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mercoledì 11 aprile 2018

Francia - Italia: parallelismi arditi



In questi giorni di trepida attesa per un governo in Italia, ed essendo tornato da poco da un giro in Francia, mi è venuto da pensare alle diversità profonde che reggono i due sistemi politici. Da un lato abbiamo la Francia che si regge su due pilastri:

  • la “Grandeur”, mai tramontata, che fa credere loro di avere ancora un ruolo importante da giocare nello scacchiere internazionale e
  • il ricordo di essere stati la patria dei diritti dell’uomo, per cui ogni tanto devono fare qualche dichiarazione retorica in questo senso. 

Fra i due si sgranano le posizioni dei vari partiti politici che si contendono il potere. Macron e la destra che guardano più verso l’alto e la sinistra che si ricorda più spesso del tema dei diritti.

La “Grandeur” porta con sé una visione ancorata nel passato, di una Francia che non c’è più nella realtà, ma che serve come base piramidale per dei voli pindarici tanto cari ai cugini d’Oltralpe. La “Grandeur”, che lo si voglia o meno, si porta anche appresso la Francia bianca, mantenendo aperta quella ferita della mancata integrazione dei milioni di immigrati fatti venire, soprattutto dal Maghreb, per far girare a basso costo le fabbriche francesi. Altro componente indissociabile dalla “Grandeur” è quell’idea di guardare gli altri dall’alto in basso, dalle loro “Grandi scuole” invidiate, secondo loro, dal mondo intero. Ma la “Grandeur” rinvia profondamente a un’immagine di Versailles, del Re Sole, del comando centrale da parte di una classe sociale che si sente, e spesso è, superiore alleati e fuori da ogni controllo, politico o giudiziario. E’ la Francia costruita a partire da Luigi Capeto, mille anni di centralizzazione, di soffocamento di ogni istanza decentralizzata, per far sì che il paese fosse unito dietro al suo Re. E adesso dietro al suo Macron, per quanto durerà.

La Francia dei diritti si è un po’ persa per strada, una parte di loro ha cercato la scalata sociale, il Partito Socialista in particolare, frequentando le stesse scuole di quelli dei piani alti, imparando la stessa lingua, che non è quella delle periferie e così facendo, perdendo progressivamente le proprie radici fino a diluirsi nel magma della casta al potere. Qualcosa è rimasto in basso, ma è una malta difficile da impastare perché quelli che stanno in cantina, i senza diritti, non sono più solo i migranti, ma anche una classe francese bianca impoverita da decenni di politiche neoliberali. Sono i “senza-denti” dalla famosa frase che avrebbe pronunciato l’ex Presidente socialista Hollande per denigrare quel mondo che non ha mai frequentato. In cantina ci stanno quindi i dimenticati, i dropouts, contesi da una destra nazionalista e fascista che ha facile preda nel deserto di presenza dello Stato democratico.

Ma mille anni di centralizzazione e di sguardi verso Nord, fanno sì che la marca profonda della Francia sia quella lì: centralizzata e supina agli ordini di Parigi. Una Costituzione tagliata su misura e una legge elettorale che non spiace a nessuno permette di mantenere saldo il comando nelle mani del Re e dei suoi accoliti. Attorno, così come da noi, girano gli avvoltoi delle lobbying bancario finanziarie, Davos, Bruxelles e quanto altro. La Francia ha potuto permettersi un governo di sinistra solo due volte nella storia: Leon Blum nel 1936 con chi furono instaurate le ferie pagate e, più recentemente, nei primi due anni della presidenza Mitterand: dal 1981 al 1983. Le forze neoliberali erano allora col vento in poppa, Reagan, Thatcher comandavano loro, e Mitterand dovette cedere e capovolgere il senso della sua presidenza. Per il resto comandava e comanda la destra, legata ai poteri finanziari, bancari e industriali, in particolare delle armi. Una destra che potrebbe più facilmente digerire una futura Presidente del Fronte Nazionale piuttosto che una persona che venga dal mondo di sotto, dai sottomessi di oggi.

