Post 7: algoritmi e agenzie di rating
Allora, ricapitoliamo da dove siamo partiti e dove siamo arrivati: col finire della seconda guerra, iniziò un periodo di boom per gli investimenti di capitale. La cosa andò avanti per decenni, noi europei riuscimmo a venir fuori dalla povertà antica e la nostra scelta di campo occidentale sembrava quindi più giustificata che mai. Pian piano pero le opportunità di far soldi in modo classico iniziarono a ridursi, nonostante le nuove opportunità fornite dai paesi che accedevano all’indipendenza nel sud del mondo.
Gli americani decidono quindi di mettere mano al meccanismo chiave che aveva assicurato una certa tranquillità e stabilità al sistema economico mondiale: la parità dollaro-oro. Da quel momento ogni paese (e ogni moneta) devono imparare a giocare per conto loro, e soprattutto a trovare modi di limitare i nuovi rischi di inflazione che questa decisione ha portato con sé. Possiamo considerare che quella sia stata la prima grande discriminante tra i periodi storici: il mondo della finanza e della speculazione entra dalla porta principale. Gli resta davanti un solo ostacolo, che per quanto vecchio e imbolsito, sembra ancora reggere lo scontro: parlo dell’Unione Sovietica e del suo favoleggiato mondo comunista. Basta che arrivi un giocatore di poker incallito come Reagan e il bluff viene visto rapidamente. L’Unione Sovietica deve ammettere di non riuscire a stare in piedi e, nei fatti, sparisce dalla scena mondiale (fino ai giorni nostri), lasciando campo libero alle forze neoliberali più conservatrici.
A quel punto si accelera l’attacco all’altro grande tema che potrebbe far fruttare i soldi dei capitalisti (privati e pubblici): l’ambiente. Siamo all’inizio di una trasformazione tecnologica che sta cambiando il mondo del lavoro in modo radicale, creando opportunità di business in settori che prima nemmeno esistevano, ma restano sempre opzioni limitate. Il vero tema è come fare soldi con l’ambiente. Cioè come privatizzare un bene pubblico, trarne profitto e poi socializzare le perdite.
Si tratta da un lato di ridurre le difese istituzionali, di preparare una base intellettuale servile a questo scopo, finanziando quei centri e quelle persone che si incaricheranno di portare la buona novella ovunque e dall’altro cominciare a inventare forme di sfruttamento dell’aria, della biodiversità e di tutto quello che sia possibile far fruttare.
Con i servizi ecosistemici e con i “crediti carbone” si è fatta una parte importante della strada: l’importante è inventarsi un meccanismo che permetta di vendere al pubblico (ignorante) mondiale, quello che si sta facendo, riuscendo a convincere che sia per il bene dell’umanità. Il meccanismo, come già detto nei post precedenti, è quello della compensazione.
La natura viene spezzettata, se ne vendono sul mercato dei pezzetti separati e qualcuno li compra perché i soldi – che sembrano soldi buttati via – in realtà permettono di comprare diritti di inquinare in altre parti del mondo ripulendosi la fedina penale.
Il mondo delle assicurazioni segue il movimento, per cui comincia a diventar difficile capire dove finisca la finanza e dove inizia l’assicurazione. Tutti e due questi mondi speculano su un qualcosa che non è sicuro, quindi possono, in teoria, perdere o guadagnare. Finché restiamo nel gioco teorico, siamo tutti d’accordo. Poi però passiamo alla realtà dei fatti. Quando si comincia a parlare di cambio climatico e quindi ambiente, entriamo (ancora una volta) in un “sistema” che conosciamo poco. Siccome il mondo finanziario-assicurativo non ama troppo le incertezze, i prodotti che cominciano ad essere pensati (da offrire liberamente sul mercato) devono essere precisi. Non necessariamente chiari per chi li compra, ma precisi per chi li vende. Ed ecco apparire il mondo degli algoritmi. Sfido chiunque legga questo post a spiegare in due parole cosa siano gli algoritmi senza andare prima a cercare su qualche motore. Io non lo sapevo, per cui ci sono andato. Mio cugino omonimo, che ne ha bisogno per il suo lavoro, li ha studiati e quindi li conosceva già. Un applauso a Paolo Groppo (cugino) e un “vai a studiare” a Groppo Paolo (io).
Dunque, sti algoritmi: trascrivo di seguito quanto trovato su wikipedia: Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari. L'algoritmo è un concetto fondamentale dell'informatica, anzitutto perché è alla base della nozione teorica di calcolabilità: un problema è calcolabile quando è risolvibile mediante un algoritmo.
