidere le strategie che poi, lui, avrebbe messo in essere.
Ora, di fronte a uno scandalo del genere, uno si aspetta che il futuro acquirente chieda pulizia e che questo pagamento, una vera e propria truffa, venga bloccato. E invece no, come ci conferma Il Fatto: Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol, ha già detto che la sua compagnia non è “l’angelo vendicatore” e quindi, se andrà in porto il salvataggio, non ci saranno azioni legali sui precedenti amministratori.
E allora i tuoi dubbi non fanno altro che aumentare. Ripensi quanto era facile farsi delle illusioni da giovani, di avere un codice etico che ti faceva sentire diverso e come sembra proprio che il cammino naturale sia che una dopo l’altra le illusioni si spengano tutte…
Speriamo di no.. ma qui ci vuole una speranza degna di quelli che vanno a Lourdes…
martedì 20 marzo 2012
Guatemala: Marcha por la Resistencia la Dignidad, en Defensa de la Tierra y el Territorio
Ricevo e volentieri pubblico
REPORTE # 1
Guatemala 19 de marzo 2012
Inicia jornada de movilización y lucha en Guatemala
Con una Invocación y ceremonia maya en el Parque central de Cobán Alta Verapaz se da inicio a la jornada de movilización y lucha. “Marcha por la Resistencia la Dignidad, en Defensa de la Tierra y el Territorio".
Con la presencia de niños niñas jóvenes hombres y mujeres de diferentes regiones del país se inicia la jornada de movilización y lucha, la cual tendrá una duración nueve días.
La marcha inicia en Cobán tierra Q'eqchi' y finalizará en el parque Central de la Ciudad capital, las demandas concretas las cuales han planteado comunidades desde hace varios años son: 1. Que se aborde con seriedad la problemática de la tierra. 2. La condonación total y definitiva de la deuda agraria. 3. Que se terminen los desalojos, la persecución y criminalización, 4. Cancelación de las licencias mineras de exploración y explotación minera petrolera, la construcción de hidroeléctricas y el impulso de monocultivos. 5. Aprobación de leyes en beneficio de los pueblos y comunidades empobrecidas.
Los representantes señalaron que la problemática de tierra se a intensificado a nivel nacional sin que el gobierno de respuestas concretas, por ello exigen se de respuesta a regiones como Alta Verapaz en el norte de el Quiché Zacualpa, Santa María Xalapan y Petén entre otros. Otra de las demandas es la condonación definitiva de la deuda agraria.
Se tiene previsto que la marcha inicie con alrededor de 1,500 personas y durante el recorrido se sumarán más comunidades de todo el país porque las demandas son las mismas señalaron representantes.
En la marcha participan familias Q'eqchi'es debido a que en marzo se cumple un año de los desalojos violentos llevados a cabo en el Valle del Polochic en donde las autoridades han favorecido a la empresa Chabil Utzaj.
http://www.movimientom4.org/2012/03/marcha-por-la-resistencia-la-dignidad-en-defensa-de-la-tierra-y-el-territorio/
venerdì 16 marzo 2012
16 Marzo 1978: solo per ricordare
Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasportava Moro, dalla sua abitazione nel quartiere Trionfale zona Monte Mario di Roma alla Camera dei deputati, fu intercettata da un commando delle Brigate Rosse all'incrocio tra via Mario Fani e Via Stresa. Gli uomini delle BR uccisero, in pochi secondi, i 5 uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Eravamo giovani, io ero anche rappresentante di Istituto al Canova e venni chiamato con urgenza in Presidenza; ci dissero cos'era accaduto. Ricordo ancora oggi il senso di vuoto, quando una cosa più grande di te ti cade addosso.
Non avevamo una percezione chiara di cosa potesse significare, ma certo non eravamo così ingenui da pensare che si trattasse di una cosa semplice. Certo che potevamo sperare si arrivasse un giorno a saperla tutta la storia, anche se i precedenti dal 1969 in poi erano già chiari. Che ci fosse qualcun altro ad operare in Italia per mandarci in direzioni decise altrove, tutte ben lontane da una democrazia consolidata, questo era chiaro. Più tardi arrivarono le scoperte del piano di rifondazione di Licio Gelli, poi sapemmo dei tentativi di colpo di stato di Junio Valerio Borghese del 1970, fino ad arrivare ad oggi con il vecchio materassaio che si dice contento per quello che BVerlusconi ha fatto, esattamente quello che lui proponeva allora.
Moro ha avutoi una vita politica complicata, non sempre chiara e trasparente come si è voluto ricordare ai posteri, ma certo ha pagato caro il credere che fossimo in democrazia e che fosse possibile associare le forze progressiste al governo. Con gli anni ste forze si sono svuotate da sole, per cui oramai non fanno paura a nessuno.
giovedì 15 marzo 2012
Villa Algarve: antiga sede da PIDE em Maputo
Ieri, il nostro mitico autista, Sr. Mutemba, passando vicino al nostro ufficio attuale, ci ha mostrato questa casa in rovina che vedete nella foto: si tratta della famosa Villa Algarve, la sede della polizia coloniale il cui compito era stanare tutti le persone pericolose per la stabilità della colonia, attivisti politici, artisti, poeti e quant'altro.
Ne hanno combinate di tutti i colori lì dentro, e si racconta esistesse una botola segreta che permetteva di portar via i morti direttamente verso le fogne e da lì al mare, in modo che non ne restassero traccia.
Tutti i mozambicani ricordano quella storia, e sicuramente ancora oggi non è cicatrizzata, come testimonia lo stato di incuria della Villa, malgrado le dichiarazioni di ristrutturazione che si sono succedute nel tempo, ultima quella dichiarata dall'ordine degli avvocati moambicani nel 2008 come appare dal bel articolo qui sotto riprodotto.
Il punto centrale è che non si è voluto fare, fin'ora, nessun rituale purificatore della casa, e pertanto nessun operaio mozambicano osa entrare a lavorarci.
Storie simili se ne sentono spesso, l'ultima riguarda il ponte di Inhambane, dove gli incidenti si ripetevano tutti i mesi finchè non è stata sacrificata una vacca, secondo i rituali locali, e da allora non ci sono più stati problemi. Villa Algarve si porta dietro una storia troppo triste, carica di simboli e di ricordi che fanno parte del patrimonio del nuovo paese: la sua memoria. Forse varrebbe la pena fare uno sforzo e rimetterla a posto, per salvaguardarla a futura memoria di cosa combinò il colonialismo.
"… no entanto, um típico tremor, quando olho os clássicos azulejos. São os meus joelhos a falar (…), vinte e quatro séculos morridos em duas dezenas de horas de pé (…). Devo-te, Maria, no epílogo do pânico, manter--me calado, em me sentir um verme…"
Assim, em mais um dos seus poemas a Maria, José Craveirinha, poeta de Moçambique, lembrou, em verso, a "Vila Algarve", onde, em 1966, à tarde, como diz noutro poema, "pela duodécima vez, abanava a cabeça e dizia - Não sei!". Ano e momento em que diante de um subchefe Acácio, se confrontava com uma espécie de "deus fantasmagórico envolto na especial nuvem de tabaco, mistura de Virgínia com pele", sofrendo a dor do "cigarro aceso a fumar de repente o ombro direito", um cigarro que apagava a sua boca de lume no calor escuro da sua omoplata…
A "Vila Algarve" era, nesse tempo, a sede da PIDE-DGS, e Craveirinha estava preso, ocupando, com o pintor Malangantana e o também poeta Rui Nogar, a célebre "Cela 1", adivinhado buraco de dor no interior da esplêndida moradia, decorada, no exterior, com fascinantes e luxuosos quadros algarvios de azulejo azul e branco. Rui Knopfli, outro poeta de Moçambique, também preso na "casa amarela", alude, no prefácio do livro "Maria", com poemas de Craveirinha, aos "reflexos insidiosos dos azulejos da 'Vila Algarve'".