La Francia si permette si fare la lezione agli americani al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ricordate il discorso di Villepin, presidenza Chirac, sull’inesistenza delle armi chimiche in Iraq?). La Francia si permette di dichiarare guerra, sale americano, alla Libia, per cacciare e uccidere quel dittatore (che il giorno prima si invitava all’Eliseo) detentore di segreti complicati per il presidente di turno. La Francia che organizza colpi di stato in Africa e che mantiene l’ordine con le sue basi militari a difesa degli interessi delle imprese private transalpine. 
La tensione spirituale fra i due poli, Grandeur e Droit de l’Homme sottende, chi più chi meno, a tutte le persone che fanno o vogliono fare politica in Francia. Una tensione ideale a cui loro credono nel loro profondo anche quando la smentiscono nelle chiacchiere di superficie. Una tensione che fa sì che anche quelli di loro che, arrivati in posizioni di potere, approfittano e fanno man bassa come un qualsiasi politico italiano, bene, loro non dimenticano mai qual è il loro Nord, ed alla fine il bilancio del loro passaggio in politica è, quasi sempre, tendente al positivo.

Da noi non esistono dei pilastri ideali che reggano la nazione. Ne avevamo uno, la Resistenza, che si è consunto per ragioni di età e di insipienza storica anche di certa sinistra (tipo Luciano Violante) che alla fine ha fatto un brodo comune con i fascisti che combattevano e sono morti per una dittatura infame alleata di una ancora peggiore. Per cui noi tiriamo a campare cercando scampo e illuminazione nella Costituzione, l’unico retaggio al quale aggrapparci per pensare a una visione positiva del futuro. Ma la Costituzione è un documento, non è un ideale, e quindi non dice nulla a gran parte del paese che non l’ha mai nemmeno letta dato che a scuola Educazione civica di fatto non esiste.

Nello scioglimento dei vecchi partiti si è sciolto anche quel clima di paesotto di campagna, di Peppone e Don Camillo che in maniera a volte bonaria a volte con un randello in mano teneva assieme la comunità intera pur nelle diverse idee. E la mancanza di un ideale, di una visione condivisa lascia spazio a qualsiasi altro tipo di giustificazione, di idea per lanciarsi in politica, quasi sempre idee di secondo livello, rispettabili, ma che non possono avere l’ambizione di portare un paese.

Un Francese all’estero resta un francese, noi no: siamo veneti, napoletani, milanesi o chissà che. Giochiamo nel nostro piccolo orticello, perché non esiste un campo maggiore, ben delimitato, con regole e arbitri chiari dove ci si senta bene per giocare. E eni nostri orticelli, come all’asilo, giochiamo e baruffiamo: ma almeno, all’asilo, lo si faceva per imparare a stare con gli altri, a confrontarci e ad accettare gli altri.Da grandi queste zuffe servono esattamente all’opposto, a dividerci, separarci, noi qui e voi lì. All’asilo avevamo l’impressione di essere noi a dettare le regole, le facevamo nell’incontro scontro con gli altri piccoli, senza Accorgerci della presenza delle maestre che, di fatto, erano le vere tutrici del nostro crescere. Da grandi abbiamo la stessa illusione, e non vediamo chi sta sopra di noi e le regole ce le fissa prima ancora che cominciamo a giocare. Noi, incapaci di guardare al di là della rete, senza ideali condivisi e senza un sogno de trasmettere alle future generazioni, ci azzuffiamo per nulla, per fare un governo senza arte ne parte, per riempire una legislatura di chiacchiere come continuiamo a fare da decenni, tanto le scelte vere le fanno altrove in nostra vece. E i nostri figli emigrano, in cerca di lavoro all’estero, mentre noi non vogliamo quelli che migrano qui, in cerca di lavoro. Un segnale evidente della schizofrenia che ci ha preso. E dalla quale non potremo facilmente uscirne quando leggiamo cosa dicono e scrivono i nuovi padroni della politica, dal vecchietto rifatto all’impomatato, passando per quei rissosi e inconcludenti che riempiono praticamente tutti i partiti in giro.

Ai margini di questo teatrino di provincia troviamo ancora dei giovani che ci provano a cambiare le cose, sia in Francia che in Italia, e io nel mio cuore li appoggio. Ma restano anche loro tremendamente limitati quando si tratta di guardare oltre la rete di casa propria. Vabbè, sono giovani, e speriamo crescano, ma si gioca sempre nei margini del potere. Al centro abbiamo una barca che non va da nessuna parte, parla di fare la rivoluzione a 360°, cioè rimanere esattamente dove eravamo prima. 


Insomma, saremo anche cugini, ma quante differenze ci separano oramai.

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