Come funziona l’assicurazione contro i rischi climatici
Se in una certa regione del paese le piogge arrivano troppo tardi rispetto al ciclo colturale, i contadini possono perdere tutto il raccolto. L’ideale sarebbe che la pioggia arrivasse quando serve. L’esperienza storica serviva ai contadini per immaginare quando fosse meglio seminare le loro varietà in funzione del periodo previsibile della pioggia. Con questo “cambio climatico” i periodi di pioggia possono cambiare, e parecchio, per cui il rischio lo devono assumere completamente gli agricoltori. Se perdono tutto il raccolto, il governo deve intervenire per evitare che muoiano di fame, ma non avendo molte risorse alla fine si va a chiedere ai donatori e alle organizzazioni internazionali tipo il PAM di mandare aiuti di emergenza.
Da questo problema reale nasce l’idea di provare a usare strumenti finanziari tipo questi derivati climatici (Cat-Bond o simili).
Ovviamente bisogna mettersi d’accordo su cosa si vuole assicurare, dove, per quanta gente, e per quale periodo. Poi, dettaglio non insignificante, bisogna sapere come misurare l’evento (o l’assenza di evento). Sarà questo ultimo fattore a decidere se l’assicurazione pagherà oppure no.
Essendo uno dei primi tentativi, il PAM ha cercato di associare anche altri agenzie. Il paese a cui è stato proposto era l’Etiopia, per l’anno 2006. L’indice che doveva misurare la “siccità” nella zona interessata era stato messo a punto nei due anni precedenti, allo scopo di quantificare il rischio siccità. L’agenzia nazionale di meteorologia avrebbe ricevuto delle formazioni specifiche per rafforzare le loro capacità. Ma, per essere più sicuri, venne associato anche un provider di dati indipendente (MDA Federal). Un gabinetto di avvocati specializzati, con esperti del settore, prepararono la struttura del derivato da immettere sul mercato. Nove compagnie assicurative parteciparono al concorso e la vincente fu AXA Re, che firmò il contratto che doveva coprire il rischio fra l’11 marzo e il 31 ottobre del 2006.
L’area coperta dal rischio riguardava 258 villaggi, con una popolazione stimata attorno ai 17 milioni. La copertura finanziaria avrebbe riguardato 62,000 famiglie (circa 300 mila persone). Il valore assicurativo stabilito fu di poco più di 7 milioni di dollari. Il costo dell’assicurazione era di poco inferiore a 1 milione di dollari (pagati principalmente dall’agenzia di sviluppo americana USAID, interessata, assieme alla Banca mondiale e al PA
In termini produttivi, il 2006 è stato un anno buono per l’Etiopia. L’indice di siccità, calcolato e controllato congiuntamente dall’agenzia nazionale e da quella privata, è sempre stato molto lontano dal livello al di sopra del quale sarebbe scattata l’assicurazione. Come si vede nel grafico sotto, la linea rossa indica il livello inserito nel contratto: se la siccità avesse raggiunto la linea rossa, AXA Re avrebbe pagato i 7 milioni. Questo non successe e loro intascarono il milione di dollari.
Il problema principale riguardò la calibratura del modello, per la quale si usarono degli itinerari tecnici delle colture locali calcolati sulla base degli standard nazionali elaborati dalla FAO. Il problema fu che ovviamente i contadini, dipendendo dalle loro zone produttive specifiche, usavano delle varietà diverse che dovevano rispondere alle caratteristiche climatiche storiche di ogni località che avevano date di semina e di durata del ciclo diverse da caso a caso. L’indice quindi non era ben calibrato e, alla fine della fiera, il rimborso non scattò.
Pochi anni dopo lo schema venne replicato in Cina, nella contea Changfeng, provincia Anhui. Tra gennaio e maggio 2009 venne disegnato il modello di indice di siccità. Con l’accordo delle autorità venne testa nel villaggio Yanhu, per la copertura di 85 Ha di riso coltivate da quasi 500 famiglie. Lo schema prevedeva che contro il pagamento di 2 dollari per parcella coltivata da ogni famiglia, l’assicurazione avrebbe coperto un rischio pari a 50 dollari. Essendo una fase pilota, i contadini pagarono solo una minima parte, il resto venne messo sussidiato in altre maniere. Ancora una volta le condizioni metereologiche non fecero scattare il premio, per cui i contadini non videro il becco di un quattrino.
