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martedì 31 agosto 2010

30 de agosto: Día Internacional de los Desaparecidos

El jueves 30 de agosto es el Día Internacional del Desaparecido. Esa fecha recuerda a todas las personas que fueron detenidas y que se encuentran en lugares ocultos, fuera de contacto con sus familiares, prensa o público en general.

Organizaciones de derechos humanos calculan que entre 1966 y 1986 unas 90.000 personas "desaparecieron" en países como Guatemala, El Salvador, Honduras, México, Colombia, Perú, Bolivia, Brasil, Chile, Argentina, Uruguay y Haití. Esta cifra incluye a niños de corta edad y a bebés que nacieron mientras sus madres estaban detenidas en países como Argentina, El Salvador, Guatemala y Uruguay.

El domingo nos vimos en casa de un amigo, para ir discutiendo el asunto tierra y reforma agraria y, en la espera de la comida, la discusión se fue.. y entró en ese tema... lo que fue el abril de 1976 en Paraguay, 3000 presos, y sus historias de torturas ... meses y meses.. me quedé así... era la primera vez que escuchaba de viva voz alguien que fue torturado contar eso con calma, sin animo de vengancia.. y les pregunté como se puede perdonar.. me recordaron que Paraguay logró lanzar uno de los primeros procesos encontra de los persiguidores, duró 10 años.. pero lo lograron...

no se olvida.. pero se puede logran sobrepasar... y ahora uno de ellos trabaja en un edificio nuevo que cosntruido encima de donde antes habían los locales donde fueron torturados...

sabato 28 agosto 2010

Paraguay: Incazzati neri (o grigi?)

Sabato a San Pedro, un Dipartimento “caldo”, da molto tempo, nello scenario agrario nazionale. Discorsi di schioppi, armi e “vincere o morire”; fa strano sentirli in bocca a responsabili politici cosí importante. Si va alla guerra dicono! Poi ascolti la música di sottofndo, musica ballabile, e allora tutto prende un’altra piega. Non ho mai visto partire in guerra con musiche stile vallenato e salsa.

Un’ora e mezza dopo, presa una abbondante colazione típica, una minestra di carne e uova con pane fresco che sa di finocchietto, inizia la riunione. E la sequenza di laméntele, contro la polizia, il Parlamento, i loro stessi (ex)rappresenti nel governo, i brasiguagi e i loro sgherri armati, i morti, i “desalocados” … non finisce piú.

E’ una valvola di sfogo necessaria, ed il lavoro di questi comitati di base, un po’ incazzati anche con i loro referente nazionali che si “accomodano” fácilmente, é senz’altro necesario. Il problema poi é come e contro chi dirigere questa massa critica.
Pressione sociale: manifestazioni, blocchi di strade e quanto altro all’orizzonte della prossima settimana. Ma tutto questo troverá uno sfogo, un bersaglio chiaro? Sono un po’ scettico, e vedo il rischio che alla fine aumenti solo la frustrazione. E per quanto tempo riusciranno a tener duro?

Capiamoci bene: é tutto necesario, senza spinta dal basso non si muove nulla e quindi ci vuole tutto questo. Ma bisogna far smuovere il governo, quei (pochi) alleati che ancora hanno lì dentro. E questo non sará cosa facile né cosa di pochi giorni. Comincio a capirlo anch’io che i tempi di questo governo sono lunghi.

Ma ci proveremo, gli daremo una mano, almeno finchè i miei cari colleghi mi lasceranno fare.

Paraguay nel dia a dia

Forse piú che chiamarlo pomposamente Paraguay, dovrei limitarmi a chiamarlo Asunción nel día a día dato che non riesco mai a uscire da qui. Riunioni e sempre riunioni, in giro in macchina, ministerio, ONG, il solito ristorante al Roque, di fianco l’ INDERT e poi ancora riunioni.
Passi per la piazza, oramai colonizzata dagli indios che aspettano e sperano, chissá cosa poi, dato che in due anni di governo i titoli emessi per riconoscere i loro territorio si contano sulle dita di una mano. Chissá come dev’essere sentirsi cosí, spogliati della cosa, forse l’unica che per te conta veramente qualcosa. Secondo me debe darti una tristeza interna che non riesci nemmeno a trasmettere, ed allora vai avanti .. ti metti in stand by.. pura sopravvivenza, muori di fame, di malattie, ma soprattutto muori del nulla che sei per gli altri.
Lo leggi negli occhi che non ci sei: due anni che insisto, come uno stupido a dire che se un governo dice che inizia la stagione del cambio, cosa di piú simbolico di partire da lì, dalle radici? Chi sei? Da dove vieni? Ma non si muove nulla, e allora capisci che il razzismo è una bestia strisciante, che ti si appiccica addosso, senza distinzioni di colori politici e per questo che poi nessuno fa nulla.. e loro sono lì…

Sono passato di sera attorno alla piazza, e ti cogli a pensare che nemmeno vuoi vederli, vuoi toglierteli dagli occhi, non vederli. Ma siamo noi quelli lì in piazza, dobbiamo ricordarcelo, noi dovremmo imparare le loro lingue perché noi siamo andati a casa loro, noi abbiamo preso le loro donne e le loro terre e adesso siamo qui a elemosinare un riconoscimento che a noi costa tutto l’oro del mondo ma che non potrá mai risarcire quello che gli é stato fatto.
Giri per le strade e vedi pochi passaggi pedonali, tutti oramai vanno in qualcosa di meccanico, dai bus alle megamacchine, nuove di palla; cittá estesa, che non guarda il fiume, si cerca in un guardarsi attorno che é il sintomo del malessere che c´ha dentro. Ovunque posi gli occhi li trovi li, poveri, che chiedono umilmente qualcosa, e con 1000 pesos ti togli il pensiero.
Librerie: beh, siamo in america latina, e quindi sono poche e rare. L’unico paese dove ne ho trovate di belle da perdersi dentro è la Colombia, Bogotá in realtá; certo poi anche in Brasile, ma insomma per chi ama leggere é sempre uno struggimento venire in questi posti. Costano cari e la scelta è sempre quella che é. Ma qui si scrive e si pubblica, non è analizza e pubblica. Lasci perderé i giornali perché tanto a parte il calcio e i chismes e le foto di vita sociale non c`è altro che i morti e le mille pagine di annunci di vendita. Non credo aver visto un cinema che sia uno, ma ripeto la mia conoscenza é limitata. Hanno un mercatino simpatico in centro, vi consiglio di andarci, anche se magari é un po´pesante, molto lavoro all’uncinetto, tovaglie etc.. che insomma secondo me stancano presto noi europei ma in america latina hanno un mercato.
Della cucina ho giá parlato in posts precedenti. La novitá di ieri é stata il “cocido” che non ha nulla a che vedere con quello dominicano: é semplicemente della yerba mate messa a cuocere con uno strato di zucchero con sopra delle pietre bollenti che caramellizzano il tutto; ci versi sopra l’acqua calda e poi, una volta mescolato iltutto, metti nei termos; qui lo prendono mattina mezzogiorno (e sera).
Comunque trovi anche dei buoni caffé e té. Buoni ristorantini da 5 euro e forse meno; la milanesa impazza che sia di carne o pesce. Salse, maionese, kétchup e tutto il resto, come piovesse.
Una presenza religiosa fortissima: terra di frontera dove ci si disputa anche l’ultimo (possibile) credente: salesiani, CL, sette varie, sono tutti qui. Quelli di Moon sono anche fra i grossi proprietari terrieri se puó interessare.
Torno a casa, a leggere e scrivere i miei sogni: sono fatto cosí, mi lascio prendere dai sogni altrui e cerco di aiutare a trasformarli in realtá. Non è casa mia, lo so, ma le ingiustizie sono quelle dappertutto per cui perchè non provare a combatterle anche qui? Secondo me Lugo ci prova, e voglio essere al suo fianco quel giorno. E quei territori riusciremo a restituirli, e vorrei esser qui il giorno che non saranno piú in piazza a mendicare, ma verranno per dire: grazie, torniamo a casa nostra.