Eram então jovens, ainda, esses agora enormes vultos da cultura de Moçambique, os negros, mestiços e brancos, e Knopfli destaca essa juventude, mesmo a juventude moçambicana de origem europeia "mas já nascida em África e despertada para as injustiças coloniais".
Depois da independência, varrida a PIDE, a "Vila Algarve" ficou como símbolo da infâmia, uma casa de fantasma e cujo interior só corriam os "moluenes", as crianças de rua, e, depois, na fuga para Maputo imposta pela guerra civil, os refugiados, muitos, atormentados pelos demónios do conflito e que talvez nunca tivessem ouvido falar da PIDE e do que ela fazia naquela "casa amarela"…
No princípio dos anos 90, em reportagem para a TSF, ali encontrei gente fugida da guerra, ocupando todos os centímetros quadrados da casa, incluindo as celas onde sofreram Craveirinha, Knopfli, Malangantana, Nogar e outros. Dei-me conta dos contrastes, o exterior belo na majestade daqueles azulejos algarvios, o interior com as sombras e as manchas da tirania e pensei que faria sentido ali se instalar alguma instituição--símbolo da liberdade, da justiça, da democracia. Porém, muito tempo passou e nenhuma força, idealmente luso-moçambicana, foi capaz de gerar apoios para a reconstrução da "Vila Algarve" e a sua abertura a gente de bem.
Agora parece começar a cumprir-se o justo destino da "Vila Algarve", com o novo bastonário da Ordem dos Advogados de Moçambique, Gilberto Correia, determinado a conquistar apoios para ali instalar a Ordem, uma instituição da justiça, da liberdade e da democracia. Anunciou a intenção e espera contribuições, também de Portugal, por ser justo e por ser um imperativo histórico lusitano.
A reabilitação da "Vila Algarve" custará cerca de 400 mil euros e o Governo moçambicano já prometeu dar uma parcela de 25 mil euros.
Fonte: http://www.dn.pt/inicio/interior.aspx?content_id=999767&page=2
lunedì 12 marzo 2012
Mozambique: JICA to prioritise development of Nacala rail corridor
http://www.trademarksa.org/news/jica-prioritise-development-nacala-rail-corridor
Maputo: The Japanese International Cooperation Agency (JICA) has told Mozambican Prime Minister Aires Ali that it plans to prioritise the development of the Nacala rail corridor in northern Mozambique in its plans for the next five years.
The deputy chairperson of JICA, Tsuneo Kurokawa, was speaking in Tokyo on Tuesday at a meeting between Ali and the sub-Saharan Africa Committee of Keidnren (the Japanese Business Federation).
Kurokawa said that JICA's activities in Mozambique would also focus on upgrading the roads from Nampula and Cuamba and from Cuamba to Lichinga, in the far north of the country, as well as on sanitation and water supply, and improving education facilities.
According to a report in Wednesday's issue of the Maputo daily "Noticias", Kurokawa added that Japan is interested in developing projects in energy, mineral resources, industry, and agricultural development - particularly through the Pro-Savana programme, which is a triangular cooperation arrangement between Mozambique, Brazil and Japan.
Pro-Savana will be implemented in districts along the Nacala Corridor, with the aim of boosting food security and improving the competitiveness of Mozambican agriculture. Pro-Savana was launched in April 2011, and this April a Japanese delegation will visit Mozambique to discuss progress in the first year.
Responding to the interest shown in Mozambique by Japanese businesses, Ali stressed that the country has enormous untapped potential for agriculture, in that only five million hectares of land are currently under cultivation, although the total amount of arable land in Mozambique is estimated at 36 million hectares.
"Our annual per capita national income is now about 500 US dollars", said Ali. "But if we promote some of these activities, including those envisaged for the Nacala Corridor, I think that within the next five to ten years, we can reach a per capita income of 1,000 dollars or more".
Also on Tuesday, Ali met with his Japanese counterpart Yoshihiko Noda, and received the chairmen of two major Japanese companies with interests in Mozambique, Mitsui and Nippon Steel.
Mitsui is a shareholder in the Mozal aluminium smelter on the outskirts of Maputo, and holds 20 per cent in one of the offshore natural gas exploration projects in northern Mozambique. Nippon steel is involved in coal exploration, and eventually mining, in the western province of Tete.
Maputo: The Japanese International Cooperation Agency (JICA) has told Mozambican Prime Minister Aires Ali that it plans to prioritise the development of the Nacala rail corridor in northern Mozambique in its plans for the next five years.
The deputy chairperson of JICA, Tsuneo Kurokawa, was speaking in Tokyo on Tuesday at a meeting between Ali and the sub-Saharan Africa Committee of Keidnren (the Japanese Business Federation).
Kurokawa said that JICA's activities in Mozambique would also focus on upgrading the roads from Nampula and Cuamba and from Cuamba to Lichinga, in the far north of the country, as well as on sanitation and water supply, and improving education facilities.
According to a report in Wednesday's issue of the Maputo daily "Noticias", Kurokawa added that Japan is interested in developing projects in energy, mineral resources, industry, and agricultural development - particularly through the Pro-Savana programme, which is a triangular cooperation arrangement between Mozambique, Brazil and Japan.
Pro-Savana will be implemented in districts along the Nacala Corridor, with the aim of boosting food security and improving the competitiveness of Mozambican agriculture. Pro-Savana was launched in April 2011, and this April a Japanese delegation will visit Mozambique to discuss progress in the first year.
Responding to the interest shown in Mozambique by Japanese businesses, Ali stressed that the country has enormous untapped potential for agriculture, in that only five million hectares of land are currently under cultivation, although the total amount of arable land in Mozambique is estimated at 36 million hectares.
"Our annual per capita national income is now about 500 US dollars", said Ali. "But if we promote some of these activities, including those envisaged for the Nacala Corridor, I think that within the next five to ten years, we can reach a per capita income of 1,000 dollars or more".
Also on Tuesday, Ali met with his Japanese counterpart Yoshihiko Noda, and received the chairmen of two major Japanese companies with interests in Mozambique, Mitsui and Nippon Steel.
Mitsui is a shareholder in the Mozal aluminium smelter on the outskirts of Maputo, and holds 20 per cent in one of the offshore natural gas exploration projects in northern Mozambique. Nippon steel is involved in coal exploration, and eventually mining, in the western province of Tete.
Moçambique: A savana vai virar cerrado
http://www.totumex.com.br/noticias_visualizar.php?id=793
Brasileiros e japoneses repetem em Moçambique a parceria que revolucionou a agricultura no Brasil
Cecilia Pires
Cento e cinquenta moçambicanos recém-treinados no Brasil pela Empresa Brasileira de Pesquisa Agropecuária (Embrapa) estão atravessando o Atlântico de volta a seu país. Lá, eles ensinarão a seus compatriotas as técnicas agrícolas que aprenderam no Centro de Estudos e Capacitação em Agricultura Tropical, em Brasília, tornando-se multiplicadores do conhecimento trazido da América do Sul. Enquanto isso, 80 cientistas e técnicos japoneses vão e voltam entre o Oriente e a África Austral, cruzando o Oceano Índico para estudar solos e cultivos na savana africana.
