Il Vice capo dell’Amministrazione israeliana nei Territori, Haim Mendes, ha dichiarato pochi giorni fa che sarebbero già più di 5 milioni gli arabi palestinesi che vivono nelle regioni di Cisgiordania e striscia di Gaza: sommati agli arabi che vivono in Israele equivarrebbero al numero totale degli ebrei (https://www.israele.net/quanti-arabi-vivono-a-gaza-in-cisgiordania-e-in-israele-e-un-conto-complicato). Alcuni esperti, di cui uno citato nell’articolo qui sopra, rifacendo meglio i conti arrivano a dire che “gli ebrei sono ancora la maggioranza, ma è una maggioranza esigua che Della Pergola stima intorno al 52%: un divario destinato verosimilmente a chiudersi entro i prossimi 15-20 anni.”
Si prepara quindi un avvenire vicino dove la scelta finale sarà dirompente, e questo indipendentemente da chi comanderà in Israele. Da un lato il mantenimento di un regime democratico, dove tutti i cittadini maggiorenni potranno votare (col rischio che gli ebrei vengano a trovarsi in minoranza e il governo passare agli arabi-israeliani) oppure rinforzare e rendere definitivo il regime di apartheid, facendo di Israele un novello Sudafrica ((non si dimentichi che Israele fu tra i pochi stati sovrani a sostenere economicamente e politicamente la politica razzista del Sudafrica!).
Un avvocato israeliano dichiara che questo futuro, la seconda opzione, si sta già preparando: “Nei lugubri uffici dell’inattaccabile Ministero della Giustizia a Gerusalemme Est, nelle anguste sale riunioni della Knesset e nelle nobili aule della Corte Suprema, i migliori avvocati di Israele stanno lavorando a tempo pieno per plasmare il più grande cambiamento epocale dalla conquista della Cisgiordania nel 1967. Gli avvocati governativi sono indaffarati a dare consigli, a elaborare disegni di legge e a difendere gli sforzi di Israele per espandere la propria giurisdizione legale e amministrativa oltre i confini dell’armistizio del 1949, per tutelare gli interessi dei coloni ebrei a spese dei palestinesi sotto occupazione, i cui diritti civili sono sospesi.
Le commissioni della Knesset stanno predisponendo una legislazione volta a espandere e consolidare il sistema giudiziario duale che già esiste in Cisgiordania: un codice per i coloni, un altro codice per i palestinesi. Queste nuove leggi verranno applicate in un quadro nel quale i colonizzati sono dominati dai colonizzatori, con la chiara intenzione di mantenere tale dominio. Anche il potere giudiziario israeliano si è unito nell’impresa, consentendo l’esproprio delle proprietà palestinesi a beneficio dei coloni israeliani.” (http://nena-news.it/israele-e-lannessione-a-colpi-darma-giudiziaria/)
Pochi giorni fa veniva assegnato un importante premio allo scrittore David Grossman (che ha perso un figlio militare nel conflitto tra Israele e gli insorti palestinesi); nel suo discorso (riferito ai 70 anni di Israele) ha parlato del concetto di fortezza e casa, con queste parole:
«Spero che celebreremo ancora molti altri anni e molte generazioni di figli, nipoti e pronipoti - ha detto Grossman - che vivranno qui, accanto a uno Stato palestinese indipendente, nella sicurezza, nella pace e nella creatività e - cosa più importante di tutte - in un contesto quotidiano sereno, da buoni vicini; che possano sentirsi a casa qui».
Già, ma che cos'è una casa? «Un posto le cui mura, i confini - ha risposto lo scrittore - sono chiari e accettati, la cui esistenza è stabile, solida e serena, i cui abitanti conoscono le sue regole profonde; dove le relazioni con i vicini sono state definite. Una casa è qualcosa che promuove un senso di futuro. Ma noi israeliani - ha proseguito David Grossman - anche dopo settant'anni non ce l'abbiamo ancora qui. Non importa quante parole che grondano miele patriottico sentiremo nei prossimi giorni. Non siamo a casa. Israele - ha ricordato ancora - nacque perché il popolo ebraico, che non si era quasi mai sentito a casa nel mondo, avesse finalmente una casa. Ecco, settant'anni dopo Israele sarà anche una fortezza, ma non è una casa. Perché se i palestinesi non avranno una casa, non potremo averla mai neanche noi israeliani. E se Israele non sarà una casa, non lo sarà mai nemmeno la Palestina».
Nel discorso è andato poi avanti a spiegare punto per punto perché Israele oggi non è una casa: dove c'è un'occupazione - ha detto lo scrittore - lì non c'è una casa; dove si cerca di distruggere l'autorità della Corte Suprema, non c'è una casa; dove si cerca di sbarazzarsi degli eritrei e dei sudanesi con dubbi accordi con Paesi come il Ruanda o l'Uganda, non c'è una casa; dove si abbandonano gli ultimi della società, non c'è una casa….”
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