Angola programma Terra: per ricordare il nostro progetto (2)

Jornal de Angola online

Projecto Terra oferece às famílias propriedades agrícolas legalizadas
Vitória Quintas | Huambo - 04 de Dezembro, 2009

A coordenadora do "Projecto Terra", ligado à Organização das Nações Unidas para a Alimentação e Agricultura (FAO), Mariana Bicchieri, disse ontem, no Huambo, que a organização já beneficiou 30 mil famílias nas províncias de Benguela, Huila e Huambo.
Informou que os camponeses receberam formação sobre técnica topográfica, delimitação participativa de terras, lei de terras, gestão de recursos naturais, gestão de conflitos e igualdade de género.

O “Projecto Terra” arrancou em Outubro de 2006 e tem como objectivo principal acompanhar e apoiar o Governo e as instituições públicas na execução da nova lei de terras e a promoção de um desenvolvimento rural equitativo.

O vice-governador do Huambo para o Sector Económico e Produtivo, Henrique Barbosa, convidado a presidir ao acto de encerramento do programa no Huambo, disse que a realização de vários estudos sobre a gestão de terras e o conhecimento da situação fundiária no país ainda é insuficiente e caracterizado por deficientes modalidades de acesso à terra.
Referiu o Governo aprovou vários instrumentos legais, que devem ser amplamente divulgados, para o conhecimento dos cidadãos. “Por essa razão, ao Projecto Terra foi incumbida a grande tarefa de aprofundar os conhecimentos e análises sobre como melhorar a gestão e posse de terras nas comunidades rurais em algumas regiões abrangidas pelo projecto”, sublinhou.

Mariana Bicchieri disse que o projecto decorreu de forma positiva e desdobrou-se em três eixos, desenvolvimento de capacidade na formação em técnica cartográfica, delimitação participativa de terras, lei de terras, gestão de recursos naturais, gestão de conflitos e igualdade de género.

Sublinhou que uma das vertentes do projecto residiu na formação de quadros das organizações não governamentais e do Governo. “Investiu-se muito no apetrechamento de materiais para os parceiros nas Estações de Desenvolvimento Agrário no Huambo, Benguela e Huíla”, precisou a coordenadora do projecto. Bicchieri disse também que foram realizadas experiências de delimitação de terra, para que chegar a um entendimento sobre procedimentos na delimitação de terra nas comunidades rurais que envolveu técnicos das instituições ligadas ao sector.

Foram delimitados 21 mil hectares de terras legalizadas e cerca de 30 mil famílias beneficiaram do projecto nas três províncias. Foram igualmente emitidos dez títulos no Huambo e Huíla.
No Huambo, o projecto abrangeu os municípios do Bailundo, Caála, Ekunha e Longonjo.

Angola programma Terra: per ricordare il nostro progetto

Projecto Terra esteve em balanço em Benguela
18-Dez-2008
Surgido de acções que beneficiaram pequenas comunidades, o Projecto Terra conta com um apoio da União Europeia (UE) e está voltado à administração e gestão de terras nas províncias de Benguela, Huambo e Huíla, no que marcará o lançamento das bases para um ambiente favorável aos negócios entre o Estado e o sector privado.

A Agência das Nações Unidas para a Agricultura e Alimentação (FAO), junto com seus parceiros nacionais, as Direcções Provinciais da Agricultura (DPAs), Direcções Provinciais do Urbanismo e Ambiente (DPUAS) e o Instituto Angolano de Geografia e Cadastro (IGCA), estão a trabalhar para reforçar as capacidades provinciais e municipais em temas como a
regularização fundiária, técnicas cadastrais, conhecimento detalhado do conteúdo da Lei de Terra, entre outros.O Projecto Terra, iniciado em Setembro de 2006 e que se vai prolongar Agosto de 2009, tem vindo a estimular as parcerias para realização das actividades já referidas, não apenas com seus parceiros governamentais, mas também com várias organizações da Sociedade Civil visando estimular, sobretudo, o diálogo entre todos relativo ao tema terra.Uma melhor segurança da posse de terra, através dos títulos (concessões para privados e reconhecimento de direitos costumeiros para as comunidades) são os passos iniciais necessários para garantir a segurança e criar um ambiente de diálogo e parcerias favoráveis aos investimentos no sector rural.

Além do seu respaldo legal no ordenamento em vigor (Lei das Terras e o seu Regulamento), o Projecto Terra vem promovendo experiências piloto em matéria de gestão de recursos naturais e actualização cadastral, o que propiciará o almejado ambiente propício aos negócios, conforme revelou o italiano Paolo Groppo, da FAO.Em Benguela, o Sr. Groppo chamou a atenção para a complexidade inerente à abordagem sobre a terra, que não se trata apenas de um bem económico mas tem sobretudo a ver com a identidade, herança, cultura, história e ambiente dos povos. "Por essa razão, é necessário um tratamento especial e diferenciado com relação às outras mercadorias" – defendeu o especialista da FAO que esteve a trabalhar esta semana em terras de Ombaka.

De acordo com Paolo Groppo, um exemplo claro é que a Itália precisou de 50 anos para resolver as problemáticas relacionadas com o tema fundiário, estando as suas funções para lá de questões que se prendem com a prática económica. "Facilmente se percebem as dificuldades para um país em paz há apenas seis anos, é difícil, precisa tempo, e é necessário o esforço de todos os parceiros", frisou.Conforme a realidade de cada província, o projecto está direccionado à posse e delimitação de terras na província da Huíla, estando a gestão de recursos naturais como uma experiência piloto presente nas três regiões beneficiárias.Em parceria com a Direcção Provincial da Agricultura de Benguela, pretende-se apostar no cadastro de terras no vale agrícola do Cavaco, hoje, como se sabe, à beira do fim por falta de água.

Segundo Groppo, o trabalho comum nas três províncias foi de reforço das capacidades institucionais, mormente no que toca à formação em matéria de sistema de informação geográfica. "As comunidades devem ter posse reconhecida ao abrigo da lei, isto é inquestionável, mas devemos ter em mente que o título emitido não é suficiente, pelo que o
processo de desenvolvimento económico prossegue no âmbito do que chamamos de diálogo de concertação de interesses", concluiu o funcionário da FAO.Vasco Cataia, o Oficial Nacional do Programa Terra da FAO em Angola, fez um balanço positivo da jornada de trabalho que decorreu em Benguela no âmbito da qual foi realizado um balanço das actividades desde 2007 e preparadas as bases do programa de trabalho das três províncias para o ano de 2009.Vários
técnicos do Governo foram formados e a partir do êxito das capacitações espera-se dar sustentabilidade às actividades relacionadas com a gestão fundiária no futuro.Com base na realidade da Huíla, Marianna Bicchieri, responsável do projecto (antena) naquela província, disse que as comunidades têm um grande interesse em ver legalizadas as suas
terras, o que lhes garante uma certa segurança. "Desta forma, as comunidades não terão de ceder ou de abandonar suas áreas à procura de outros locais para as suas actividades. A prova disto é que cada vez mais as comunidades estão procurando o Governo para pedir a legalização de suas terras", notou Bicchieri.

Fonte: O Angolense, 13 de Dezembro de 2008
Correio do Patriota
http://www.correiodopatriota.com/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=3440

venerdì 27 agosto 2010

Giurisprudenza post-coloniale e diritto indigeno

“La falsità riguardante il fatto che l'acquisizione di potere intacchi la proprietà deve ormai essere messa al bando. Il cambio di governo, in se stesso, non concerne i diritti degli indigeni sulla terra”. Ciò è sottolineato dalla Corte Suprema del Belize in un'importante sentenza del 28 giugno che conferma la proprietà territoriale delle comunità Maya Ke'kchí e Mopán in virtù del proprio diritto consuetudinario esistente già prima del colonialismo tanto spagnolo come britannico. Si potrebbe pensare che il diritto territoriale di queste comunità sia ormai consolidato, invece, nella stessa sentenza, sono resi noti i principi coloniali che minacciano la posizione indigena non soltanto nel caso del Belize.
La sentenza non esprime un concetto giuridico nuovo per il Belize. Questo, di per sé, era già stato impostato da un altro verdetto della stessa Corte Suprema del 18 ottobre del 2007, ma riguardava solo due della decina di comunità che adesso hanno rivendicato la loro posizione e, tra l'altro, il Governo del Belize non se ne è occupato, e i proprietari terrieri non indigeni non hanno riconosciuto, dopo la prima sentenza, il diritto consuetudinario della proprietà indigena. Adesso si ricorre alla Corte per rinforzare il diritto indigeno alla terra e perché la Corte stessa si dichiari a favore di tutte le comunità Maya del sud del Belize. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti completamente. La sentenza del 2010 riconferma quella del 2007 dichiarando che “la proprietà territoriale indigena esiste in tutte le comunità Maya del Distretto di Toledo e che, ove esista, conferisce diritti collettivi e individuali alla proprietà secondo le sezioni 3.d e 17 della Costituzione del Belize”.