No meio desse redemoinho, um veterano pesquisador brasileiro anima-se: “Esse projeto pode ser a segunda independência de Moçambique”, prevê Alberto Santana, o coordenador, pela Embrapa, do Projeto ProSavana JBM (de Japão, Brasil e Moçambique), a iniciativa trinacional que provoca toda essa movimentação entre continentes. O ProSavana — cujo nome oficial é Programa de Desenvolvimento Agrícola das Savanas Tropicais de Moçambique — pretende transformar num celeiro de alimentos a região do norte do país, conhecida como o Corredor de Nacala. Ela é atravessada por uma via rodoferroviária que parte do Porto de Nacala, no Índico, rumo ao oeste, e chega à cidade de Lichinga, no interior do continente.
O programa é o passaporte para garantir a segurança alimentar dos 20 milhões de habitantes da ex-colônia portuguesa — hoje um dos países mais pobres do mundo, forçado a importar da vizinha África do Sul 60% dos alimentos que consome. É também um esforço para replicar na África os resultados do Programa de Desenvolvimento dos Cerrados (Prodecer), que revolucionou a agricultura brasileira nas décadas finais do século 20 e a converteu num dos celeiros do mundo. Os pesquisadores do Prodecer estudaram e corrigiram os solos do Centro-Oeste brasileiro, até então considerados estéreis, e desenvolveram sementes adaptadas ao clima tropical. Conseguiram, assim, abrir os vastos cerrados do Planalto Central às culturas de exportação, principalmente de grãos como a soja, criando as bases para o desenvolvimento do agronegócio em grande escala no Brasil.
As savanas do Corredor de Nacala guardam grandes semelhanças com o cerrado brasileiro. E para completar o parentesco entre os dois projetos, só falta falar dos japoneses. A Agência de Cooperação Internacional do Japão (Jica), participante do programa moçambicano, foi a fornecedora de assistência técnica e financiamento para o Prodecer. Agora, a parceria se repete na África, com duas diferenças: a Embrapa, que lá atrás recebeu a assistência japonesa, assume desta vez o papel de coprovedora da cooperação técnica para um terceiro país; e a Agência Brasileira de Cooperação (ABC) entra como parceira da empreitada ao lado da Jica. Trata-se do exemplo mais cristalino da transformação do Brasil de receptor em doador de assistência internacional.
“A intenção é que este programa seja um modelo para ser implementado em outros países, como foi o caso da cooperação japonesa para o cerrado brasileiro”, afirma o representante da Jica no Brasil, Satoshi Yoshida. As razões do Japão para manter e ampliar a parceria iniciada há mais de 30 anos no Prodecer decorrem da excelência alcançada pelo país na área agrícola, que, por sua vez, resulta de experiências acumuladas tanto no campo como nos laboratórios de pesquisas em agricultura tropical.
Lá em Moçambique, enquanto isso, as primeiras sementes de mandioca, sorgo, milho e feijão já começaram a ser semeadas nos campos de experimentação nas províncias de Nampula, Niassa e Zambézia. Ali, assim como nos campos do Centro-Oeste brasileiro, o início do plantio coincide com as primeiras chuvas de outubro. Foram selecionadas, inicialmente, três áreas — uma em cada província — somando 120 mil hectares. Em parte delas, os governos provinciais assentaram ex-combatentes da guerra civil moçambicana, deflagrada logo em seguida à independência de Portugal, em 1975. Outra parte poderá ser cedida para a instalação de projetos produtivos, para comunidades de agricultura familiar ou associações de produtores.
Os objetivos do ProSavana cobrem um horizonte de 20 anos. O primeiro é transferir tecnologias e reforçar as capacidades de pesquisa do Instituto de Investigação Agrária de Moçambique. Nesta etapa inicial, o investimento será de 13,48 milhões de dólares, dos quais o Brasil entra com 3,67 milhões de dólares. Em sua última etapa, o programa vai desenvolver um plano diretor agrícola para a região. Será possível identificar as áreas com maior vocação para a agricultura familiar e aquelas com potencial para o agronegócio de grande escala, entre outras diretrizes técnicas e econômicas. “Um dos maiores exportadores de banana do mundo, a americana Chiquita, recebeu uma concessão de 2 mil hectares dentro da área do projeto”, relata Alberto Santana, o coordenador brasileiro do ProSavana. “Um agricultor que quiser uma área em concessão não terá problema. Há muita terra para produzir.”
Do outro lado da África, a 6 mil quilômetros das savanas moçambicanas, o pesquisador José Geraldo Di Stefano, também da Embrapa, ocupa-se de um cultivo crucial para a sobrevivência dos pequenos agricultores de quatro países da África subsaariana — o algodão. Di Stefano vive há pouco mais de um ano no Mali, um dos sete maiores países do continente africano, mas, mesmo assim, um dos mais pobres do mundo. O projeto que levou Di Stefano à África, da mesma forma que o ProSavana, tem o apoio da ABC e é executado pela Embrapa (sem a contraparte japonesa). Batizado de Cotton 4 (Algodão 4), seu propósito é aumentar a produtividade e a qualidade da produção dos quatro países que participam do projeto: além do Mali, os vizinhos Chade, Benin e Burkina Faso (conhecidos, no jargão da Organização Mundial do Comércio, como o grupo Cotton 4 ou C-4, por sua dependência econômica do algodão).
Pelo telefone celular, em ligação precária e entrecortada, Di Stefano disse à PIB que dez variedades de algodão da Embrapa já foram testadas e comparadas com cultivares locais. As instituições de pesquisa da própria região estão agora verificando quais são mais aptas para a produção nas condições africanas. “Tudo isso é muito novo” explica ele. “Começamos agora.” O núcleo das atividades do programa é a Estação Experimental do Centro de Pesquisa Agrícola de Sotuba, em Bamako, a capital do Mali. Lá, são testadas variedades de algodão e feitas as avaliações de solos.
A Embrapa ainda oferece cursos para pesquisadores dos países do C-4 sobre o melhoramento genético da planta — passo indispensável para que os agricultores desses países, que têm no algodão sua principal fonte de renda, consigam competir em melhores condições no mercado mundial. O Brasil tem a tecnologia para isso e interesses comuns com os quatro países: há dois anos, ganhou na OMC uma ação contra os subsídios oferecidos pelo governo dos Estados Unidos aos seus produtores, que despejam no mercado mundial algodão a preços deprimidos e prejudicam os agricultores africanos e brasileiros.
Foi assim que Di Stefano foi parar em Bamako, onde deve ficar até 2012, vendo a família no máximo dois meses por ano. Na difícil ligação por celular, ele conta que estava na estação experimental, verificando a câmara fria, a sala de beneficiamento de sementes e o laboratório de criação de elementos naturais contra pragas. Di Stefano conta que os pesquisadores acabaram de iniciar a adubação dos cultivos usando um equipamento que reflete bem a criatividade de quem tem poucos recursos e precisa encontrar soluções de baixo custo, mas eficientes. Garrafas plásticas de refrigerantes com o fundo cortado e um cabo de madeira adaptado tornam-se uma espécie de funil para distribuir os adubos e as sementes no solo. “Elas homogeneizam a distribuição e, melhor ainda, diminuem o cansaço das pessoas”, diz.
