Il Saggiatore 2012
Aprile 1969. In una Milano percorsa dalle
agitazioni studentesche e dalle prime avvisaglie dell'autunno caldo
viene ritrovato il corpo senza vita di un anziano cittadino svizzero. Le
prime indagini rivelano che voleva pubblicare un libro di memorie e
teneva la foto di una recinzione oltre i monti del lago Maggiore tra
Italia e Svizzera, una rete alta e difesa da uomini armati: prima di
incontrare l'editore qualcuno l'ha accoltellato. Tre uomini vengono
fermati dai carabinieri e chiusi a San Vittore, poco prima che nel
carcere scoppi una violenta rivolta.
Bello, mi è proprio piaciuto. Sarà nella top dell'anno.
domenica 29 marzo 2015
sabato 28 marzo 2015
War in progress...
La cartina, molto ben fatta, de l' Internazionale,
http://archivio.internazionale.it/atlante/conflitti-asimmetrici
non è aggiornata agli ultimi conflitti in corso, Ucraina, Yemen da un lato e soprattutto Boko Haram tra Nigeria, Ciad e Niger, ma per il resto credo abbia l'essenziale.
Quello che sta succedendo in posti che, con la globalizzazione galoppante, sono oramai a due passi da casa, dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni di chi ci governa. Guardo i notiziari esteri, di quei paesi che ambiscono ad avere un ruolo sulla scena internazionale, e l'essenziale è sempre sui conflitti in corso, cercare di capire chi siano gli attori, gli argomenti, i possibili esiti e quali azioni noi europei possiamo portare avanti su questi temi. Poi, per sbaglio, giro sui canali italiani, e ... inutile andare avanti, lo sapete meglio di me cosa riempia la nostra televisione, pubblica e privata.
Siamo ancora fortunati che in Kossovo non si siano rimessi a sparare, ma intanto abbiamo l'Isis sotto (e forse dentro) casa: tutto il fronte mediterraneo è in fermento, la Tunisia unico elemento democratico, ma estremamente fragile, che rischia di cadere nelle mani dei salafiti in qualsiasi momento. La Libia è persa, slo si cerca di limitare i danni, in Egitto siamo lì ad applaudire (di nascosto) un nuovo dittatore militare mentre il fronte mediorientale è prossimo allo scoppio.
Come scrivevo tempo fa sulla prossima guerra mondiale, le alleanze saranno mobili, dipendendo dagli interessi del momento. Da una parte siamo contro l'Iran e dall'altro ne abbiamo bisogno per combattere l'Isis in Siria. Gli americani sono contro il Sudan ma poi si ritrovano nella stessa allenza, guidata dai Sauditi, una monarchia del MedioEvo, per attaccare gli sciiti nello Yemen, con l'Iran che s'incazza. Siamo contro la Russia per via dell'Ucraina, ma senza la Russia non c'è possibilità di chiudere il casino siriano e iraniano.
Insomma possiamo continuare a non volere guardare fuori da casa nostra, ma oramai ci siamo dentro.
Il peggio è che ci arriveremo, alla consapevolezza, senza nessuna preparazione, cioè sempre all'ultimo minuto, stile Expo 2015.
Incrociamo le dita, perchè oramai non sono (quasi) più conflitti fra Stati, ma fra entità interessate a prendere il controllo delle risorse naturali (per cui dietro molti di questi conflitti abbiamo entità sovranazionali che soffiano sul fuoco apposta) e sempre di più fra poveri sgangherati che pian piano ricacciamo nello stesso paniere dell'estremismo islamico.. li aiutiamo a fondersi in un'unico movimento.. ingigantendo così il pericolo in modo da autorizzare maggiori spese militari ... ma non sarà certo così che risolveremo i problemi...
Prendiamo un piccolo esempio: Tunisia e altri paesi della regione. Dopo il fiorire delle primavere arabe, si erano rivolti alle istituzioni internazionali per ricevere degli aiuti freschi per appoggiare la transizione democratica. Il G8 aveva lanciato un'iniziativa che prese il nome della località dove si tenne la riunione: il Partenariato di Deauville che doveva aiutare a creare delle società libere, democratiche e tolleranti. L'articolo qui sotto data del 2013 e già allora spiegava quanto poco fosse stato mantenuto delle promesse fatte e dei costi futuri che le nostre società dovranno pagare per non aver fatto nulla al momento opportuno. Uno dei temi più cari a questi paesi, in primis la Tunisia, era quello dell'apertura del mercato agricolo europeo ai loro prodotti (ricordiamo che noi siamo quelli che predichiamo la libera concorrenza - in casa d'altri, ma chiudiamo le frontiere quando i prodotti degli altri devono entrare liberamente). Nulla è stato fatto, come ce lo ricordava ancora ieri sera una trasmissione televisiva franco-tedesca.