Il riferimento alla Costituzione è importantissimo per il rafforzamento del diritto indigeno. Gli articoli menzionati non lo affermano, ma l'interpretazione da parte della Corte lo comprende. Nella parte della Costituzione intitolata “Protezione di diritti e libertà fondamentali”, la succitata sezione 3.d tutela il diritto alla proprietà di fronte all'espropriazione arbitraria, mentre la sezione 17 concerne i principi, i casi, le condizioni e le forme per le quali l'assegnazione pubblica delle proprietà sia legittima. La Corte sa che ignorare il diritto indigeno corrisponderebbe ad un'espropriazione illegittima e, per questo motivo, la proprietà territoriale delle comunità indigene gode di tale riconoscimento e di queste garanzie di natura costituzionale. La Corte sa che il rafforzamento promuove una rettifica della Costituzione del 2001 che introduca nella Premessa un riferimento all'esistenza dei popoli indigeni: “Lo Stato del Belize (…) necessita politiche statali (…) che proteggano l'identità, la dignità e i valori sociali e culturali dei beliceños, compresi i popoli indigeni del Belize”. In realtà questa è una menzione abbastanza ambigua, sembra riferirsi ad essi come appartenenti al Belize senza un'identità propria. La Corte peggiora ancora di più le cose riducendo inavvertitamente nella sua citazione il termine peoples a people, ovvero popolo a popolazione.

La Corte sa che la Costituzione è un rafforzamento, e così la interpreta, concludendo: “É oggi un precetto costituzionale che le politiche del Belize debbano proteggere l'identità, la dignità e i valori sociali e culturali dei Maya come deve essere fatto rispetto agli altri beliceños”. Inoltre da questa interpretazione della Costituzione, la Corte ricorre ad un fondamento più specifico per il diritto indigeno, quello della giurisprudenza delle alte corti dei Paesi del Common Law, quello della diaspora britannica in tutto il mondo. Un diritto che può considerarsi internazionale, ovvero di un'internazionalità peculiare del post-colonialismo, offre la base per il riconoscimento e la garanzia del diritto territoriale per le comunità Maya del Belize. Ciò che è importante è che il cerchio non continui ad allargarsi per questa sentenza. Il diritto interamericano, qui, in pratica non appare. E si ignora il diritto più propriamente internazionale, quello degli strumenti delle Nazioni Unite. Si prende in considerazione qualche documento della Commissione Interamericana dei Diritti dell'Uomo per questioni di fatto, per questioni di diritto, però non si consulta la giurisprudenza della Corte Interamericana dei Diritti dell'Uomo, anche se questa, nella vicina Costa Rica, è quella che ha elaborato la dottrina del diritto consuetudinario della proprietà indigena.

Il Belize non ha ratificato la Convenzione Americana riguardante i Diritti dell'Uomo, quindi la giurisprudenza della Corte Interamericana dei Diritti dell'Uomo non lo vincola. Questo giustifica il fatto che la si ignori? Così sembra che lo interpreti la Corte Suprema. D'altronde in Belize, non vige neanche, per esempio, il diritto australiano o il diritto canadese, ma la Corte ricorre alla giurisprudenza dell'uno o dell'altro per dar fondamento alla propria. La spiegazione del fatto che per questa sentenza della Corte Suprema del Belize si ignori il diritto interamericano sui Diritti dell'Uomo si trova altrove piuttosto che nella mancanza di ratificazione della Convenzione Americana sui Diritti dell'Uomo. Finisce per incontrarsi in una complicità di fondo ancora coloniale che può funzionare tra gli alti tribunali nell'ambito del common law e non, invece, a questi livelli, con il Sistema Interamericano dei Diritti dell'Uomo.

A prima vista, la sentenza è post-coloniale nel senso di anti-coloniale. Si afferma con insistenza che né il colonialismo spagnolo nel secolo XVIII, quando queste zone furono di fatto dominate dalla Spagna, né il colonialismo britannico a partire dal secolo successivo, il XIX, estinsero il diritto indigeno alla proprietà della terra e che da lì trae esso stesso una forza che oggi si formalizza e si consolida con il riconoscimento e la garanzia costituzionali. Molto bene. È una regola dalla quale potrebbero certamente apprendere gli organismi di giustizia degli Stati latinoamericani. Inoltre risulta che nel mondo del common law tale proposta non è così netta come sembra o come proprio la Corte Suprema del Belize la formula. Il post-colonialismo si regola e l'anti-colonialismo si restringe nella sua stessa sentenza. Il colonialismo non rimane completamente scongiurato. Qualche effetto non proprio favorevole per il diritto indigeno permane.

Nel caso delle comunità indigene maya del Distretto di Toledo, il problema pratico più importante che oggi si presenta è quello dello sfruttamento e dell'invasione del territorio indigeno da parte di contingenti non indigeni che perorano non solo l'inesistenza, a loro intendere, del titolo di indigeno, ma anche, in alcuni casi, dei diritti propri del common law. Gli argomenti sono esposti dalla deposizione di un proprietario terriero che si è costituito in parte di questo secondo giudizio, quello del 2010, o che ha dovuto farlo poiché richiesto dalle comunità. La sentenza deve discutere il valore delle concessioni del diritto per principi e forme del common law in opposizione al diritto indigeno. In una società di origine coloniale la questione si concentra sull'autorità della concessione della terra da parte della Corona o, a partire dall'indipendenza, dallo Stato. Non eravamo rimasti che il colonialismo non intacca il diritto indigeno? Come si può ancora discutere riguardo alla possibilità che queste concessioni possano conservare un qualche valore di fronte alla proprietà indigena?

Beh, se ne discute. La sentenza lo fa valutando le concessioni che possano avere valore secondo la giurisprudenza del common law. Tanto per lo Stato di oggi come per la Corona di ieri, si richiede la clausola esplicita di estinzione del diritto indigeno perché lo stesso ceda di fronte a concessioni passate o presenti. Se, come di solito accade, questa clausola non figura in forma esplicita, il diritto indigeno si salva. Tuttavia, il colonialismo che è stato buttato fuori dalla porta è entrato dalla finestra. Ancora oggi si verifica che il diritto indigeno non è del tutto immune al colonialismo. Non lo è a questo post-colonialismo. Il potere coloniale della Corona si è trasformato in risorsa di potere costituzionale dello Stato. La crepa attraverso la quale si è introdotta la minaccia al diritto indigeno è quello della giurisprudenza del common law che, effettivamente, non ha tagliato totalmente il suo cordone ombelicale con il colonialismo. È un contesto nel quale questa sentenza della Corte Suprema del Belize può ricorrere alla giurisprudenza non solo del Canada o dell'Australia, per esempio, ma anche, senza vergognarsene, a quella dei tribunali britannici nell'Africa dei tempi peggiori del colonialismo aperto.

In questo scenario il dominio coloniale può continuare ad avere un peso ancora maggiore. Il potere che deriva dal colonialismo, quello che viene trasferito dalla Corona allo Stato, non intacca in principio il diritto indigeno, ma lo porta a creare un vuoto. Alla proprietà indigena si richiede, per consuetudine, una traccia o una continuità intergenerazionale di occupazione effettiva dallo stesso momento del primo incontro. Ciò implica che, se un popolo indigeno si sposta a causa di una pressione coloniale, perde il diritto avuto in origine e non lo acquisirà più in futuro. È un argomento che fa innervosire molto la parte non indigena in questo caso, per il quale la questione essenziale nel giudizio risulta di fatto quella di dimostrare che i Maya attuali del sud del Belize discendono dai Maya dello stesso luogo al tempo dell'arrivo degli spagnoli, riferendosi anche al secolo XVI invece che solo al XVIII. La prova principale risulta quindi quella fornita da specialisti di storia aleatoria non indigeni e non quella delle prove e delle testimonianze fornite dalla parte indigena. Anche questi sono gli effetti della persistenza del colonialismo attraverso la giurisprudenza del common law.