O projeto tem uma postura de “troca de saberes”, diz ele, o que pressupõe o respeito pelo conhecimento local acumulado pelos agricultores africanos há muitos anos. “Queremos melhorar a base genética do algodão, não é uma substituição de modelo”, afirma. “Usamos o que existe aqui: o trabalho da Embrapa avança passo a passo, para não expô-los a uma mudança drástica.”
Brasileiros e japoneses repetem em Moçambique a parceria que revolucionou a agricultura no Brasil
Cecilia Pires
Cento e cinquenta moçambicanos recém-treinados no Brasil pela Empresa Brasileira de Pesquisa Agropecuária (Embrapa) estão atravessando o Atlântico de volta a seu país. Lá, eles ensinarão a seus compatriotas as técnicas agrícolas que aprenderam no Centro de Estudos e Capacitação em Agricultura Tropical, em Brasília, tornando-se multiplicadores do conhecimento trazido da América do Sul. Enquanto isso, 80 cientistas e técnicos japoneses vão e voltam entre o Oriente e a África Austral, cruzando o Oceano Índico para estudar solos e cultivos na savana africana.
No meio desse redemoinho, um veterano pesquisador brasileiro anima-se: “Esse projeto pode ser a segunda independência de Moçambique”, prevê Alberto Santana, o coordenador, pela Embrapa, do Projeto ProSavana JBM (de Japão, Brasil e Moçambique), a iniciativa trinacional que provoca toda essa movimentação entre continentes. O ProSavana — cujo nome oficial é Programa de Desenvolvimento Agrícola das Savanas Tropicais de Moçambique — pretende transformar num celeiro de alimentos a região do norte do país, conhecida como o Corredor de Nacala. Ela é atravessada por uma via rodoferroviária que parte do Porto de Nacala, no Índico, rumo ao oeste, e chega à cidade de Lichinga, no interior do continente.
O programa é o passaporte para garantir a segurança alimentar dos 20 milhões de habitantes da ex-colônia portuguesa — hoje um dos países mais pobres do mundo, forçado a importar da vizinha África do Sul 60% dos alimentos que consome. É também um esforço para replicar na África os resultados do Programa de Desenvolvimento dos Cerrados (Prodecer), que revolucionou a agricultura brasileira nas décadas finais do século 20 e a converteu num dos celeiros do mundo. Os pesquisadores do Prodecer estudaram e corrigiram os solos do Centro-Oeste brasileiro, até então considerados estéreis, e desenvolveram sementes adaptadas ao clima tropical. Conseguiram, assim, abrir os vastos cerrados do Planalto Central às culturas de exportação, principalmente de grãos como a soja, criando as bases para o desenvolvimento do agronegócio em grande escala no Brasil.
As savanas do Corredor de Nacala guardam grandes semelhanças com o cerrado brasileiro. E para completar o parentesco entre os dois projetos, só falta falar dos japoneses. A Agência de Cooperação Internacional do Japão (Jica), participante do programa moçambicano, foi a fornecedora de assistência técnica e financiamento para o Prodecer. Agora, a parceria se repete na África, com duas diferenças: a Embrapa, que lá atrás recebeu a assistência japonesa, assume desta vez o papel de coprovedora da cooperação técnica para um terceiro país; e a Agência Brasileira de Cooperação (ABC) entra como parceira da empreitada ao lado da Jica. Trata-se do exemplo mais cristalino da transformação do Brasil de receptor em doador de assistência internacional.
“A intenção é que este programa seja um modelo para ser implementado em outros países, como foi o caso da cooperação japonesa para o cerrado brasileiro”, afirma o representante da Jica no Brasil, Satoshi Yoshida. As razões do Japão para manter e ampliar a parceria iniciada há mais de 30 anos no Prodecer decorrem da excelência alcançada pelo país na área agrícola, que, por sua vez, resulta de experiências acumuladas tanto no campo como nos laboratórios de pesquisas em agricultura tropical.
Lá em Moçambique, enquanto isso, as primeiras sementes de mandioca, sorgo, milho e feijão já começaram a ser semeadas nos campos de experimentação nas províncias de Nampula, Niassa e Zambézia. Ali, assim como nos campos do Centro-Oeste brasileiro, o início do plantio coincide com as primeiras chuvas de outubro. Foram selecionadas, inicialmente, três áreas — uma em cada província — somando 120 mil hectares. Em parte delas, os governos provinciais assentaram ex-combatentes da guerra civil moçambicana, deflagrada logo em seguida à independência de Portugal, em 1975. Outra parte poderá ser cedida para a instalação de projetos produtivos, para comunidades de agricultura familiar ou associações de produtores.
Os objetivos do ProSavana cobrem um horizonte de 20 anos. O primeiro é transferir tecnologias e reforçar as capacidades de pesquisa do Instituto de Investigação Agrária de Moçambique. Nesta etapa inicial, o investimento será de 13,48 milhões de dólares, dos quais o Brasil entra com 3,67 milhões de dólares. Em sua última etapa, o programa vai desenvolver um plano diretor agrícola para a região. Será possível identificar as áreas com maior vocação para a agricultura familiar e aquelas com potencial para o agronegócio de grande escala, entre outras diretrizes técnicas e econômicas. “Um dos maiores exportadores de banana do mundo, a americana Chiquita, recebeu uma concessão de 2 mil hectares dentro da área do projeto”, relata Alberto Santana, o coordenador brasileiro do ProSavana. “Um agricultor que quiser uma área em concessão não terá problema. Há muita terra para produzir.”
Do outro lado da África, a 6 mil quilômetros das savanas moçambicanas, o pesquisador José Geraldo Di Stefano, também da Embrapa, ocupa-se de um cultivo crucial para a sobrevivência dos pequenos agricultores de quatro países da África subsaariana — o algodão. Di Stefano vive há pouco mais de um ano no Mali, um dos sete maiores países do continente africano, mas, mesmo assim, um dos mais pobres do mundo. O projeto que levou Di Stefano à África, da mesma forma que o ProSavana, tem o apoio da ABC e é executado pela Embrapa (sem a contraparte japonesa). Batizado de Cotton 4 (Algodão 4), seu propósito é aumentar a produtividade e a qualidade da produção dos quatro países que participam do projeto: além do Mali, os vizinhos Chade, Benin e Burkina Faso (conhecidos, no jargão da Organização Mundial do Comércio, como o grupo Cotton 4 ou C-4, por sua dependência econômica do algodão).
Pelo telefone celular, em ligação precária e entrecortada, Di Stefano disse à PIB que dez variedades de algodão da Embrapa já foram testadas e comparadas com cultivares locais. As instituições de pesquisa da própria região estão agora verificando quais são mais aptas para a produção nas condições africanas. “Tudo isso é muito novo” explica ele. “Começamos agora.” O núcleo das atividades do programa é a Estação Experimental do Centro de Pesquisa Agrícola de Sotuba, em Bamako, a capital do Mali. Lá, são testadas variedades de algodão e feitas as avaliações de solos.
