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mercoledì 1 novembre 2023

Sfortunatamente, ogni giorno che passa avvicina Hamas alla vittoria


 L’attacco terroristico di Hamas, preparato con cura non solo militare ma anche politica, sembra dare i suoi frutti.

 

Basta guardare in giro per il mondo, in particolare (ma non solo) quello arabo, per rendersene conto. La firma degli accordi detti di Abraham, davanti a un Trump gongolante, con la progressiva normalizzazione dei rapporti tra alcuni stati arabi e Israele, mettendo una pietra sopra il destino dei palestinesi, sembrava dare inizio a un nuovo periodo. Bahrein, Emirati Arabi seguiti da Marocco e Sudan e, ciliegina sulla torta, a fine settembre l’annuncio che anche l’Arabia Saudita era oramai vicina a un accordo storico con Israele (https://www.rainews.it/articoli/2023/09/iran-legami-arabia-saudita-israele-tradirebbero-palestinesi-raisi-una-pugnalata-alle-spalle-a4cf7572-d31e-493a-9a82-b6c4b04354cd.html). Il vecchio Biden, male informato come i suoi omologhi francesi e israeliani, annunciava: “La pace è vicina”. Solo l’Iran ricordava che questi accordi erano una “pugnalata alle spalle dei palestinesi”.

 

Son bastati pochi giorni e il colpo inferto dai terroristi è andato a segno. Le folle arabe manifestano ovunque, costringendo uno dopo l’altro i vari governi dittatoriali o simili a mettere in sordina (cioè nella spazzatura) quegli accordi, per paura di essere rovesciati dalla folla inferocita (il che non sarebbe male, detto fra noi). 

 

Aver fatto di tutto per rendere invisibile l’Autorità Nazionale Palestine (che, come ho già avuto modo di scrivere, ci ha messo molto del suo con pratiche di corruzione e nepotismo degne dei nostri anni passati), hanno reso Hamas, una banda estremista islamica, come l’unico oppositore visibile di Israele. Ricordiamo che da oltre quindici anni Abu Mazen, il presidente dell’ANP, ha impedito qualsiasi elezione nella Cisgiordania per paura che il voto popolare andasse ad Hamas.

 

Chi semina vento raccoglie tempesta, si vedeva scritto sui muri di casa nostra all’epoca del rapimento Moro. Bene, rieccoci qua. L’ANP, l’unica “entità” teoricamente democratica, non ha nessuna credibilità agli occhi della popolazione di Gaza per cui, anche se per sbaglio Israele riuscisse ad ammazzarne quasi tutti i soldati attuali (ricordiamo che i mandanti vivono a Doha, perciò fuori pericolo), con i bombardamenti attuali una nuova generazione di combattenti sta crescendo. 

 

Il problema chiave è evidentemente quello del dopo. A Bibi non gliene frega nulla, per lui più forte sarà la vendetta militare israeliana maggiori le possibilità di giocarsela ancora con i giudici che lo vogliono in galera. Quindi lui è chiaramente parte del problema e, con lui, tutti quei partiti di destra ed estrema destra che lo appoggiano. L’unica notizia positiva che sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) arrivare da Israele è un sondaggio di cui parlavano ieri nel programma C dans l’air in Francia, secondo cui la contrarietà all’azione militare da parte delle persone intervistate sarebbe al 49%, mentre solo un 22% sarebbe ancora a favore. Gocce nel deserto, ma siccome senza un cambio radicale della governance israeliana non si va da nessuna parte, ci tocca restare aggrappati a questa tenue speranza.

 

Dall’altro lato non c’è nulla di positivo. Per rimettere al centro l’ANP bisognerebbe cacciare via il presidente e tutta la classe politica attuale. Ho già scritto che secondo me dovrebbero fare spazio alle donne e a una particolare, Hanan Ashrawi, ma una rivoluzione del genere, onestamente, mi sembra ancora del tutto fuori portata. Significherebbe dare voce alle donne, far tacere gli uomini e le loro armi, e presentare una proposta credibile per molti (ovviamente non per i vari estremismi islamici).

 

Ma senza una nuova leadership credibile, l’ANP non potrà giocare nessun ruolo reale, quindi lo spazio politico di Hamas resterà dominante. E per togliere l’acqua dove nuota Hamas, le bombe non servono a nulla. Pare incredibile che per anni si sia elogiato il sistema militar-difensivo israeliano che, in questi pochi giorni, ha dimostrato di non valere una cicca. Non solo non hanno visto i preparativi, ma soprattutto non sono capaci di pensare ad altro che a bombardare, cioè uccidere e, per chi resta, prepararsi a diventare futuri combattenti di Hamas. Piaccia o non piaccia, è a Teheran che questa partita si gioca. Se non si trova un modus vivendi con gli ayatollah, non ci sarà pace nella regione, dato che i soldi, equipaggiamenti, formazione e tutto il resto arrivano da lì, per Hamas, Hezbollah in Libano e gli Huthi nello Yemen.  

 

Una possibilità, ovviamente, sarebbe quella di attaccare militarmente l’Iran prima che arrivi ad avere la bomba atomica. Mancano due anni secondo gli esperti, per cui non resta molto tempo. Certo, i rischi sarebbero enormi, perché questo porterebbe in guerra anche la Russia e allora buonanotte.

 

Quindi, se non puoi batterli militarmente, bisogna negoziare. Certo che se le posizioni iniziali sono: Israele non vuol nemmeno sentir parlare dell’Iran; gli USA considerano gli ayatollah come dei terroristi, allora difficile intavolare delle trattative.

 

Ripeto quanto già scritto: gli unici ad aver raggiunto dei risultati concreti con l’Iran sono stati i cinesi (ricordare la storica stretta di mano con l’Arabia Saudita il 10 marzo scorso). Quindi, se Biden e soci riuscissero a mandar via Bibi e imporre nuove elezioni subito, con una lunga “pausa umanitaria”, allora toccherebbe al popolo israeliano se vogliono sperare in un futuro di pace o no, portando al potere una nuova classe dirigente che osi cacciare via i coloni e mettere sul tavolo la restituzione delle terre rubate e la proposta dei due stati con i confini del 1967 e capitale palestinese a Gerusalemme Est. 

 

Se si andasse su questa strada, probabilmente anche i Cinesi metterebbero il loro peso sia per calmare Putin, ma soprattutto per far capire agli ayatollah che devono cambiare profondamente: mettere sul tavolo il riconoscimento di Israele, togliere finanziamenti ai gruppi terroristici e questo in cambio della normalizzazione dei rapporti con l’Occidente e togliere le sanzioni.

 

Siamo nel mondo dei sogni, ma questo è quello che ci resta.

 

Ogni giorno che passa porta acqua al mulino di Hamas, e questo non è buon segno, perché è una strada senza ritorno.

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