Da alcuni giorni sono entrato formalmente a far parte del Land Portal, (https://landportal.org),una iniziativa che iniziai a promuovere all’interno del mio servizio FAO nel lontano 1992. L’idea nasceva dalla necessità di contrastare le (ventilate) richieste americane che, sulla scorta delle tesi di Kukuyama sulla fine della storia, pretendevano che con la fine dell’Unione Sovietica fosse anche finita l’era delle riforme agrarie. Oramai solo i mercati avrebbero dovuto occuparsi di questi temi e non certo le agenzie delle nazioni unite.
Proposi allora di fare una mappa colorata con tutti i paesi che, a detta di amici e contatti che avevamo a livello personale e professionale, erano in preda a conflitti per le risorse naturali. Arrivammo velocemente a una cinquantina di paesi, consegnammo la mappa al nostro capo che la usò nella negoziazione politica. Da lì la proposta di montare una base dati sui temi dei conflitti usando informazione pubblica. 26 anni dopo l’idea iniziale si è sviluppata moltissimo, adesso una fondazione si occupa di organizzare e coordinare il lavoro che una squadra decentralizzata in molti paesi, porta avanti con pazienza e qualità. In tutto questo tempo la FAO non è ancora riuscita a decidere se val la pena entrare a farne parte ufficialmente, così mentre da un lato il Land Portal cresce e si avvia a diventare il sito di riferimento per tutte le informazioni pubbliche sul tema terra (e pastori, e genere, e conflitti….) il servizio tecnico della FAO che si ocupa di questi temi va sparendo ogni giorno di più, grazie all’azione combinata di un (ex)capo servizio inglese che ha scientificamente provocato questa marginalizzazione e un gran capo in alto che non ha nessuna idea sul cosa fare.
Sfogliando le tante notizie che mi arrivano ogni giorno dal LP, osservo come il numero e la qualità dei conflitti vada aumentando ogni giorno che passa. I morti non si contano più oramai (anche se ci sono organizzazioni che si occupano di contare i difensori dei contadini ammazzati in America Latina) e quando andiamo ad approfondire, ritroviamo sempre le stesse ragioni di fondo. Molti studi sono stati realizzati da AGTER (http://www.agter.org), un Think-tank nato in Francia che lavora sul tema della governanza delle risorse naturali e con cui collaboro oramai da qualche tempo.
Queste organizzazioni ci raccontano anche la vita professionale di tante altre organizzazioni piccole, medie e grandi, e gli sforzi che in questo campo vengono fatti. Vengono pubblicati manuali “partecipativi”, vengono messe in linea interviste di esperti vari, si pubblicizzano le esperienze positive a livello locale, ma l’impressione generale che resta è che tutti questi sforzi siano periferici al problema centrale che in pochi osiamo nominare con il suo vero nome: il POTERE e le sue asimmetrie.
E’ sicuramente utile informare delle tante e troppe ingiustizie commesse quotidianamente da governi, imprese private e quanto altro nei confronti di contadine e contadini con ridotte capacità difensive. Il punto dolente è che non si cerca di andare oltre la retorica delle prescrizioni e raccomandazioni che assomigliano molto a messaggi messi in bottiglia e gettati al mare.
Io ho passato gli ultimi anni in FAO a parlare sempre più apertamente del problema centrale, e cioè del potere e della necessità di affrontare questo tema (meglio, le asimmetrie di potere) per sperare di avere qualche effetto duraturo nei nostri interventi. Ovviamente che spingere su questo tasto, quando fra i principali responsabili troviamo quegli stessi governi che decidono chi sia e sarà il tuo Direttore Generale, non è esattamente la strada migliore per far carriera. Anzi, non è nemmeno la strada indicata per riuscire a rimanere nell’organizzazione e continuare a lavorare. Malgrado i tanto declamati poster che riportano la “nostra” visione, il rispetto per le idee degli altri e tutto l’ambaradam, la realtà è che anche la nostra cara FAO è un centro di potere costruito sul modello della verticale del potere, oggi tanto caro a parecchi politici di primo piano.
Comanda chi sta sopra, e siccome sopra il direttore generale ci stanno quelli che lo eleggono, e i donatori che mettono i soldi, allora se questi qui in alto non vogliono che si parli delle radici del problema conflitti, allora non se ne parlerà, o il minimo possibile.
Peccato che anche le organizzazioni cosiddette non-governative, o le fondazioni che si occupano di terzo mondo, finiscano tutte nella stessa gabbia: dato che dipendono dai soldi (in gran parte provenienti dai pesi del nord), non si può affrontare il tema del potere perché quelli di sopra non vogliono.
Continuiamo così a osservare, tristemente, l’aumento di conflitti e il conseguente aumento dei migranti e rifugiati. Ogni tanto qualcuno si sveglia per dare una specie di allarme, ma poi tutto torna come prima. Chi tocca i fili del potere muore. Questo vale per i paesi del nord in generale ma anche per il nostro in particolare.
Noi, opinione pubblica, non ci interessiamo, troviamo questi temi troppo complicati e li pensiamo distanti dai nostri interessi. Poi però quando vediamo arrivare migranti e rifugiati, allora eccoci pronti a tirar fuori i mitra, costruire muri, votare Salvini per farli star fuori. I movimenti di popolazioni nessuno è mai riuscito a fermarli, e la nostra politica dello struzzo ovviamente non serve assolutamente a nulla. Spiace che non ci sia no straccio di partito o di organizzazione, o fondazione che cerchi almeno di inquadrare il problema in modo un po’ più sistemico.
Io da parte mia cercherò di continuare a spronare il vecchio elefante FAO, sperando che una volta che la cricca attuale sarà partita, possa esserci uno spazio maggiore (spes ultima dea). Cerco anche in Italia un modo per usare questa esperienza trentennale e metterla a disposizione, ma non è facile. Avevo proposto agi amici della FOCSIV di far qualcosa con loro, far sì che la mia esperienza potesse essere ripassata ai tanti giovani che lavorano in Italia e all’Estero, ma non ci sono state risposte.
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