A Embrapa ainda oferece cursos para pesquisadores dos países do C-4 sobre o melhoramento genético da planta — passo indispensável para que os agricultores desses países, que têm no algodão sua principal fonte de renda, consigam competir em melhores condições no mercado mundial. O Brasil tem a tecnologia para isso e interesses comuns com os quatro países: há dois anos, ganhou na OMC uma ação contra os subsídios oferecidos pelo governo dos Estados Unidos aos seus produtores, que despejam no mercado mundial algodão a preços deprimidos e prejudicam os agricultores africanos e brasileiros.
Foi assim que Di Stefano foi parar em Bamako, onde deve ficar até 2012, vendo a família no máximo dois meses por ano. Na difícil ligação por celular, ele conta que estava na estação experimental, verificando a câmara fria, a sala de beneficiamento de sementes e o laboratório de criação de elementos naturais contra pragas. Di Stefano conta que os pesquisadores acabaram de iniciar a adubação dos cultivos usando um equipamento que reflete bem a criatividade de quem tem poucos recursos e precisa encontrar soluções de baixo custo, mas eficientes. Garrafas plásticas de refrigerantes com o fundo cortado e um cabo de madeira adaptado tornam-se uma espécie de funil para distribuir os adubos e as sementes no solo. “Elas homogeneizam a distribuição e, melhor ainda, diminuem o cansaço das pessoas”, diz.
O projeto tem uma postura de “troca de saberes”, diz ele, o que pressupõe o respeito pelo conhecimento local acumulado pelos agricultores africanos há muitos anos. “Queremos melhorar a base genética do algodão, não é uma substituição de modelo”, afirma. “Usamos o que existe aqui: o trabalho da Embrapa avança passo a passo, para não expô-los a uma mudança drástica.”
Moçambique: Terra ociosa vai para quem a trabalha
Do jornal (governamental) Noticias::
"Agricultura passa da palavra à acção: Terra ociosa vai para quem a trabalha
POUCO mais de 64 mil hectares de terra estão em processo de revogação dos respectivos Direitos de Uso e Aproveitamento de Terra e reversão a favor do Estado, constatado que foi o abandono por parte dos requerentes. O Ministério da Agricultura, que promete passar da palavra à acção, pretende com esta cruzada disponibilizar a terra a quem de facto a trabalha para que ela possa contribuir na produção de alimentos.
Maputo, Quinta-Feira, 1 de Março de 2012:: Notícias . Sobre o assunto, o Director Nacional de Terras e Florestas, Dinis Lissave, disse ontem a jornalistas, na capital do país, depois de mais uma sessão do Conselho Consultivo do Ministério da Agricultura, que aquela extensão de terra refere-se a um total de 201 Títulos de Uso e Aproveitamento (DUATS), cujo processo de extinção foi accionado no ano passado por falta de aproveitamento.Com efeito, segundo Dinis Lissave, durante o ano passado foi lançada uma campanha de fiscalização tendo sido visitadas 1362 parcelas com Direito de Uso e Aproveitamento numa área de 455 mil hectares, tendo se constatado que 42 porcento dos titulares continuam a não aproveitar as terras, segundo o seu plano de exploração.De acordo com o Director de Terras e Florestas, a falta de aproveitamento das parcelas deve-se, na maioria dos casos, à incapacidade financeira dos titulares para a implementação de projectos, o que leva a um aparente abandono de terra por parte dos requerentes.Dinis Lissave indicou, porém, que a sua direcção vai continuar a prestar particular atenção a esta questão, tendo em vista reduzir o número de casos de ociosidade a que estão votadas numerosas parcelas que dariam um grande contributo para a produção de alimentos, visto que algumas delas estão em áreas com elevado potencial agrícola.Nesse sentido, segundo indicou a nossa fonte, a Direcção de Terras e Florestas está a capacitar os seus técnicos no sentido de se intensificar a fiscalização aos planos de exploração de DUATs com vista a disponibilizar terra para a produção de alimentos e outros projectos de investimento.No mesmo contexto, pretende-se melhorar o sistema de cobrança das taxas aos titulares de terra e de gestão do solo, bem como a sua integração de modo a que se saiba quem faz o quê e onde. O esforço feito durante o ano passado permitiu a cobrança de 23 milhões de meticais, correspondentes a um crescimento na ordem de 67 porcento em relação a 2010.
Uma atenção particular tem sido dada às comunidades locais e aos ocupantes de boa fé, através da demarcação e emissão de certidões oficiosas e títulos, respectivamente.
De acordo com os dados apresentados recentemente ao Parlamento pelo Ministro da Agricultura, José Pacheco, foram já identificadas cerca de 913 mil hectares de terra ociosa que corresponde a cerca de 37 porcento da área total autorizada para ser explorada por singulares e empresas durante o período de 2005 a 2010.
A lista é liderada pelas províncias de Gaza, com 442.965,77 hectares; Sofala com 96.316,79; Maputo-província com 93.320,45; seguindo-se depois a Zambézia com 88.626,53 hectares, respectivamente. Para este ano, a Direcção Nacional de Terras e Florestas tem como missão aprimorar os mecanismos de fiscalização de forma a dar terra a quem está realmente interessado em realizar actividades socioeconómicas que contribuam para o aumento da renda. O alvo serão as zonas com potencial agrícola e de maior conflito."
"Agricultura passa da palavra à acção: Terra ociosa vai para quem a trabalha
POUCO mais de 64 mil hectares de terra estão em processo de revogação dos respectivos Direitos de Uso e Aproveitamento de Terra e reversão a favor do Estado, constatado que foi o abandono por parte dos requerentes. O Ministério da Agricultura, que promete passar da palavra à acção, pretende com esta cruzada disponibilizar a terra a quem de facto a trabalha para que ela possa contribuir na produção de alimentos.
Maputo, Quinta-Feira, 1 de Março de 2012:: Notícias . Sobre o assunto, o Director Nacional de Terras e Florestas, Dinis Lissave, disse ontem a jornalistas, na capital do país, depois de mais uma sessão do Conselho Consultivo do Ministério da Agricultura, que aquela extensão de terra refere-se a um total de 201 Títulos de Uso e Aproveitamento (DUATS), cujo processo de extinção foi accionado no ano passado por falta de aproveitamento.Com efeito, segundo Dinis Lissave, durante o ano passado foi lançada uma campanha de fiscalização tendo sido visitadas 1362 parcelas com Direito de Uso e Aproveitamento numa área de 455 mil hectares, tendo se constatado que 42 porcento dos titulares continuam a não aproveitar as terras, segundo o seu plano de exploração.De acordo com o Director de Terras e Florestas, a falta de aproveitamento das parcelas deve-se, na maioria dos casos, à incapacidade financeira dos titulares para a implementação de projectos, o que leva a um aparente abandono de terra por parte dos requerentes.Dinis Lissave indicou, porém, que a sua direcção vai continuar a prestar particular atenção a esta questão, tendo em vista reduzir o número de casos de ociosidade a que estão votadas numerosas parcelas que dariam um grande contributo para a produção de alimentos, visto que algumas delas estão em áreas com elevado potencial agrícola.Nesse sentido, segundo indicou a nossa fonte, a Direcção de Terras e Florestas está a capacitar os seus técnicos no sentido de se intensificar a fiscalização aos planos de exploração de DUATs com vista a disponibilizar terra para a produção de alimentos e outros projectos de investimento.No mesmo contexto, pretende-se melhorar o sistema de cobrança das taxas aos titulares de terra e de gestão do solo, bem como a sua integração de modo a que se saiba quem faz o quê e onde. O esforço feito durante o ano passado permitiu a cobrança de 23 milhões de meticais, correspondentes a um crescimento na ordem de 67 porcento em relação a 2010.