Tutto ciò può inoltre spiegare l'altra mancanza normativa in questa sentenza, la più importante, quella del diritto prettamente internazionale dei diritti dell'uomo. Come potrebbe mantenersi in vita questo substrato coloniale se si recepisse la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni per trovare anch'essa fondamento e in quest'ultima soprattutto il diritto indigeno? Che si mantenga adesso questo silenzio appare più evidente perché la sentenza anteriore, quella del 2007, si esprimeva in altro modo: “È interessante, inoltre, la Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settembre del 2007. Ovviamente le risoluzioni dell'Assemblea Generale, diversamente da quelle del Consiglio di Sicurezza, non sono ordinariamente vincolanti per gli Stati. Tuttavia, quando queste risoluzioni o Dichiarazioni contengono principi di diritto internazionale generale, non c'è da sperare che gli Stati le ignorino”. Ciò si diceva nel 2007, allora perché non si riprende il discorso adesso?

Si ha una spiegazione apparente. Nel 2007 era avvocato della parte indigena James Anaya, l'attuale Relatore Speciale delle Nazionali Unite sulla situazione dei diritti umani e le libertà fondamentali degli indigeni, le cui affermazioni erano rivolte già all'introduzione dei condoni al diritto internazionale, così come all'interamericano, sui Diritti dell'Uomo. Questa non risulta essere, in realtà, una spiegazione, se non addirittura il contrario. La sentenza del 2010 ha tenuto continuamente davanti agli occhi quella del 2007, a volte copiandola letteralmente, ma prescinde dai suoi fondamenti di diritto internazionale sui Diritti dell'Uomo. Concludendo, sembra non esserci altra spiegazione che quella di una certa continuità del colonialismo in un mondo che, come quello del common law, sembra essere post-coloniale. Quello della tradizione spagnola ne conserva meno le strutture.

L'alleanza dei capi Maya del Belize pubblica un comunicato celebrando la sentenza e assicurando che quest'ultima garantisce alle rispettive comunità il diritto di libera determinazione sui loro territori. Bisogna vedere se è davvero così. Sono inoltre molti gli anni di lotta attraverso il diritto per il riconoscimento che si è appena raggiunto. Lo stesso comunicato non dimentica un'altra sezione, quella della “Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni per il quale il Belize votò a favore nelle Nazioni Unite”. Il passaggio dal common law al diritto internazionale dei diritti dei Diritti sull'Uomo per dare fondamento al diritto indigeno rafforzerebbe sicuramente la sua posizione a livello costituzionale.

Traduzione di Rossella Scordato

http://www.asud.net/it/dalla-redazione/5-mondo/1244-giurisprudenza-post-coloniale-e-diritto-indigeno.html
(Fonte originale: alainet.org, NdP)

Paraguay: seconde impressioni agostane

Eppur si muove

Il mondo del potere político é realmente per gente con due dita di pelo sullo stomaco. La quantitá di “fofocas” (chismes per gli hispanohablantes) é impressionante: in sintesi si passa dall’arricchimento di tutti i politici (cosi fan tutti), al sinnúmero di figli (naturali) che avrebbe uno di loro, ai favor fatti a questo e a quello.. insomma par proprio di essere a casa.
Una stampa che, a prescindere, é contro. Come giocare un campeonato intero in trasferta, prima o dopo qualche errore lo commetti… Se non hanno notizie ovviamente le fabbricano col solo risultato che una persona sana di mente non puó proprio leggerli sti giornali.

Difficile quindi capire cosa succeda sul serio, anche laborando mano a mano col governo. Ci si debe affidare a sensazioni, per cui il rischio di sbagliare é ancora piú alto. Ieri una lunga riunione con le organizzazioni contadine: aperti al dialogo, dopo due anni (e +) finalmente cominciano a mettere per scritto le loro proposte.. cosí capiscono meglio la difficoltá di passare dai dialoghi da bar al peso specifico di dire o non dire, scrivere o dimenticare. Da un lato é bello che finalmente abbiano fatto questo passo, segnale di una lógica non piú solo astratta ma reivindicativa stile sindicato. Dall´altro vedi che il livello di elaborazione, su un tema che dovrebbe essere centrale per loro da anni, é ancora troppo semplice. In caso di sedersi a un tavolo di negoziazione li mangerebbero vivi i grossi impresari, troppo abituati (loro) alle logiche negoziali.

Riunione piú ristrette con alcuni amici, sia del settore ONG che del settore impresariale. Si accetta piú fácilmente adesso i tempi lunghi della política. L’anno scorso si reclamavano risultati súbito: anche adesso si chiedono azioni concrete, ma una volta tolta la patina “partitica”, ci si trova disposti a capire che 60 anni di dittatura non li fai sparire da un giorno all’altro.

Costruire politiche nuove, aprendo le porte al dialogo, non é facile nemmeno quando siamo abituati a dialogare, figurarsi in queste condizioni. Ne abbiamo parlato nella riunione di ministri questa mattina: alcuni dicono che la volontá política di attaccare il tema agrario c’ é; io sono un po’ scettico, magari per la mia forma mentis; mi piacerebbe fosse vero, ma credo che, da buoni politici, stiano attenti a non scoprirsi troppo. Onestamente la pressione sociale é debole (e poco organizzata), i casini giuridici sono troppo complicati, richiedendo quasi un trattamento di caso per caso. Tutti hanno rivenduto e ricomprato ilegalmente, siano campesinos che grandi proprietari, nazionali e stranieri; tutti rivendicano legalitá, anche se nessuno é cosí santo da poter scagliare la prima pietra. Ma proveremo ad attaccare da lí!

Poi non sanno comunicare: hanno fatto delle cose; io che giro da un ufficio all’altro le scopro. Non saranno molte, ma ci sono, solo che non sanno come dirlo. Gli ho consigliato, visti i tempi e le poche capacitá, di concentrarsi su 3-4 messaggi forti, quelli che dovrebbero restare nell’immaginario collettivo fra 5-10 anni: 1. La questione indígena (c’é un razzismo forte qui, e cominciare a riconoscere i diritti degli indigeni, le loro cultura etc., sarebbe un gran passo in avanti, probabilmente piú importante, in termini di pubblicitá, fuori dal paese che dentro. Ma siccome bisogna mettere le basi per il futuro, resto convinto che questo sia un tema non troppo complicato. 2. La questione giuridica della insicurezza delle terre: dicevo prima che tutti hanno compravenduto, ilegalmente. E’ un casino, e nessuno ha voglia di metterci le mani. Ma forse se, con appoggio nostro, lo facessero, sarebbe un gran passo. Almeno aprire la discussione, cercare un consenso iniziale sul método e poi iniziare a quantificare, tipificare e provare a mettere sul tappeto proposte per la negoziazione. 3. Il programa di compra di alimenti della agricultura familiare, nel quadro di una política differenziata per il settore della agricultura familiare, piccola ma anche impresariale. Tre temi, e avanti marsh. Poi vedremo se aggiungerne altri.

Domani lavoriamo con la squadra.. vedremo… cominciamo a sintetizzare. Ringrazio Miguel Angel per le belle parole di questa mattina. Se il messaggio era di far capire ai miei capi che sono contenti di riavermi qui, malgrado le difficoltá e i bastoni fra le ruote, credo non potessero essere piú chiari. Dal gran capo in giú é stata una sfilata di pezzi da 90 a dirlo di fronte al mio rappresentante. Chissá come andremo avanti, io in teoría chiudo lunedi, ma oramai ho capito che la agenda paraguay la costruiamo giorno per giorno.. e sarei sorpresa se non tornassi piú qui… c’é molto da fare e hanno bisogno…

Ricordo per ultimo Pedro, consulente giuridico dell’ente responsabile per le terre, ex consulente di un progetto nostro del quale ero il responsabile 15 anni fa: sapere che quei lavori sono stati cosí utili e che ancora oggi la gente si ricorda di quel progetto e dell’impostazione data dal team Edson-Hernan-Romualdo, mi ha fatto piacere… buona notte adesso..