La chiusa dell'articolo merita di essere ricordata:
http://www.lesechos.fr/idees-debats/cercle/cercle-77734-le-faible-soutien-economique-au-printemps-arabe-risque-detre-couteux-1018092.php#
http://archivio.internazionale.it/atlante/conflitti-asimmetrici
non è aggiornata agli ultimi conflitti in corso, Ucraina, Yemen da un lato e soprattutto Boko Haram tra Nigeria, Ciad e Niger, ma per il resto credo abbia l'essenziale.
Quello che sta succedendo in posti che, con la globalizzazione galoppante, sono oramai a due passi da casa, dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni di chi ci governa. Guardo i notiziari esteri, di quei paesi che ambiscono ad avere un ruolo sulla scena internazionale, e l'essenziale è sempre sui conflitti in corso, cercare di capire chi siano gli attori, gli argomenti, i possibili esiti e quali azioni noi europei possiamo portare avanti su questi temi. Poi, per sbaglio, giro sui canali italiani, e ... inutile andare avanti, lo sapete meglio di me cosa riempia la nostra televisione, pubblica e privata.
Siamo ancora fortunati che in Kossovo non si siano rimessi a sparare, ma intanto abbiamo l'Isis sotto (e forse dentro) casa: tutto il fronte mediterraneo è in fermento, la Tunisia unico elemento democratico, ma estremamente fragile, che rischia di cadere nelle mani dei salafiti in qualsiasi momento. La Libia è persa, slo si cerca di limitare i danni, in Egitto siamo lì ad applaudire (di nascosto) un nuovo dittatore militare mentre il fronte mediorientale è prossimo allo scoppio.
Come scrivevo tempo fa sulla prossima guerra mondiale, le alleanze saranno mobili, dipendendo dagli interessi del momento. Da una parte siamo contro l'Iran e dall'altro ne abbiamo bisogno per combattere l'Isis in Siria. Gli americani sono contro il Sudan ma poi si ritrovano nella stessa allenza, guidata dai Sauditi, una monarchia del MedioEvo, per attaccare gli sciiti nello Yemen, con l'Iran che s'incazza. Siamo contro la Russia per via dell'Ucraina, ma senza la Russia non c'è possibilità di chiudere il casino siriano e iraniano.
Insomma possiamo continuare a non volere guardare fuori da casa nostra, ma oramai ci siamo dentro.
Il peggio è che ci arriveremo, alla consapevolezza, senza nessuna preparazione, cioè sempre all'ultimo minuto, stile Expo 2015.
Incrociamo le dita, perchè oramai non sono (quasi) più conflitti fra Stati, ma fra entità interessate a prendere il controllo delle risorse naturali (per cui dietro molti di questi conflitti abbiamo entità sovranazionali che soffiano sul fuoco apposta) e sempre di più fra poveri sgangherati che pian piano ricacciamo nello stesso paniere dell'estremismo islamico.. li aiutiamo a fondersi in un'unico movimento.. ingigantendo così il pericolo in modo da autorizzare maggiori spese militari ... ma non sarà certo così che risolveremo i problemi...
Prendiamo un piccolo esempio: Tunisia e altri paesi della regione. Dopo il fiorire delle primavere arabe, si erano rivolti alle istituzioni internazionali per ricevere degli aiuti freschi per appoggiare la transizione democratica. Il G8 aveva lanciato un'iniziativa che prese il nome della località dove si tenne la riunione: il Partenariato di Deauville che doveva aiutare a creare delle società libere, democratiche e tolleranti. L'articolo qui sotto data del 2013 e già allora spiegava quanto poco fosse stato mantenuto delle promesse fatte e dei costi futuri che le nostre società dovranno pagare per non aver fatto nulla al momento opportuno. Uno dei temi più cari a questi paesi, in primis la Tunisia, era quello dell'apertura del mercato agricolo europeo ai loro prodotti (ricordiamo che noi siamo quelli che predichiamo la libera concorrenza - in casa d'altri, ma chiudiamo le frontiere quando i prodotti degli altri devono entrare liberamente). Nulla è stato fatto, come ce lo ricordava ancora ieri sera una trasmissione televisiva franco-tedesca.