Uma atenção particular tem sido dada às comunidades locais e aos ocupantes de boa fé, através da demarcação e emissão de certidões oficiosas e títulos, respectivamente.
De acordo com os dados apresentados recentemente ao Parlamento pelo Ministro da Agricultura, José Pacheco, foram já identificadas cerca de 913 mil hectares de terra ociosa que corresponde a cerca de 37 porcento da área total autorizada para ser explorada por singulares e empresas durante o período de 2005 a 2010.
A lista é liderada pelas províncias de Gaza, com 442.965,77 hectares; Sofala com 96.316,79; Maputo-província com 93.320,45; seguindo-se depois a Zambézia com 88.626,53 hectares, respectivamente. Para este ano, a Direcção Nacional de Terras e Florestas tem como missão aprimorar os mecanismos de fiscalização de forma a dar terra a quem está realmente interessado em realizar actividades socioeconómicas que contribuam para o aumento da renda. O alvo serão as zonas com potencial agrícola e de maior conflito."
2012 L 17: Michela Murgia - Accabadora
Einaudi, 2009
Premio Campiello 2010. Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
bel libro, mi è piaciuto, letto con calma e attenzione... merita questa scrittrice....
penso sarà tra i candidati a fine anno...
venerdì 9 marzo 2012
Venezuela: Médico asegura que cáncer de Hugo Chávez está muy avanzado y es incurable
http://www.frecuencialatina.com/90segundos/interior.php?not=1&idnot=45113
Un médico venezolano habló por primera vez sobre el real estado de salud del presidente Hugo Chávez. El especialista reveló que el cáncer que padece el mandatario es incurable.
Sin pelos en la lengua, uno de los médicos que habría tenido acceso a los informes confidenciales sobre la salud de Hugo Chávez, confirmó que el mal del presidente es incurable. José Rafael Marquina, es el primer médico que se atreve a hablar sobre el estado del mandatario venezolano, quien desde Cuba asegura que saldrá adelante de la enfermedad que padece.
El galeno dijo además que Chávez presiona a los profesionales y optó por viajar a Cuba porque en Brasil no quieren responsabilizarse. El mandatario grabaría desde el hospital cubano Cimeq un mensaje que podría realizarse esta noche.
Un médico venezolano habló por primera vez sobre el real estado de salud del presidente Hugo Chávez. El especialista reveló que el cáncer que padece el mandatario es incurable.
Sin pelos en la lengua, uno de los médicos que habría tenido acceso a los informes confidenciales sobre la salud de Hugo Chávez, confirmó que el mal del presidente es incurable. José Rafael Marquina, es el primer médico que se atreve a hablar sobre el estado del mandatario venezolano, quien desde Cuba asegura que saldrá adelante de la enfermedad que padece.
El galeno dijo además que Chávez presiona a los profesionales y optó por viajar a Cuba porque en Brasil no quieren responsabilizarse. El mandatario grabaría desde el hospital cubano Cimeq un mensaje que podría realizarse esta noche.
giovedì 8 marzo 2012
Dar es Salaam, Tanzania
Il passaggio sarà rapido, quanto lo è stato quello di Nairobi, ma qui non ho nemmeno un Cicerone che mi faccia strada. Risultato, resto qui in albergo a lavorare. L'ufficio poi è proprio a due passi per cui penso proprio che questa volta non vedrò molto con i miei occhi.
Proprio nulla no, dato che ogni mattina, per attraversare lo stradone qui davanti, posso assistere ad uno spettacolo oramai scomparso nelle nostre strade e che comunque si ritrova in vari dei paesi africani dove sono passato: i vigili che dirigono il traffico. Quello di stamattina era chiaramente ispirato, sembrava il Maestro Muti a dirigere la Scala. La mimica era favolosa, ma avendo io dimenticato la macchina fotografica ed anche il telefonino, non ho nulla da mostrare. Ho anche cercato sul web, senza successo, se per caso qualcuno avesse messo in giro foto di questi veri artisti da strada (senza nessun intento spregiativo).
Ben vestiti di bianco, dato il caldo, oppure con maglioncino blu (a Nairobi, che si trova a 1600 mslm), berretto d'ordinanza, bastoncino, radio o telefonino (o tutti e due) e, nel caso del Mozambico, anche guanti bianchi, e poi avanti maestro, tocca a lei. Quelli mozambicani ed angolani li ho trovati più fissi, con gesti più rituali e molto simili a quelli che si studiavano nei manuali per prendere la patente motociclistica all'epoca di mio padre. A Nairobi li ho visti più rilassati, ma qui a Dar sono realmente scatenati. Da tornarci e fotografarli, assolutamente.
Non sono invece riuscito a capire dove siano finiti gli investimenti della Lega Nord qui in Tanzania. Due mesi fa se ne parlava dappertutto, ma poi come sempre altre priorità sono sopravvenute e, stando al giuriconsulta Maroni, i soldi sono rientrati in Italia. Forse volevano investirli nell'acquisto di terre, ma allora hanno fatto male a riportarli indietro perchè anche qui sembra stia diventando il nuovo business. Da quanto mi racconta il mio amico S. Maasai, sembrerebbe che le comunità pastorili riescano a difendersi meglio da questa parte della frontiera rispetto a quello che succede in Kenya dove la spinta per l'individualizzazione delle terre si fa sempre più presente.
Sono qui perchè stiamo portando avanti un progetto bello, che cerca di spingere per un riconoscimento non solo a livello nazionale, dell'importanza che hanno certi sistemi agrari (nel senso amplio di agricoli, forestali, peschieri e pastorili) in quanto promotori di bio diversità, di cultura e tecnologia diversa ed appropriata, di un modo diverso di porsi di fronte alle risorse naturali essendo per loro normale la trascendenza generazionale. Lavoriamo con Maasai e con altri gruppi più legati a pratiche agroforestali, con caffè organico. Lavoro lento, difficile ma sembra che pian piano si riesca a creare quel po' di credibilità necessario per poter entrare nelle stanze del potere ed iniziare un dialogo politico per programmi, leggi e politiche che li considerino maggiormente come attori dello sviluppo e non come poveracci da maltrattare o dimenticare. Un cambio paradigmatico di ottica, che anche per i nostri colleghi non è così scontato. Ma da quanto mi raccontano sembra che sia partito bene. Magari la prossima volta verrò con più calma e andrò a vederli e ve li racconterò con più calma.
Mangiato e bevuto una buona birra locale, adesso torno al lavoro. 8 marzo, sarebbe la festa della donna dicono.. ne abbiamo parlato molto oggi nella riunione, non della festa ma dell'importanza di partire da un approccio di genere che riconosca le nostre diversità, base necessaria per rifondare la cooperazione allo sviluppo a partire da processi più centrati sugli esseri umani, sui diritti e sui principi di dialogo e negoziazione. Ci credo, anche se so che non vedrò mai la fine di questo sogno, ma ci proviamo, così come ci provava Tomàs, il caro amico spentosi ieri e che sta mestamente tornando a casa in Paraguay.
Falleciò un amigo: adios Tomas!
Tomas Palau ha muerto!