Quarantesimo libro 2010: Meurtre dans un jardin indien - Vikas Swarup


Il libro dell'anno. Sicuramente nella top 3 dei migliori libri letti quest'anno.

Editeur Belfond
Résumé du livre

Playboy millionnaire, l'ignoble Vivek 'Vicky' Rai est tué lors de sa propre garden-party. Six convives sont suspectés : un bureaucrate possédé par l'esprit de Gandhi, l'actrice la plus glamour de Bollywood, fan de Nietzsche, un tout petit aborigène très doué pour l'effraction, un gamin des rues voleur de portables au physique de jeune premier, un Monsieur catastrophe texan sous protection judiciaire, et le must du politicien corrompu, le propre père de la victime. Des palaces de Delhi aux bidonvilles de Mehrauli, des repaires terroristes du Cachemire aux cabanes des îles Andaman, des berges du Gange aux tapis rouges des premières de Bombay, entre soif de justice, vengeances, manigances politiques, quête d'un totem perdu ou d'une fiancée par correspondance, tous les chemins semblent mener au jardin du crime. Mais qui a tué Vicky ?

mercoledì 25 agosto 2010

Paraguay: prime impressioni agostane

Ritrovare amici:

Arrivato martedi fine mattinata e subito via a riunioni. Tornare dopo alcuni mesi, in una situazione piú complicata, senza veder bene la luce alla fine del tunnel, con le solite brighe interne, insomma il morale non era al massimo.

Si capisce che il tema é roba che scotta, difficile da trattare, tutti hanno ragioni da esibire e pochi hanno certezze sul come muoversi.
Iniziamo con una ricognizione interna e poi via ad incontrare personale del governo. Cena dal ministro con una serie di persone ed esperti dello stesso ministero per “pensare ad alta voce” sul cosa fare e come muoversi.

Trovo il ministro piú convinto del proceso: costruire consenso, aprire porte al dialogo sui temi agrari non porta benefici immediati, soprattutto in un paese dove non esiste una pratica civile di dialogare, ascoltare e rispettare le opinioni altrui. Bisogna avere una pazienza ed una visione di lungo termine. Ma non si puó tornare indietro da questi principi. Questa é la strada maestra, come ci dice il Presidente, arrivato di sorpresa all’ ora della discussione, per salutarmi e parlare un po’ del tema. Meglio peccare per eccesso di partecipazione, di dialogo e apertura che al contrario, chiudersi e pensare di avere le risposte a tutto.

Mi ha fatto molto piacere rivederlo, soprattutto pensando al suo stato di salute. E’ un segnale importante che vuol mandare, a me e al nostro rappresentante, per sottolienare quanto il tema sia importante. L’economia va meglio, quest’ anno crescita del 9% (nove) cosa che non succedeva da 30 anni. Alcuni dei programmi di salute nelle zone rurali funzionano, e lo stesso partito liberale nelle sue direttive interne si é chiaramente schierato a sostegno del Presidente e del suo governo. Diceva uno dei partecipanti che la malattia del Presidente é stato come il segnale di fine della festa, iniziata due anni fa al momento della vittoria nelle elezioni. Erano piú di sessant’anni che non cambiavano regime e la gioia di molti ha portato un clima di euforia che peró non ha potuto mascherare le difficoltá di creare una squadra di governo coesa, con le idee chiare e capace di articolare gli appoggi necessari nelle votazioni politiche. Lo stesso partito liberale alternava momento di appoggio ad altri di durissime critiche ed il fatto che il numero due dell’esecutivo venisse da quel partito, con posizioni diametralmente opposte al Presidente dava adito a tutte le speculazioni.

Ma qualcosa sembra esser cambiato. Si respira nell’aria che forse stavolta ci siamo (o non sará la mia maledetta ingenuitá?). E´chiaro che ogni volta che vengo qui qualcosa si muove; mi vedono come un attore non comune, uno su cui contare e che, non avendo interessi personali ne di carriera ne nel paese, puó aiutare ad articolare posizioni a volte difficilmente concilianti.

Qualcosa sembra cambiato dicevo: il ministro dell’agricoltura ha un discorso piú fermo, principi chiari e una idea netta di dove andaré, quasi fosse stato in quel carico da anni. L’ appoggio chiaro e forte del Presidente e l’appoggio ricevuto dai liberali, sono elementi da considerare. Andres ha ancora voglia di lottare, e cosí sembra dai segnali che arrivano dal ministero dell’economia. Poi il nuovo capo dell’istituto della reforma agraria, incontrato stamattina. Un colpo di fulmine: una chiarezza ed una serietá e obiettivitá di giudizio sorprendente. Una filosofía che piacerebbe tanto al mio amico e fratello Octavio: mettere ordine dentro per ridare credibilitá all’istituzione, nei confronti sia dei grandi latifondisti sia dei movimenti contadini. Ricordiamoci che nessuno é Santo, e dietro ai discorsi poi ci sono pratiche che a volte contraddicono quanto si dice. Ricordo anche le sensazioni raccolte a metá anni novanta quando abbiamo implementato un progetto di appoggio all’ Istituto: le invasioni come mezzo di pressione política, i titoli, pezzi carta di dubio valore legale, che venivano dati col beneplácito di funzionari locali sulla cui incorruttibilitá ci sarebbe da ridire molto, e poi rivendersi le terre, tutto in barba alla legge… ecco pratiche che alla lunga aiutano a spiegare i risentimenti del settore impresariale (non esente da traffici di influenze anche da parte loro) quando si parla di reforma agraria. Non cadere nelle trappole del populismo, di cui é RE riconosciuto uno dei personaggi politici piú pericolosi in circolazione: quel Lino Oviedo, militare di carriera, golpista, ma con un fiuto tremendo per mettere in imbarazzo tutti. Solo che ha la fedina penale é lunga un kilometro …
Adesso continuiamo con le riunioni, cerchiamo di far sedimentare queste prime riflessioni, per arrivare a trovare delle piste concrete prima di partire… se non altro l’energia sta ritornando e ti rendi conto di cosa potrebbe fare sul terreno la nostra organizzazione se solo avesse voglia…

lunedì 23 agosto 2010

Paraguay: para futura memoria: Entregan título a indígenas


Luego de tres semanas de sacrificada estadía en la plaza Uruguaya, los indígenas ava guaraní de la comunidad Cerro Pytã recibieron ayer el título de propiedad de las 1.000 hectáreas que ocupan en Corpus Christi, departamento de Canindeyú.

Fue durante un acto que se realizó en el Instituto Paraguayo del Indígena, con la asistencia del presidente del Indert, Eugenio Alonso; la titular del Indi, Lida Acuña; el escribano mayor del Gobierno, Justo Denis; el apoderado de los propietarios, Carlos Fleitas, y los indígenas encabezados por el líder Hermes García.

Acuña indicó que la concreción de la transferencia responde a una iniciativa del Gobierno de atender las necesidades de los nativos. Agregó que si bien hubo una espera, que enojó a los indígenas, se cumplió con ellos, y van a retornar a sus comunidades con el título en la mano.

El inmueble costó 13.500 millones de guaraníes. Será ocupado por más de 300 personas de la etnia ava guaraní.

El líder García exteriorizó su alegría porque la comunidad accedió a la tierra propia. “No hemos pedido nada de lo que no nos corresponde. Ahora vamos a vivir tranquilos porque tenemos un lugar donde cultivar y criar a nuestros hijos”, indicó el nativo.

Agradeció a los asuncenos por la ayuda que recibieron, en materia de alimentos y abrigos, para sobrellevar los días de intenso frío que soportaron en el espacio público.