La chiusa dell'articolo merita di essere ricordata:
Le coût de l’inaction peut s’avérer
colossal si ces pays échouent leur transition et glissent dans la
violence et l'extrémisme qui risque de s’étaler sur des décennies
venerdì 27 marzo 2015
Terre ai giovani
Qualcosa si muove nel mondo agricolo italiano. Per anni i
giovani sono diventati una bestia rara in campagna, terra d’esodo come molti
altri settori produttivi. Le piccole aziende non ce la facevano più, si
assisteva a una riconcentrazione delle terre a livelli preoccupanti, con porte
chiuse per chi volesse entrarci.
Poi qualcosa ha cominciato a muoversi. Altraeconomia lo
racconta quasi tutti i mesi per cui chi fosse interessato potrebbe sicuramente
trovare maggiori informazioni nella rivista. Da parte mia a parte segnalare i
bandi per giovani agricoltori emessi nelle Langhe, poi a Lucca, nelle Puglie e
poi una serie di altre iniziative che sconfinano nel gran tema del Beni Comuni
che in Italia stiamo finalmente riscoprendo. Anche il governo si muove ma come
spesso succede suscitando più apprensioni che commenti positivi. Il decreto
Terre Vive emanato alcuni mesi fa di fatto sembra un via libera alla svendita
delle terre demaniali. Chi volesse saperne di più può trovare tutto all’indirizzo
seguente: http://accessoallaterra.blogspot.it/2014/11/decreto-terre-vive-e-una-vendita-stile.html
Finalmente, volevo anche ricordare le Direttrici volontarie
per la buona governanza dell’accesso alla terra, un accordo siglato dai paesi
membri della FAO nel 2012 dopo anni di intensa negoziazione Nord-Sud-Est-Ovest.
Peccato poi che la parte pratica, dipendente come sempre dal volere dei
Donanti, si sia limitata ai paesi del Sud, dando l’impressione che, in fondo,
quello che interessasse fosse mettere ordine nei sistemi amministrativi del sud
in modo da dar maggiori garanzie ai famosi “investitori” in cerca di
opportunità per far soldi. Migliorare i catasti, i sistemi di registrazione
delle terre, far funzionare un po’ meglio l’amministrazione fondiaria ma non
per promuovere uno sviluppo endogeno locale, solamente per facilitare le
pratiche di acquisizione per chi arrivasse da fuori.
Abbiamo fatto una scommessa, e cioè che fosse possibile
parlare di queste direttrici anche nel Nord del mondo. Approfittando della
disponibilità degli attori laziali, municipio, regione e università agrarie,
anche loro attori attivi nel promulgare bandi per facilitare l’accesso alla
terra ai giovani, abbiamo provato a testare alcuni dei principi delle
direttrici (volontarie, ricordiamolo). Il tutto per far vedere che, volendo, si
può parlare di come migliorare la governanza della terra anche nel Nord, dalla
Norvegia al Canada, dalla Russia all’Australia. Un piccolo studio fatto in
Italia che presenteremo la settimana prossima alla FAO.
2015 L16: Bien connu des services de police - Dominique Manotti
Gallimard 2010
Le commissariat de Panteuil, banlieue nord de Paris, future incarnation de la "nouvelle politique de sécurité" du ministre de l’Intérieur? C’est en tout cas ce que souhaite sa commissaire en cette année 2005. Ce haut fonctionnaire policier ne manque pas d’ambitions: sa politique de maintien de l’ordre dans les quartiers, radicale, théorisée, doit servir les objectifs du ministre et, en passant, sa propre carrière.
Ses hommes, sur le terrain s’y emploient à leur manière. Ils font comme ils peuvent, survivent comme ils peuvent, donnent des gages à la hiérarchie, s’arrangent avec les faits, avec les statistiques, avec les règles - ils font le métier, quoi! - dans un climat de tension, de violence et de mensonge, avec la population, avec les « jeunes », avec les autres.
Noria Ghozali, commandant aux Renseignements Généraux, observe avec intérêt la vie et les soubresauts de ce commissariat, et notamment les contacts qui sont noués – sans doute pour la bonne marche des enquêtes - entre certains policiers et certains grands voyous. Et puis, soudainement, des squats, peuplés de travailleurs immigrés, brûlent.