Todos los que lo hemos conocidos estamos triste hoy. Yo personalmwente me topè con él casi veinte anhos atràs, y desde esa época seguimos en contacto en muchas ocasiones relevantes, como fue la conferencia sobre reforma agraria de 2006.
Estabamos trabajando ahora juntos, en apoyo al gobierno del Presidente Lugo y sus esfuerzos para desencadenar un tema agrario tremendamente complicado.
Que su vida y su lucha nos sean de ejemplo para seguir en eso, procurando resultados positivos que lleguen cuando todavìa seamos vivos y no despùes.
Hasta siempre querido amigo.
mercoledì 7 marzo 2012
Nairobi: partenza
La cucina kenyana non sarà un gran ricordo. A parte la polenta bianca, onestamente i polli e i beef erano duri da morire. Le verdure locali potrebbero migliorare perchè esiste una base su cui costruire, spinaci ed altro, ma si capisce perchè la gente si butti su altri ristoranti e non sui locali.
Gli ibis intanto continuano a girarci intorno, così come gli uccelli tessitori. Un giardino verde, rilassante, pieno di piante e fiori. Hai detto fiori? Si, effettivamente al giorno d'oggi chi dice Kenya dice fiori, rose in particolare. La grande zona di produzione è qui fuori, a qualche ora di macchina dipendendo dal traffico. Il lago Naivasha garantisce l'acqua gratuita, la manodopera costa (ovviamente) poco, il clima caldo evita di dover scaldare le serre e poi i controlli ambientali sono più ridotti che da noi. Insomma le condizioni ideali per fare il business.
La produzione implica alte dosi di prodotti chimici, fertilizzanti, antiparassitari e questo ha conseguenze sia sulla salute di chi ci lavora, uomini e donne, sia sull'inquinamento del lago dato che poi gli scarichi vengono buttati dentro senza filtrare. Uno dei guardiani qui di casa ha lavorato per un periodo dentro queste serre, ma appena ha trovato lavoro come guardiano notturno ha mollato tutto. E' una produzione un po' secretata, causa queste condizioni di lavoro che a noi europei piacciono sempre meno e siccome ci sono stati reportages su queste serre, adesso non è facile nemmeno avvicinarsi.
In Kenya succedono ancora cose strane, buone per le riviste sensazionaliste del mondo intero: un bambino sbranato dagli ippopotami - camminava per il sentiero assieme al padre quando tre ippopotami sono saltati fuori e li hanno attaccati. Per fortuna (riso amaro) ci sono ancora queste storie per farci pensare a un'Africa che oramai c'è sempre di meno...
La cosa più ovvia oramai, di Nairobi e di tutte le città del mondo, (penso averlo già scritto una decina di volte) è il traffico, che oramai detta gli orari della gente. Non ti alzi più quando ne hai voglia, ma in funzione della speranza che partendo a quell'ora possa trovare meno traffico per strada. Vale per Nairobi, Port au Prince, Manila, Luanda e chi più ne ha più ne metta. Stamattina, prima di andare all'aeroporto, siamo andati a una riunione all'agenzia che si occupa dell'ambiente, sulla strada per l'aeroporto. Partiti alle 6.59 da casa siamo arrivati alle 9.00. Il tutto per fare si e no 12 chilometri. Stupisce però come siano molto più tranquilli di noi, in macchina. Il claxon è un'opzione rara. Pensate che l'agenzia dell'ambiente ha anche un numero verde, 24 ore su 24, da chiamare in caso un club, bar, o circolo, stia facendo troppi schiamazzi durante una festa. Ti mandano immediatamente la polizia e fanno chiudere il locale subito. Sembra di stare su di un altro pianeta.
Tra gli ultimi ricordi confusi e disordinati, metterei anche le biciclette che si avventurano in giro per la città: competizione fra bici indiane e cinesi e, una volta tanto, sembra che quelle cinesi siano di miglior qualità. Chiudo ricordando che i telefoni qui sono a bassissimo costo, e che P. e M. ci hanno regalato un libro (Un filo d'olio - Sellerio editore) che leggeremo con grande piacere, tanto è stato bello e veloce il passaggio da loro. A presto, adesso tocca alla Tanzania.
Gli ibis intanto continuano a girarci intorno, così come gli uccelli tessitori. Un giardino verde, rilassante, pieno di piante e fiori. Hai detto fiori? Si, effettivamente al giorno d'oggi chi dice Kenya dice fiori, rose in particolare. La grande zona di produzione è qui fuori, a qualche ora di macchina dipendendo dal traffico. Il lago Naivasha garantisce l'acqua gratuita, la manodopera costa (ovviamente) poco, il clima caldo evita di dover scaldare le serre e poi i controlli ambientali sono più ridotti che da noi. Insomma le condizioni ideali per fare il business.
La produzione implica alte dosi di prodotti chimici, fertilizzanti, antiparassitari e questo ha conseguenze sia sulla salute di chi ci lavora, uomini e donne, sia sull'inquinamento del lago dato che poi gli scarichi vengono buttati dentro senza filtrare. Uno dei guardiani qui di casa ha lavorato per un periodo dentro queste serre, ma appena ha trovato lavoro come guardiano notturno ha mollato tutto. E' una produzione un po' secretata, causa queste condizioni di lavoro che a noi europei piacciono sempre meno e siccome ci sono stati reportages su queste serre, adesso non è facile nemmeno avvicinarsi.
In Kenya succedono ancora cose strane, buone per le riviste sensazionaliste del mondo intero: un bambino sbranato dagli ippopotami - camminava per il sentiero assieme al padre quando tre ippopotami sono saltati fuori e li hanno attaccati. Per fortuna (riso amaro) ci sono ancora queste storie per farci pensare a un'Africa che oramai c'è sempre di meno...
La cosa più ovvia oramai, di Nairobi e di tutte le città del mondo, (penso averlo già scritto una decina di volte) è il traffico, che oramai detta gli orari della gente. Non ti alzi più quando ne hai voglia, ma in funzione della speranza che partendo a quell'ora possa trovare meno traffico per strada. Vale per Nairobi, Port au Prince, Manila, Luanda e chi più ne ha più ne metta. Stamattina, prima di andare all'aeroporto, siamo andati a una riunione all'agenzia che si occupa dell'ambiente, sulla strada per l'aeroporto. Partiti alle 6.59 da casa siamo arrivati alle 9.00. Il tutto per fare si e no 12 chilometri. Stupisce però come siano molto più tranquilli di noi, in macchina. Il claxon è un'opzione rara. Pensate che l'agenzia dell'ambiente ha anche un numero verde, 24 ore su 24, da chiamare in caso un club, bar, o circolo, stia facendo troppi schiamazzi durante una festa. Ti mandano immediatamente la polizia e fanno chiudere il locale subito. Sembra di stare su di un altro pianeta.
Tra gli ultimi ricordi confusi e disordinati, metterei anche le biciclette che si avventurano in giro per la città: competizione fra bici indiane e cinesi e, una volta tanto, sembra che quelle cinesi siano di miglior qualità. Chiudo ricordando che i telefoni qui sono a bassissimo costo, e che P. e M. ci hanno regalato un libro (Un filo d'olio - Sellerio editore) che leggeremo con grande piacere, tanto è stato bello e veloce il passaggio da loro. A presto, adesso tocca alla Tanzania.
domenica 4 marzo 2012
Nairobi: domenica
Una nottata splendida. Per cui adesso sono in perfetta forma. Ho anche già preparato le fettuccine per stasera quando ci vedremo con alcuni amici qui a casa.
