Ramallah, 12 Marzo 2015
Ed eccoci qui per l’ultimo giorno di missione. Ora di tirare
le somme anche se mancano ancora alcuni appuntamenti. Una volta ancora troviamo
che la questione istituzionale in senso largo, oggi diremmo governance, è
abbastanza centrale nel problema che ci ha portato qui.
Da un lato abbiamo un livello internazionale che ovviamente
passa sopra le nostre teste anche se le ripercussioni sono molto concrete (nell’
area C non si può far praticamente nulla). Dall’altro però abbiamo un livello
interno che tocca le responsabilità del giovane Stato palestinese che cerca con
difficoltà comprensibili di emergere e di strutturarsi. Lo sappiamo bene noi
italiani quanto sia lungo il tempo di creare uno stato minimamente organizzato,
per cui i pochi anni passati fin’ora da quando sono al comando anche se
sembrano un’eternità per chi ci è dentro ogni giorno, vanno letti con il
distacco dell’osservatore straniero e imparziale. Le istituzioni ci sono, sono
state create magari un po’ rapidamente, ma ovviamente quel che resta da
costruire sono soprattutto i ponti tra di loro. La tendenza sembra essere
chiaramente in favore di potentati locali piuttosto che di mattoni di un’unica
costruzione. Difficile in questo contesto intervenire, e alla fine ti vien da
pensare che anche la comunità dei donatori si sia seduta su questa
constatazione e alla fine preferisca portare avanti iniziative lodevoli ma
settoriali che rinforzano lo spirito individuale piuttosto che di gruppo.
Oggigiorno l’evidenza comincia ad esser tale per molti
responsabili, non abbastanza sfortunatamente, né cui né altrove, che non si possa parlare di
gestione delle risorse naturali separandole una dall’altra. Non posso pensare
alle terre agricole senza osservare le spinte delle aree urbane per convertire
quelle terre ad uso edilizio oppure industriale o artigianale. Ma nemmeno posso
più evitare le crescenti pressioni del mondo ambientalista per non vedere
sempre e solo la dimensione produttiva ma anche quella protettiva della
biodiversità – di cui facciamo parte, occhio – per cui sia necessario pensare
anche a proteggere degli spazi sia per uso ricreativo sia per uso delle future
generazioni. Esempi di questa normalissima dialettica politica ne abbiamo a
iosa, quindi nulla di speciale nel sottolinearlo qui.
Ovviamente vorremmo tutti
che in uno Stato nuovo si facesse tesoro degli insegnamenti altrui, ma alla
fine siamo tutti figli di una stessa storia che ci fa guardare prima le cose
più vicine, i nostri interessi immediati, piuttosto che gettare lo sguardo più
lontano.
Su questa breccia, esistente e riconosciuta da tutti gli
interlocutori, si potrebbe provare a intervenire, sia con le autorità nazionali
(e in questo inserisco anche il mondo non governativo locale) sia con la
comunità internazionale, donatori ed operatori, in modo da portare avanti una
specie di moral suasion sull’importanza che la questione governance resti in
alto nell’agenda di lavoro.
Possiamo proporre delle azioni tecniche mirate a migliorare
certi aspetti legati alle risorse naturali, ma non dobbiamo dimenticare il
quadro d’insieme, in modo da far sì che tutto si tenga, sia il tecnico che la
visione d’assieme istituzionale, legale e politica alla fine. Cominciamo ad
avere abbastanza elementi per riflettere su una vera strategia d’intervento.
Speriamo riuscire a farla capire agli uni e agli altri. La demografia (e i
bisogni crescenti di abitazioni, acqua, cibo..) da un lato e la diminuzione
progressiva delle terre disponibili (qui si parla di un 1% all’anno che viene
perso per l’insieme di ragioni precedenti, senza contare quelle
internazioinali) rendono ogni giorno più urgente un intervento logico e
coerente.
Canzone del giorno: Supertramp
The Logical
Song
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