Sarà un inizio
anno difficile da dimenticare: di colpo sono venute a mancare due forti e
coraggiose combattenti, Michelle e Kaori, nel pieno della loro vita, personale
e professionale. In mezzo a tutto questo mi è capitata sta brutta storia dell’anemia
perniciosa che, vista adesso, sembra una cosetta da nulla, facile da curare e
senza maggiori problemi per il futuro. Resta il fatto che i sintomi erano
troppo maledettamente simili a un qualcosa di ben più grave, di quelli che
raramente lasciano scampo. Per questo il mio medico di base quando mi ha
rivisto mi ha confessato che pensava fossi lì per
confermargli la diagnosi iniziale, che non mi aveva detto e che, invece, le
buone notizie facevano di me un miracolato. Tre volte me l’ha ripetuto.
E allora ti
viene da pensare che quel mercoledì 27 febbraio, quando sei entrato in clinica,
avrebbe potuto segnare l’inizio di una storia diversa, corta e con finale già
segnato; questo è quello che molti pensavano, come mi hanno detto dopo…. Ed è
come ti avessero dato una seconda chance, a te, quella chance che né Michelle
né Kaori hanno avuto.
Che la vita
sia una roulette russa, che può fermarsi di colpo, implicitamente lo sappiamo
tutti. Diventiamo più sensibili quando La
faucheuse ci passa vicino e, all’ultimo momento, decide di andare altrove.
Ma qualcosa ti cambia dentro, ne esci che non sei più quello di prima, anche se
in superficie tutto fila liscio e torni ad essere sorridente come prima.
Ripartiamo,
risettando amicizie e ripensando a quando Roby “Zea Mais” de Marchi, di fronte
a un piccolo problema che poteva affliggerci quando avevamo 20anni, ci
rispondeva sorridente: “Eh, le fosse queste le robe importanti dea vita….”
(fossero queste le cose importanti della vita…) e noi a chiedergli: Roberto, ma
quali sono allora?
Siamo ancora
lì, a queste domande, il nord della nostra vita, che ci spingono ad andare
avanti.
In clinica
una dottoressa, finché mi faceva un esame alla tiroide mi aveva chiesto cosa
facevo nella vita; la risposta l’ha fatta sorridere: leggo, scrivo, ascolto e
parlo. Questo è quello che riempie la mia vita professionale, accanto al
viaggiare frequentemente (vedremo per il futuro cosa ne diranno i medici):
leggere, come un alimento di cui ha bisogno la macchina intellettuale; scrivere,
idee, proposte, scenari, strategie, in cinque lingue diverse… ma anche scrivere
qui e, soprattutto, da alcuni anni a sta parte, scrivere libri. Il primo lo
conoscete, il secondo comincia pian piano a uscire dalla testa e a riempire
pagine bianche. Ascoltare è quanto di più difficile ci sia nella vita:
ascoltare gli altri ma anche ascoltare la natura: per esempio l’upupa che torna
periodicamente nel nostro giardino da più di cinque anni. Ma ascoltare l’uomo è
quanto più difficile ci sia. Vedo attorno a me una tendenza sempre più forte a
non ascoltare più, voler dire la propria opinione indipendentemente dagli
altri, mai un dialogo che costruisca, sempre più battibecchi se non veri e
propri soliloqui. Il parlare finale è la risultante di tutto questo: solo
quando hai imparato ad ascoltare, puoi andare a leggere le cose che realmente
ti diranno qualcosa, entreranno in te, e quindi potrai anche digerirle e
rimetterle in circolo con i tuoi scritti e con le parole.
Prometto che
ascolterò ancor di più, ma credo di aver perso per strada un po’ di pazienza,
soprattutto con quelli che non ascoltano e vogliono sempre aver ragione. Il
tempo sta diventando limitato e troppo prezioso per sprecarlo con chi non vuol
dare nulla agli altri.
Ciao a tutti
Nessun commento:
Posta un commento