Preguntado qué necesitarán para consolidarse como comunidad, el nativo no dudó en afirmar que los indígenas siempre necesitan, “pero nosotros tenemos nuestros cultivos propios, siempre hemos trabajado y no nos ha faltado nada. Ahora quizás falte algo porque abandonamos el lugar, pero pronto vamos a recuperar”.
5 de Agosto de 2010 21:28

Paraguay: para futura memoria: Una victoria de los indígenas Enxet

Desde el jueves 29 de julio en horas de la tarde el Pueblo Enxet cuenta con 10.030 hectáreas más. Específicamente, el caso de la comunidad indígena Kayawe Atog Kelasma (conformada por las aldeas San Fernando, Kurupayty y Paso Lima) ha tenido una resolución favorable con la compra por parte del Estado paraguayo de las tierras reivindicadas por la comunidad.

Esta extensión de tierra es colindante con otras 22.000 hectáreas de tierras indígenas, también adquiridas por el trabajo de Tierraviva en años anteriores, lo que permite consolidar un territorio indígena continuo que favorecerá por generaciones a los y las indígenas que habitan la zona.

El caso resuelto el 3 de agosto, tuvo 19 años de lucha comunitaria, numerosas derivaciones judiciales, movilizaciones a favor de los derechos de la comunidad, siendo uno de los casos emblemáticos de nuestra institución.

"Ese trabajo no hubiera sido posible sin la colaboración de todos y todas quienes se interesaron y apoyaron esta causa de diversas maneras, ya sean las agencias de cooperación, trabajadores y trabajadoras que pasaron por nuestra institución, tantos compañeros y compañeras. En nombre de la comunidad Kayawe Atog Kelasma, y desde Tierraviva vaya nuestro agradecimiento por la cooperación y confianza depositados".
"La genuina alegría que sentimos es reflejo de la certeza que se abre un nuevo camino para la comunidad y representa la esperanza de otras que aún se encuentran luchando por la restitución de sus tierras", mencionaron desde Tierraviva.

Además informaron que del 14 al 18 de agosto, la comunidad realizará festejos en sus tierras. Invita a todos y todas a festejar con ella.

Fuente:Tierraviva
http://www.decidamos.org.py/v2/inicio/institucional/noticias/una-victoria-de-los-indigenas-enxet

Solucionan problemas de tierra de indígenas enxet

http://www.abc.com.py/nota/165350-solucionan-problemas-de-tierra-de-indigenas-enxet/
El Instituto Paraguayo del Indígena adquirió 10.030 hectáreas de tierra que beneficiará a la comunidad enxet San Fernando, ubicada en el departamento de Presidente Hayes. El inmueble fue adquirido de Ceferina Valiente a un costo superior a los 8.000 millones de guaraníes.

Las tierras forman parte del hábitat tradicional de la comunidad referida y beneficiarán en un primer momento a unas 61 familias asentadas en los lugares conocidos como San Fernando, Paso Lima y Kurupayty, situados a aproximadamente 65 km al noreste de Pozo Colorado.

Estos nativos habían realizado una serie de manifestaciones para apurar los trámites. Luego de superar varios inconvenientes, el inmueble fue adquirido para la comunidad, según establece la Ley 904/82, que obliga al Estado a devolver gratuitamente a los nativos sus territorios ancestrales.

La comunidad beneficiaria se encuentra en posesión de las tierras y esto, al tiempo de significar un importante avance en el reconocimiento pleno de los derechos de propiedad colectiva de los indígenas, permitirá que la misma sea sujeta de proyectos de desarrollo que en el pasado no se han podido implementar cabalmente a raíz del conflicto sobre la titularidad del inmueble.

Oscar Ayala, de la ONG Tierraviva y asesor de los nativos, manifestó su “satisfacción” por el logro, y su “reconocimiento” tanto a las autoridades del Indi y a los demás agentes estatales involucrados en los trámites, así como a la Sra. Valiente Vda. de Sabe, por “el esfuerzo y la posición conciliadora demostrada”, que permitió alcanzar una “solución negociada que ha respetado el derecho de todas las partes”.

“Estamos contentos, es un importante estímulo para seguir trabajando en otras demandas indígenas que siguen postergadas, como las de Yakye Axa y Sawhoyamaxa, cuyas sentencias de la CIDH aún están incumplidas”, apuntó.

Con el aseguramiento del hábitat indígena, siguió expresando el abogado Ayala, “se garantiza un espacio vital y absolutamente indispensable, en donde es posible pensar en la supervivencia de la cultura, el idioma y los valores del indígena enxet, fuertemente amenazados por la expansión de la frontera ganadera en el Chaco, sobre territorios que han sido ocupados por pueblos indígenas que habitan en esa región”.

Los nativos también manifestaron su satisfacción por la compra y adelantaron que en adelante trabajarán la tierra para no pasar necesidades.

Paraguay: para futura memoria: Ministro Cardozo considera fundamental profundizar una Mesa de Diálogo y Negociación

El Ministro de Agricultura y Ganadería, Enzo Cardozo Jiménez en su exposición ante los presentes en el Foro Social de las Américas que se desarrolla en el local del ISE, destacó el interés del gobierno central en la reforma agraria desde el desarrollo rural con enfoque territorial.