Leggo giudizi contrastanti su questo romanzo, io faccio parte dei positivi e lo raccomando, rischia di essere anche nella mia Top
giovedì 26 marzo 2015
2015 L15: Alzaia - Erri de Luca
Feltrinelli, UEF 2014
L'alzaia è la fune che serviva a tirare dalla riva di fiumi e canali chiatte e battelli controcorrente. E qui è la corda che trascina pensieri, frasi, spunti, accadimenti. Alzaia diventa così un prezioso quaderno di riflessioni, un esercizio per non perdere la memoria. Si procede per "voci" in ordine alfabetico (e a quelle dell'edizione del 1997 se ne aggiungono molte altre) come in un vocabolario. Voci come Agguati, Compiti, Confini, Emigranti, Esecuzioni, Indifferenza, Maternità, Nuvole, Operai, Ricordo, Rondine, Sazietà, Sono io, Testimoni, Vacci piano, Yiddish, Zingari. E in ogni voce c'è un dettaglio, un segmento di verità, un appunto da non dimenticare. Walter Benjamin, scrive De Luca,"immaginava di scrivere un libro di sole citazioni, il cui senso fosse dato dall'accostamento, il cui valore d'autore risultasse dal montaggio. Questo libretto,Alzaia, che ammucchia frasi lette e vi appende un commento, è seguace di quell'intuizione".
Francamente non il migliore che abbia letto.
sabato 21 marzo 2015
2015 L14: La pioggia fa sul serio. Romanzo di frane e altri delitti - Guccini Macchiavelli
Mondadori, 2014
A Casedisopra, nel cuore degli Appennini, l'estate è finita eppure in giro si vedono ancora dei forestieri. All'osteria di Benito, dove si ferma per un bicchiere chiunque passi in paese, il cameriere marocchino Amdi spesso serve da bere a due avventori singolari: un geologo impegnato a studiare il territorio e un architetto inglese innamorato del posto, Bill Holmes, che insieme alla bella nipote Betty sta conducendo una ricerca sulle costruzioni religiose di cui è ricca quella parte di Appennino. Nel frattempo, però, ha cominciato a piovere senza tregua, e l'acqua dà non poco filo da torcere all'ispettore della Forestale Marco Gherardini, che in paese chiamano "Poiana". A parte ciò, in paese tutto sembra tranquillo. Fino a che, proprio il giorno prima di andarsene, il geologo non sparisce misteriosamente. Dopo la sua scomparsa una serie di aggressioni turba la vita di Casedisopra. A indagare sui troppi misteri che si nascondono tra i ruderi della Casa-fortezza del Capitano e l'edicola con l'affresco di una Madonna incinta, tra l'agriturismo gestito da una stravagante signora e il Sasso Nero che racchiude un segreto, è incaricato il giovane maresciallo dei carabinieri Barnaba. Ma molto presto "Poiana" dovrà intervenire sia pure non ufficialmente. Ancora una volta Guccini e Macchiavelli evocano i sapori e le emozioni delle loro montagne e ci conducono lungo i valichi appenninici, dal Quattrocento a oggi, fino a scoprire una verità sorprendente e quanto mai attuale.
Si va sul sicuro, una coppia in perfetta sintonia. Sarà nella top dell'anno
giovedì 19 marzo 2015
Venti di Guerra
Dopo la firma degli accordi di Oslo (1993), e pochi
mesi prima di essere assassinato dalla destra israeliana, il primo ministro Y. Rabin
venne pubblicamente sbeffeggiato mostrandolo vestito da Nazista (giusto per capire a chi livello siamo scesi...). Dietro questi
gruppi c’era un leader di cui parla molto in questi giorni, avendo appena
rivinto le elezioni in Israele.
Nel 2004 il Ministro della Giustizia israeliano “Tommy”
Lapid sorprese i colleghi di governo al dichiarare che una foto di un’anziana
palestinese cercando tra le macerie della sua casa gli aveva fatto pensare a
sua nonna, morta a Auschwitz. Il Primo Ministro Ariel Sharon lo criticò duramente
per questo paragone tra una palestinese e una vittima dei Nazi, dicendo che
questi commenti erano "unacceptable and intolerable". http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/3742365.stm
Questo per dire che anche in Israele c’è qualcuno che si sta rendendo conto da
parecchio tempo di quello che sta succedendo.