Ai venditori di prodotti finanziari legati all’ambiente servono degli algoritmi. Ed ecco che arriviamo a AIR (Applied Insurance Research); Eqecat e RMS (Risk Management Solutions), i tre grandi che si spartiscono il mercato. Non più “ghe pensi mi”, ma “i ghe pensa lori”. Gli algoritmi vengono fatti, inseriti nelle clausole contrattuali, e chi firma non sa bene cosa succederà, come e quando. In base a questi algoritmi, qualcuno poi dirà se quei prodotti finanziari-assicurativi sono di una certa categoria (rischio e rendimento basso) oppure di un’altra (alto rischio e alto rendimento). Chi si occupa di questo sono le agenzie di rating, quelle che dci porteranno alla crisi attuale (Standard & Poor…).
Quindi io compro un prodotto (per esempio una assicurazione contro le tempeste o gli uragani), pago un premio annuale e se per caso l’evento (contro cui mi sono assicurato) succede, allora mi verrà restituito un capitale (in funzione al premio pagato). Questi prodotti hanno una durata, non tropo lunga di solito, e se non succede nulla io perdo i soldi che ho pagato anno per anno, se invece succede, mi sento tranquillo perché sarò rimborsato.
Tutto bene sembrerebbe. Poi succede che nel dicembre del 1999, la Francia viene colpita da un uragano. Danni enormi, ma per fortuna la Francia è assicurata. Quindi le compagnie pagano. Ma succede un colpo di scena: il servizio meteorologico francese stabilisce che gli eventi erano due, rispettivamente Lothar e Martin, succedutesi a intervalli ravvicinatissimi, con traiettorie molto vicine, ma sono e restano due. Di conseguenza la Francia chiede non un rimborso, ma due. La storia è andata a finire in tribunale. A noi non interessa come sia finita, ma le implicazioni successive. Le compagnie finanziario-assicurative hanno capito che esiste un punto debole che non avevano previsto all’inizio: non tanto il fatto che manchino sistemi affidabili tecnicamente per misurare gli eventi assicurati (problema che viene continuamente messo in avanti in questi anni recenti quando l’assalto della finanza-assicurazioni si è fatto sempre più stringente), ma il fatto che i servizi metereologici, che devono dare il responso finale, rischiano di non fare il gioco delle assicurazioni-finanziarie e magari, quando si tratta di grosse somme in ballo, magari preferiscono difendere il governo dal quale dipendono.
Per noi nel nord del mondo sembra un problema minore, ma in realtà ha una sua logica. Se vendo a un paese (tipo Etiopia o simili) una polizza contro la siccità per un periodo che va dalle ore 0.00 del giorno tale alle ore 24.00 del giorno tal altro, con condizioni tali come decise dal mio algoritmo (di cui l’Etiopia avrà difficoltà a capire i dettagli, che non vengono resi mai completamente pubblici) che spiega che il fenomeno siccità si intende se in quel lasso di tempo è piovuto meno di X millimetri di acqua per un periodo continuativo di Y ore, in certe zone specifiche che uso come campione, ecco se poi succede veramente che piova poco e ci possa essere il dubbio se ci sia stata la siccità o meno, allora i dati dal servizio meteorologico diventano la chiave del problema: se vanno a favore dell’assicurazione, ci rimette lo Stato, se vanno a favore dello Stato, paga l’assicurazione. Vuoi vedere che a quei livelli di soldi, al ministro responsabile non venga la tentazione di ricordare al capo del servizio meteorologico chi gli paga lo stipendio? E quindi influenzare la decisione? Il rischio esiste, perché le istituzioni del sud del mondo sono deboli (grazie anche alle famose politiche di aggiustamento strutturale che i nostri amici della banca mondiale e del fondo monetario hanno portato avanti per decenni, cosi da preparare il terreno per la situazione attuale.
La soluzione, per evitare di trovarsi in situazioni come quella francese, diventa quindi di spingere per una privatizzazione dei servizi metereologici (come potete vedere il risultato è stato ottenuto: usate qualsiasi motore di ricerca e troverete migliaia di siti che propongono dati sulla meteo). A quel punto il gioco è abbastanza chiaro. Giochiamo a briscola, io e te. Ma io sono di mano e decido cosa giocare, poi mi ritrovo ad avere sia l’Asso (l’algoritmo), che il Tre (l’agenzia di rating che ti ha certificato quanto buono sia il mio prodotto), che il Re (i servizi che certificheranno se è piovuto o meno li decido io e lo metto nel contratto, scegliendo ovviamente quelli che sono più carini con me). E adesso giochiamo… e vinca il migliore…
Nessun commento:
Posta un commento