Por su importancia rescatamos in extenso la intervención del Ministro Cardozo ante el auditorio del Foro Social de las Américas.
“Es una gran satisfacción para mi traer la representación oficial del gobierno nacional en mi calidad de Ministro de Agricultura y Ganadería, en la apertura de este “Dialogo Nacional sobre Reforma Agraria, Soberanía Alimentaria y Desarrollo Rural” que se da inicio hoy en seguimiento a la II Conferencia Mundial de la FAO sobre el mismo tema y que oportunamente coincide con este importante evento regional que constituye el IV FORO SOCIAL DE LAS AMERICAS.
Considero que es un marco plural inmejorable para que la sociedad civil, el gobierno y la cooperación internacional podamos debatir estos temas que indudablemente son prioritarios para la construcción de esa visión común sobre el futuro del Paraguay.
Para el MAG, hablar de Dialogo Nacional no es nuevo en lo absoluto, por el contrario ha sido y es la herramienta a la que recurrimos frecuentemente en los procesos de construcción de consensos intersectoriales sobre los más delicados temas, en las que estamos insistiendo en una participación activa de todos los actores involucrados en la realidad agraria.
Menciono por su similitud de propósito a la Mesa de Dialogo y Negociación, la famosa Mesa del Tereré, en donde con el apoyo precisamente de la FAO y el PNUD, hemos iniciado el proceso de consulta con las asociaciones y gremios del sector productivo sobre el tema de la Reforma Agraria y el Desarrollo Rural.
En base a los talleres realizados en dicha Mesa y a otras reuniones realizadas, en el seno del Consejo Asesor Agrario y el Sistema de Gestión Integrada (SIGEST), entre otras, hemos presentado como documento oficial de referencia en marzo de este año los “Lineamientos Estratégicos para una Reforma Agraria Integral y Desarrollo Rural Territorial”, en el marco de una serie de publicaciones destinadas a señalar las políticas públicas aplicables al sector rural, como el “Marco Estratégico Agrario”.
Si bien al hablar de Reforma Agraria, no podemos dejar de mencionar el grave problema del acceso, tenencia y titulación de la propiedad rural para la mayoría absoluta de la población campesina, en contraposición a una enorme concentración del 77% de las tierras en solo 1% de propietarios, esta demostrado que limitar la respuesta a esta problemática solo a compra y distribución de tierras o a la regularización de los asentamientos existentes… es sencillamente INSUFICIENTE. Por eso, desde el principio, hemos sostenido la necesidad de una Reforma Agraria con enfoque integral, que acompañe la entrega de parcelas de tierra con inversiones en infraestructura y servicios básicos en los asentamientos, asi como planes de desarrollo productivo y arraigo, caso contrario, se seguirían repitiendo los pobres resultados de cada gobierno que ha imitado esta fórmula.
Por ello, a pesar de que el enfoque interinstitucional propuesto por este gobierno a través del programa CEPRA (Comité Ejecutivo para la Reforma Agraria) ha sido el apropiado, las debilidades institucionales de la coordinación del programa han impedido los resultados anhelados, y en este momento se esta buscando una reorganización apropiada del mismo.
Igualmente, desde el MAG hemos considerado más adecuado hablar de DESARROLLO RURAL con enfoque territorial, como término más abarcante, que incluye planes tanto para los asentamientos, como para la agricultura familiar (pequeños y medianos productores campesinos) y la agricultura empresarial (medianos y grandes productores) con una política diferenciada para cada sector pero con un enfoque de cadena de valor (cluster) tratando de vincularlos en el contexto de un intercambio comercial justo. Y aprovechando las características, fortalezas y oportunidades, los recursos naturales y las relaciones comerciales ya establecidas en las diferentes regiones del país, con el apoyo de gobernaciones y municipios, a pesar de que las redes de negocios están por encima de los límites territoriales.
Hay experiencias sumamente exitosas en el país en regiones muy prósperas de los departamentos de Alto Paraná, Itapuá o el Chaco paraguayo, que están sirviendo de modelos a ser imitados, en buena parte alrededor de grandes cooperativas que sirven como centro neural y punto de referencia, aportando además ese plus vital de valores solidarios y responsabilidad social tan necesarios en estos días, y que apuntan al tipo de sociedad que deseamos los paraguayos.
Por nuestra parte, en el MAG, en contrapartida estamos fortaleciendo nuestros servicios de investigación, asistencia técnica y educación rural, a la par de hacer inversiones en proyectos productivos de organizaciones ya consolidadas.
Igualmente, hemos trabajado con las agencias financieras del sector público la generación de líneas de créditos específicos acordes a las características de los productores de la agricultura familiar, sin descuidar la atención a la agricultura empresarial que por su competitividad, ha requerido otros apoyos específicos, especialmente en lo que se refiere a fortalecer su penetración en los bien ganados mercados internacionales.
Por supuesto, teniendo siempre presente que todas las iniciativas productivas deben adecuarse a la legislación y al principio de sostenibilidad ambiental, aunque ello implique un proceso de cambio de la estructura del sistema agrario. Creemos que el nivel de conocimiento técnico y científico actual permite el uso de tecnologías amigables, con una compatibilidad entre producción y medio ambiente.
Con relación a la soberanía alimentaria, es una bandera que también hemos enarbolado, asi como la autosuficiencia o seguridad alimentaria, por eso estamos sometiendo a un proceso consultivo un proyecto de Ley ya elaborado “De Seguridad y Soberanía Alimentaria y Derecho a la Alimentación en el Paraguay”, porque creemos que nuestro pueblo tiene el legítimo derecho de acceder a alimentos suficientes, sanos, nutritivos en forma permanente, que respondan a sus patrones culturales y a sus elecciones personales.
El desafío que tenemos en frente es grande, años de liderazgos sectarios, malos gobiernos y poca educación, han sostenido una larga serie de robos al erario público, concentración de riqueza en pocas manos y frustrante impunidad, convirtiendo al Paraguay en uno de los países más desiguales de América. Sin embargo, a pesar de lo injusto que resulta esta herencia, es muy difícil para el actual gobierno cambiar esta realidad de la noche a la mañana. Recordemos que aún en otras naciones con una mayor tradición democrática, la pobreza igual muestra su rostro más cruel, revelando que el sistema económico capitalista sin responsabilidad social, puede resultar inhumano.
Sin embargo, creemos que la respuesta no se encuentra en una rebeldía sin causa o una revolución armada, sino en una elección serena, responsable, tenaz y sostenida de un camino nuevo como nación, que sin apartarse de la ley pueda dar paso a la creación de una nueva realidad.
Nuestro compromiso como gobierno del cambio, que cree que otro mundo y otro Paraguay es posible, es el de iniciar un proceso incluyente, con todos los sectores de la sociedad, en el que se privilegie la expansión de la riqueza, el trabajo decente bien remunerado y el comercio justo. Este es en primer término un proceso cultural, que se inicia en la renovación de nuestras mentes, que luego es apoyada por legislaciones justas y medidas administrativas apropiadas, que no quedan en letra muerta sino que son cumplidas mayoritariamente por convicción, porque lo que está en juego es el interés general, el bienestar de la nación en su conjunto, el futuro de nuestros hijos y nietos. Si podemos dimensionar el alcance de la responsabilidad que cada uno tiene en sus manos, seremos conscientes de que no podemos ya cambiar el pasado, pero si el futuro, que puede ser mucho mejor para todos…y definitivamente.. Paraguay bien vale ese esfuerzo.
El Dialogo que realizaremos hoy es parte fundamental del proceso y un paso adelante en el nuevo camino, esperare ansioso vuestras conclusiones y recomendaciones. Éxitos en este importante trabajo”.

Publicado por: PRENSA - 14/08/2010
http://www.mag.gov.py/index.php?pag=not_ver.php&tit=Boletin%20informativo...&idx=134345

Paraguay: para futura memoria: Más cerca de la reforma agraria

Questo é del 17 aprile, poco dopo che avevamo finito di preparare il documento sui Lineamenti di politica di riforma agraria e sviluppo rurale

Gobierno de Paraguay ha dado el primer paso para impulsar en todo el país una reforma agraria cuyo objetivo es incentivar la productividad de las haciendas en desuso.

El plan, que fue presentado esta semana en la ciudad de San Lorenzo, tiene como líneas maestras: garantizar el acceso a la tierra para futuros asentamientos campesinos y empresariales, pero al mismo tiempo fomentar la agricultura familiar, apoyar la educación rural, ofrecer asistencia técnica, garantizar los derechos de las poblaciones indígenas y fortalecer las instituciones para crear un marco legal y jurídico transparente.

Dentro del punto de acceso a la tierra para futuros asentamientos se resalta la recuperación de lotes desocupados, sub-ocupados y adjudicados en forma ilegal, en superficie y número de lotes superiores a lo permitido en el estatuto agrario.

Igualmente se habla de la recuperación de tierras fiscales a través de sentencias judiciales sobre inmuebles identificados como excedente fiscal.

El máximo mandatario paraguayo, Fernando Lugo, quiso aclarar que este programa “tendrá como insignia la bandera paraguaya”, rechazando así posible monopolio político. “Va a ser de color rojo, blanco y azul”, aseveró en su intervención durante la presentación de uno de las políticas más ambiciosas que tendrá que afrontar en lo que resta de su mandato.


http://www.180latitudes.org/noticias/mas-cerca-de-la-reforma-agraria.html

vedremo questa settimama dove stiamo con questo tema....

domenica 15 agosto 2010

Trentanovesimo libro 2010: Il padre e lo straniero Giancarlo de Cataldo


Diego, impiegato ministeriale, è padre di un bambino disabile. Nell'istituto dove suo figlio è seguito, incontra Walid, elegante mediorientale che porta lì il suo Yusuf. Tra i due padri nasce un'amicizia, un giuramento di lealtà reciproca. Walid non parla mai della sua vita, ma rivela a Diego una Roma sconosciuta e segreta, risvegliando in lui desideri sopiti di felicità. Finché non scompare. Al suo posto appare un agente dei servizi segreti, che è proprio sulle tracce di Walid. E Diego è una delle tracce. La progressiva scoperta della verità sulla vita di Walid sconvolgerà la vita di Diego, costringendolo infine a una difficilissima scelta, tra la fedeltà alle leggi dello stato e la fedeltà a qualcosa che non ha forse nome, ma che ha il suo fondamento proprio nell'essere un padre.


Una storia veloce, ben scritta, forse poteva svilupparsi in modo più articolato. Sembra quasi una scrittura per lettori giovani che abbiano poco tempo da dedicarsi a questa passione. Comunque, consigliato.

sabato 14 agosto 2010

Trentottesimo libro 2010: Questo sangue che impasta la terra - Guccini; Macchiavelli


Mondadori collana best sellers

1970. Nell'Italia della strategia della tensione, delle rivolte studentesche e della febbre per una vita nuova, più libera e creativa, l'ex maresciallo Benedetto Santovito viene strappato alla sua vita semplice e tranquilla da una serie di strane coincidenze. Ma quando inizia a indagare, tra i boschi dell'Appennino e i portici di Bologna, scopre che le utopie scandite ad alta voce dagli slogan di piazza e le trame più occulte si mescolano in una zona pericolosa, grigia, assassina.

ottimo libro, top ten 2010 assicurata. bravo francesco e bravo loriano

giovedì 12 agosto 2010

Insécurité alimentaire, question agraire et développement “durable” en Afrique

Marc Dufumier
2010-06-28, Numéro 152
http://pambazuka.org/fr/category/features/65564

La hausse brutale des cours internationaux des produits agricoles intervenue en 2007 et 2008 et l’accaparement de terres africaines par des compagnies étrangères qui en a résulté peu après, témoignent avec des graves menaces sur l’alimentation des populations les plus pauvres en Afrique sub-saharienne. Mais force est de reconnaître que la malnutrition n’y sévit pas seulement lorsque les prix alimentaires sont momentanément au plus haut. Elle continue de prévaloir même lorsque les cours des produits vivriers s’effondrent sur les marchés internationaux.