Dal 2004 ad oggi le cose sono cambiate, in peggio.
Le colonie abusive nei territori palestinesi aumentano ogni giorno. Le cifre che circolano sono di circa 300mila
coloni, che sicuramente aumenteranno velocemente nei prossimi anni. Questa
settimana è arrivata la dichiarazione più chiara sulla volontà di guerra del
candidato, uscito vincitore, alle ultime elezioni. http://edition.cnn.com/2015/03/16/middleeast/israel-netanyahu-palestinian-state/
Per decenni si era andati avanti spingendo sull’ipocrita
idea che era meglio un governo conservatore, duro e forte per arrivare a
chiudere le negoziazioni con i Palestinesi. Votate per noi e avremo la pace,
questo era in sintesi lo slogan del Likud. Questa volta è stato diverso, e la
cortina di fumo è stata sciolta. Votate per noi e loro non avranno mai uno
Stato, queste le parole di Netanyahu.
La costruzione del muro è utile per non vedere le
sofferenze degli altri. Oggigiorno gli israeliani sentono parlare dei
palestinesi solo nei telegiornali, dato che non possono recarsi dall’altra
parte pena una multa e un po’di prigione. Il muro li separa anche visualmente.
Occhio non vede e cuor non duole. Fino a quando esploderà di nuovo, più forte
di prima, … anche i muri più resistenti sono caduti.
Quando i neri americani dovevano cedere i loro posti
ai bianchi sugli autobus, arrivò il giorno quando Rosa Parks osò infrangere il
tabù. Venne arrestata, ma da lì partì il movimento guidato da M.L. King, e l’America
non fu più la stessa, anche se a Ferguson non se ne sono accorti. In Israele
invece Rosa Parks non è ancora arrivata, e la segregazione continua…
L’acqua è un problema serio: rimando a un paio di
articoli interessanti per chi volesse rinfrescarsi la memoria:
Anche la corrente lo è, particolarmente acuto per la
gente di Gaza:
Capiamoci bene: qui non si tratta di attaccare gli
ebrei, ma delle pratiche che il governo di Israele sta portando avanti,
cosciente che il risentimento non solo cova, ma che non può far altro che
crescere. Dichiarare che con lui eletto la Palestina non avrà mai uno Stato vuol
dire buttar benzina sul fuoco.
Gli israeliani chiaramente giocano sulle divergenze
politiche interne che oppongono Fatah, che controlla la West Bank e Hamas che
controlla Gaza. Il risultato è che il Parlamento non si riunisce da anni. Ed è chiaro
che finché i due gruppi non si metteranno d’accordo, la voce palestinese
resterà sempre debole. Tutto sembra dividerli oggi, tipo la prima Forza Italia
e il PDS dell’epoca. Abbiamo visto come è finita da noi, per cui può anche essere
che un giorno riescano a mettersi attorno a un tavolo ed avere un programma
comune.
Leggevo per caso sul web un articolo che racconta
una storia apparentemente incredibile dei lontani rapporti tra Hamas e Israele…
Francamente, ho poche speranze per il futuro…
domenica 15 marzo 2015
The physical divide
Ramallah-Gerusalemme marzo 2015
Ecco gli ultimi ricordi prima di lasciare quella terra
martoriata. Non avevo mai visto il muro di Berlino, anche per scelta, per non
vedere come l’essere umano possa essere meschino e cattivo. Adesso mi sono
trovato davanti a questo muro e l’impressione è molto forte. Come a Berlino
tutti pretendono aver ragione, sta di fatto che non sarà mai questo il modo di
dimostrarlo. Aver tirato su il muro di Berlino ha squalificato per sempre l’URSS
nella scena mondiale. Altrettanto vale qui. Un muro costruito per non voler
vedere gli altri, per annientarli culturalmente, negare la loro esistenza e
diritti.
Passi il check point ed ecco la strada che ti si apre
davanti. Muro a destra e muro a sinistra. Siamo in territorio occupato, questa
è terra palestinese che deve essere restituita. Chi è stato chiuso dentro il
muro, i palestinesi che si trovano in territorio occupato, hanno dovuto
accettare di lasciare le loro proprietà dall’altra parte del muro a cambio di
una carta d’identità detta di Gerusalemme, che permette loro di passare nella
parte palestinese senza visto. Non sono cittadini di serie A, ma una
sottoclasse occupata che non può votare in Israele, nemmeno alle comunali. In
quelle terre palestinesi hanno trovato l’acqua, e questa la mettonio in gtrandi
cisterne per poi alimentare la rete idrica israeliana. Le case palestinesi sono
state staccate, no acqua né energia elettrica. Devono comprare tutto, ed ecco
il perché di tante cisterne sui tetti.