M. ci ha ragguagliato un po' sul paese, e tutti e due, P. e M., ci hanno spiegato un po' anche come sono messe le cose in Somalia, altro buco nero della governance mondiale.
P. è anche andato a finire a pranzare a Mogadiscio, per sbaglio, cose che succedono solo a lui. A bordo di un aereo con delegazioni ufficiali provenienti dalla sede, erano diretti in una zona tranquilla del centro nord ma, causa pioggia, non sono potutti atterrare. Allora il pilota ha proposto una deviazione di rotta e sono andati a fare un salto nella capitale. Per capirci, poco tempo fa un amico viocentino, marosticano per essere precisi, che lavora sulla Somalia, mi diceva che chi andava a Mogadiscio sbarcava dall'aereo velocemente, buttandosi dentro la macchina che l'aspettava sotto, infilando nel frattempo il giubbetto antiproiettile e via di corsa per evitare possibili tiri di razzi contro l'aeroporto. Anche adesso, malgrado le rassicurazioni varie, la città è in preda ai terroristi islamici che da anni tengono sotto scacco la popolazione somala. La cosa più orrenda che gli hanno fatto è stato di chiudere le scuole e lasciare solo le madras, per cui le nuove generazioni di somali crescono ignoranti della loro cultura, lingua e tradizioni e sempre più indottrinati dagli islamici, che non fanno parte della loro storia.
Più tardi siamo usciti a vedere le giraffe e la casa di Karen Blixen, nella zona più verde della città, dove ci sono le ville inglesi enormi, insomma un altro mondo. Certo rispetto ai tempi suoi tutto è cambiato, ma resta un fascino negli odori, colori, natura che si impara ad apprezzare subito.
Fa caldo in questi giorni e Gianni, all' osteria dove ci siamo fermati a mangiare, ci dice di esserne ben contento dopo i cinque mesi di pioggia, nebbiolina e umidità. Per lui, abituato col tempo di Malindi, Nairobi sembra essere un peso. Comunque se passate di qua e entrate in questi posti chiamati Osteria (ce ne sono 4 in città pare) la qualità è davvero alta.
La giornata sta finendo dopo aver fatto un po' di spesa e adesso tutti in cucina a spignattare in attesa dell'arrivo di altri amici italiani.
Relax, birra in mano...
Nairobi: sabato pomeriggio
Poco traffico all'uscita dall'aeroporto, poi però basta inoltrarsi verso il centro e trovi le micidiali rotonde che col combinato del vigile attento a far rispettare il codice, ti blocca il traffico in due minuti.
L'autista ha litigato con l'aria codizionata, per cui dobbiamo tenerci il caldo ossessivo che ci fa sciogliere pian piano.
Passato il compund UN, dopo un' ora abbondante arriviamo a casa di P. e M.: sembra essere tornati a casa nostra, giardino, pace e tranquillità. Un labrador felice corre in giardino, degli ibis cenerini vengono a cercar qualcosa da becchettare, altri uccelli hanno fatto il nido sopra la porta d'entrata, un' oca passa rasente, e intanto, birra in mano, cominciamo a fare il punto dopo tanti anni di non vederci.
Storia antica la nostra, inziata nel 92 in Bolivia, proseguita a Roma, poi Mozambico e dopo un passaggio suo in Bolivia eccoci qui in Kenya. E' sempre stato un piacere vederci, anche per un modo diverso di vedere le stesse cose. Il nostro vecchio capo diceva che P. aveva una visione radente, a volo d'uccello, geografica, mentre io insisto più sulla storica. Per cui qui, sotto l'ombrellone in giardino, ci raccontano di questo paese che cresce, di una classe media nazionale che riempie i ristoranti, impegnata nei business della tecnologia, banche etc.
L'equilibrio etnico è sempre fragile, potrebbe riscoppiare tutto come pochi anni fa, soprattutto pensando alle elezioni previste per quest'anno (forse), ma potrebbero anche pian piano imparare ad andare d'accordo.
La stanchezza del viaggio ci ha vinti, per cui buonanotte e a domani.
L'autista ha litigato con l'aria codizionata, per cui dobbiamo tenerci il caldo ossessivo che ci fa sciogliere pian piano.
Passato il compund UN, dopo un' ora abbondante arriviamo a casa di P. e M.: sembra essere tornati a casa nostra, giardino, pace e tranquillità. Un labrador felice corre in giardino, degli ibis cenerini vengono a cercar qualcosa da becchettare, altri uccelli hanno fatto il nido sopra la porta d'entrata, un' oca passa rasente, e intanto, birra in mano, cominciamo a fare il punto dopo tanti anni di non vederci.
Storia antica la nostra, inziata nel 92 in Bolivia, proseguita a Roma, poi Mozambico e dopo un passaggio suo in Bolivia eccoci qui in Kenya. E' sempre stato un piacere vederci, anche per un modo diverso di vedere le stesse cose. Il nostro vecchio capo diceva che P. aveva una visione radente, a volo d'uccello, geografica, mentre io insisto più sulla storica. Per cui qui, sotto l'ombrellone in giardino, ci raccontano di questo paese che cresce, di una classe media nazionale che riempie i ristoranti, impegnata nei business della tecnologia, banche etc.
L'equilibrio etnico è sempre fragile, potrebbe riscoppiare tutto come pochi anni fa, soprattutto pensando alle elezioni previste per quest'anno (forse), ma potrebbero anche pian piano imparare ad andare d'accordo.
La stanchezza del viaggio ci ha vinti, per cui buonanotte e a domani.
sabato 3 marzo 2012
2012 L 16: Gianni Biondillo - I materiali del killer
Guanda 2011
L'ispettore Ferraro è tornato. È tornato da una città che non ha mai capito, Roma, dove ha lasciato il commissario Elena Rinaldi, un'altra storia andata male. È tornato al commissariato di Quarto Oggiaro, solo e sconfitto, e dopo tre anni in trasferta deve ricominciare da capo. Con la barba incanutita, una nuova casa, la figlia Giulia in piena preadolescenza e Lanza trasferito a Bruxelles. Poi c'è il lavoro: una rapina in villa, con un epilogo tragico. Morto il rapinatore, uno zingaro, e morto il padrone di casa. Una vera rogna. E il solito Comaschi lì a fare battute idiote. Nello stesso momento, a Lodi, una rocambolesca evasione dal carcere finisce in un bagno di sangue. Una carneficina con mistero: l'evaso è un nero di piccolo calibro, come si spiega il commando malavitoso allestito per liberarlo? Chi è davvero Towongo Haile Moundou? Ironia del destino, a questa domanda dovrà trovare risposta proprio Elena Rinaldi. In un frenetico inseguimento da nord a sud attraverso un'Italia oppressa da un cielo plumbeo - con assolati squarci di un'Africa arsa da un sole crudele e desertico - Gianni Biondillo disegna con questo romanzo la mappa dettagliata e cupa di una nazione senza memoria. Un noir contemporaneo che scava nelle più grandi paure dell'Italia di oggi e ci restituisce un paesaggio preciso e puntuale del nostro Paese. Senza mai perdere di vista la speranza.
Bel libro, però l'impressione è che l'autore gigioneggi con la lingua, a volte con esercizi di stile che alla fine ti dici: avrebbe potuto fare meglio.
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