Poco tempo fa, si riuscì a convincere il governo del Malawi a provare lo stesso schema e comprare quindi una polizza assicurativa per la stagione 2015/2016 messa a punto dalla compagnia African Risk Capacity (ARC). Il Malawi pagò quasi 5 milioni di dollari per questa assicurazione. La ragione di questa proposta risiede nel disastroso periodo precedente quando sia alluvioni che siccità toccarono il paese nello stesso anno con effetti molto severi sulla sua produzione e autosufficienza alimentare.
Il modello elaborato dall’ARC prevedeva che se la siccità avesse colpito più di 1,390,000 persone con un costo globale calcolato vicino ai 60 milioni di dollari (soglia – trigger che faceva scattare l’assicurazione), il Malawi avrebbe ricevuto un rimborso parziale delle perdite incorse per un ammontare massimo di 30 milioni.
I modelli proposti da ARC usano dati satellitari per stimare le necessità d’acqua richieste da modelli colturali di riferimento (teorici). In caso le piogge non siano state sufficienti, ARC usa delle informazioni statiche relative alla popolazione vulnerabile per stimare il numero delle persone interessate all’evento. Una soglia di riferimento, calcolata caso per caso e inserita nel contratto, definisce poi se il rimborso scatterà oppure no.
ARC è una iniziativa fortemente sponsorizzata dai paesi ricchi del nord, Germania e Inghilterra in testa. All’inizio erano i paesi donatori a pagare il premio assicurativo annuale così da convincere i paesi del sud ad entrare nel programma. In poco tempo la situazione si è rovesciata e adesso quasi l’80% dei premi è pagato direttamente dai paesi sottoscrittori e solo il 20% rimanente viene sovvenzionato dai paesi del nord.
Aprile 2016: il Presidente del Malawi dichiarò lo stato d’emergenza causata dalla siccità indotta da El Niño. Si stimò inizialmente che circa 6,5 milioni di persone fossero state interessate da questo evento. Il costo totale delle perdite venne stimato a quasi 400 milioni di dollari, ben al di là della soglia che faceva scattare il rimborso. Venne quindi chiesto il rimborso all’assicurazione ARC la quale obiettò che secondo i loro calcoli, solo 20,594 persone erano state realmente interessate dall’evento. La cosa inizio a fare rumore sulla stampa locale che si scatenò contro il governo, il quale inizio a fare pressioni su ARC e alla fine riuscì ad ottenere circa 8 milioni, molto meno di quanto servisse e molto meno di quanto stipulato nel contratto. ARC fu “costretta” a pagare quando venne fuori che le coltivazioni tipo usate nel loro modello usavano delle varietà sbagliate di mais, per cui il modello, ancora una volta era calibrato male (e sempre a favore della compagnia assicuratrice ovviamente). Voci locali, riportate nel rapporto di Action Aid qui sotto, dicono che la Banca mondiale entrò a fare pressioni su ARC in modo che pagasse qualcosa per non danneggiare la reputazione della strategia finanziaria.
Tre indizi non fanno una prova, ma dovrebbero indurre tutti i grandi attori, in particolare le nazioni unite, a chiedersi cosa sia in gioco realmente. Sembra realistico pensare che alla lunga i paesi donatori del nord vogliano trasferire direttamente ai governi del sud e al settore finanziario mondiale l’onere principale di occuparsi di eventi climatici sempre più frequenti i cui costi non cessano di aumentare. Una strategia che permette di evitare di analizzare le cause globali di questi “cambiamenti climatici” e quindi di far pressione per far prendere decisioni serie ed obbligatorie alla comunità internazionale e non rimanere ai livelli delle (buone?) intenzioni come gli accordi di Parigi. Spezzettando il problema in tanti eventi nazionali o locali, si prepara il terreno per una ulteriore espansione della finanziarizzazione della natura. Le assicurazioni e il settore finanziario sembra voler entrare nello schema il che ci porta alla seconda domanda: perché lo fanno? Il loro scopo è ben diverso da quello dei paesi che fanno “Cooperazione allo sviluppo”, loro lo fanno come business, per far soldi e non per rimetterci. Quindi se entrano in gioco è perché hanno abbastanza elementi per pensare che il gioco valga la candela, cioè che loro ci guadagneranno. Quindi se loro guadagnano, qualcuno dovrà pur perdere. Vediamo se io e voi pensiamo la stessa cosa …
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