Difficile dimenticare, ma ancor più difficile capire come
possano vivere gli israeliani con questo peso sulla coscienza.
giovedì 12 marzo 2015
Ratio per una visione propositiva
Ramallah, 12 Marzo 2015
Ed eccoci qui per l’ultimo giorno di missione. Ora di tirare
le somme anche se mancano ancora alcuni appuntamenti. Una volta ancora troviamo
che la questione istituzionale in senso largo, oggi diremmo governance, è
abbastanza centrale nel problema che ci ha portato qui.
Da un lato abbiamo un livello internazionale che ovviamente
passa sopra le nostre teste anche se le ripercussioni sono molto concrete (nell’
area C non si può far praticamente nulla). Dall’altro però abbiamo un livello
interno che tocca le responsabilità del giovane Stato palestinese che cerca con
difficoltà comprensibili di emergere e di strutturarsi. Lo sappiamo bene noi
italiani quanto sia lungo il tempo di creare uno stato minimamente organizzato,
per cui i pochi anni passati fin’ora da quando sono al comando anche se
sembrano un’eternità per chi ci è dentro ogni giorno, vanno letti con il
distacco dell’osservatore straniero e imparziale. Le istituzioni ci sono, sono
state create magari un po’ rapidamente, ma ovviamente quel che resta da
costruire sono soprattutto i ponti tra di loro. La tendenza sembra essere
chiaramente in favore di potentati locali piuttosto che di mattoni di un’unica
costruzione. Difficile in questo contesto intervenire, e alla fine ti vien da
pensare che anche la comunità dei donatori si sia seduta su questa
constatazione e alla fine preferisca portare avanti iniziative lodevoli ma
settoriali che rinforzano lo spirito individuale piuttosto che di gruppo.
Oggigiorno l’evidenza comincia ad esser tale per molti
responsabili, non abbastanza sfortunatamente, né cui né altrove, che non si possa parlare di
gestione delle risorse naturali separandole una dall’altra. Non posso pensare
alle terre agricole senza osservare le spinte delle aree urbane per convertire
quelle terre ad uso edilizio oppure industriale o artigianale. Ma nemmeno posso
più evitare le crescenti pressioni del mondo ambientalista per non vedere
sempre e solo la dimensione produttiva ma anche quella protettiva della
biodiversità – di cui facciamo parte, occhio – per cui sia necessario pensare
anche a proteggere degli spazi sia per uso ricreativo sia per uso delle future
generazioni. Esempi di questa normalissima dialettica politica ne abbiamo a
iosa, quindi nulla di speciale nel sottolinearlo qui.
Ovviamente vorremmo tutti
che in uno Stato nuovo si facesse tesoro degli insegnamenti altrui, ma alla
fine siamo tutti figli di una stessa storia che ci fa guardare prima le cose
più vicine, i nostri interessi immediati, piuttosto che gettare lo sguardo più
lontano.
Su questa breccia, esistente e riconosciuta da tutti gli
interlocutori, si potrebbe provare a intervenire, sia con le autorità nazionali
(e in questo inserisco anche il mondo non governativo locale) sia con la
comunità internazionale, donatori ed operatori, in modo da portare avanti una
specie di moral suasion sull’importanza che la questione governance resti in
alto nell’agenda di lavoro.
Possiamo proporre delle azioni tecniche mirate a migliorare
certi aspetti legati alle risorse naturali, ma non dobbiamo dimenticare il
quadro d’insieme, in modo da far sì che tutto si tenga, sia il tecnico che la
visione d’assieme istituzionale, legale e politica alla fine. Cominciamo ad
avere abbastanza elementi per riflettere su una vera strategia d’intervento.
Speriamo riuscire a farla capire agli uni e agli altri. La demografia (e i
bisogni crescenti di abitazioni, acqua, cibo..) da un lato e la diminuzione
progressiva delle terre disponibili (qui si parla di un 1% all’anno che viene
perso per l’insieme di ragioni precedenti, senza contare quelle
internazioinali) rendono ogni giorno più urgente un intervento logico e
coerente.
Canzone del giorno: Supertramp
The Logical
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