Trop nombreuses sont les personnes qui ne parviennent toujours pas à se procurer les aliments disponibles sur le marché mondial, faute d’un pouvoir d’achat suffisant, alors même que des quantités considérables de céréales et de protéagineux trouvent preneurs auprès des fabricants d’aliments du bétail et des usines d’agro-carburants dans les pays du Nord.

Les productions destinés à l’exportation ne permettent plus en effet aux nations africaines concernées par la malnutrition de se procurer les devises qui sont désormais nécessaires pour acheter les produits vivriers dont ont besoin leurs populations sans cesse croissantes. Le fait est que prédomine aujourd’hui, en Afrique, une crise agraire et rurale d’une extrême gravité dont les conséquences se manifestent sous de multiples aspects : faiblesse des niveaux de vie, malnutrition, décapitalisation des exploitations, moindre production de biomasse, érosion croissante des sols, exode rural et migrations massives vers l’étranger, tensions sociales aigues, risques croissants de guerres civiles, etc.

Le paradoxe est que pour plus des deux tiers, les pauvres qui ne parviennent toujours pas à s’alimenter correctement sont des agriculteurs. Et à y regarder de près, le dernier tiers est constitué de populations autrefois agricoles qui, faute d’être restés compétitives sur le marché mondial, ont dû quitter prématurément leurs campagnes et migrer vers des bidonvilles sans pour autant pouvoir y trouver des emplois rémunérateurs. La Banque mondiale reconnaît désormais qu’il conviendrait de créer de toute urgence les conditions qui permettraient aux paysans pauvres d’Afrique de vivre et travailler dignement de leurs propres agricultures en développant des systèmes de production durables qui soient sans dommage aucun pour l’environnement et leur permettent de s’adapter a l’inéluctable réchauffement climatique global.

Le défi : une agriculture agro-écologiquement intensive

Le défi pour les paysanneries africaines est de pouvoir rehausser au plus vite la productivité de leur travail et de parvenir à un triplement de leurs productions végétales au cours des quatre prochaines décennies, en ayant soin de ne surtout pas sacrifier les potentialités productives (la « fertilité ») des écosystèmes, au nom de la satisfaction des besoins immédiats.

Il leur faudra en particulier éviter :

- Les processus de déforestation et de perte de biodiversité résultant d’un élargissement inconsidéré des surfaces cultivées ou pâturées aux dépens d’écosystèmes naturels ou peu artificialisés ;

- La raréfaction des ressources en eaux de surface et souterraines découlant d’irrigations exagérées et mal conduites ;

- Le recours inconsidéré aux énergies fossiles (produits pétroliers et gaz naturel) pour le fonctionnement des équipements motorisés (tracteurs, motopompes, moissonneuses-batteuses, broyeurs divers, etc.) ainsi que pour la fabrication des engrais azotés de synthèse (urée, nitrates d’ammonium, etc.) ;

- Les émissions croissantes de gaz à effet de serre : gaz carbonique produit par la combustion des carburants, méthane issu de la rumination de nombreux herbivores, protoxyde d’azote dégagé lors de l’épandage des engrais azotes, etc. ;

- La pollution des aliments, de l’air, des eaux et des sols, provoquée par un emploi abusif d’engrais chimiques, de produits phytosanitaires et d’hormones de croissance ;

- L’érosion, le compactage et la salinisation de sols dont le travail et l’irrigation ne seraient pas maîtrisés et dont le taux d’humus ne serait pas correctement renouvelé ;

- La prolifération intempestive d’éventuels prédateurs, agents pathogènes et espèces envahissantes, pouvant être nuisibles aux plantes cultivées et aux troupeaux domestiques ; etc.

Sans doute leur faudra-t-il éviter aussi le recours à une motorisation excessive des tâches agricoles, au risque de substituer prématurément la force de travail paysanne par des engins motorisés et d’accélérer ainsi l’exode rural sans pouvoir résoudre la question de la pauvreté et de la sous nutrition au sein des populations et urbaines. Les travaux culturaux moto-mécanisés contribuent encore trop souvent à réduire les besoins en travail à l’hectare sans pour autant assurer d’autres sources de revenus à la main d’œuvre ainsi déplacée. Un tel processus, destiné avant tout à remplacer la main d’œuvre par des machines, ne présente aucun avantage du point de vue de l’ « intérêt général », lorsque celle-ci se retrouve au chômage : les gains apparents de productivité réalisés par les seuls actifs agricoles restant dans les exploitations ne représentent pas en effet une réelle augmentation de productivité du travail à l’échelle de la nation toute entière, sachant que la main d’œuvre déplacée par la moto-mécanisation de l’agriculture ne trouve généralement pas d’emplois dans les autres secteurs d’activités.

Le plus urgent est de faire plutôt en sorte que les familles paysannes travaillent pour leur propre compte puissent accroître progressivement leurs productions et leurs revenus à l’hectare, en faisant un usage toujours plus intensif des ressources naturelles renouvelables disponibles (énergie lumineuses et dioxyde de carbone atmosphérique, azote de l’air, eaux pluviales, éléments minéraux situes dans le sous-sol, etc.) et en ayant le moins recours possible aux énergies fossiles et intrants agro-toxiques.

Il importe alors de raisonner le recours à la mécanisation agricole avec pour objectif de réduire la pénibilité du travail humain et d’accroître sa productivité sans occasionner de chômage ni de dégâts environnementaux. Le passage d’une agriculture qui reste encore manuelle à des systèmes de culture ayant recours à la tractation animale permet par exemple souvent d’accroître sensiblement les productions à l’hectare sans provoquer de déplacements prématurés de main-d’œuvre.

Il existe en fait, d’ores et déjà, des techniques agricoles inspirées de l’agro-écologie qui permettraient presque partout aux paysanneries africaines d’accroître leurs rendements à l’hectare en ayant surtout recours aux ressources naturelles renouvelables disponibles (énergie solaire, eaux pluviales, azote de l’air, éléments minéraux du sous-sol, etc.) et en faisant un usage le plus parcimonieux possible des engrais de synthèse et des produits phytosanitaires coûteux en argent et en énergie fossile. Elles consistent en premier lieu à associer simultanément, dans un même champ, ou y faire suivre systématiquement, diverses espèces et variétés aux physiologies différentes (céréales, tubercules, légumineuses et cucurbitacées), de façon à ce que l’énergie solaire puisse être au mieux interceptée par leur feuillage et transformée en calories alimentaires au moyen de la photosynthèse. Ces associations et rotations de cultures contribuent à recouvrir très largement les terrains cultivées, pendant une durée la plus longue possible, avec pour effet de protéger ceux-ci de l’érosion, de limiter la propagation des agents pathogènes et de minimiser les risques de très mauvais résultats en cas d’accidents climatiques.

L’intégration de plantes de la famille des légumineuses (haricots niébé, pois bambara, acacias divers, etc.), dans les associations et les rotations culturales, permet de fixer l’azote de l’air pour la synthèse des protéines et la fertilisation des sols. La présence d’arbres d’ombrage au sein même des parcelles cultivées ou le maintien de haies vives sur leur pourtour protège les cultures des grands vents et d’une insolation excessive, avec pour effet de créer un microclimat favorable à la transpiration des plantes cultivées et donc à leurs échanges gazeux avec l’atmosphère, à la photosynthèse et à la fixation de carbone dans la biomasse et dans l’humus des sols. Les arbres et arbustes hébergent aussi de nombreux insectes auxiliaires des cultures, favorisent la pollinisation de celles-ci et contribuent à limiter la prolifération d’éventuels insectes prédateurs. L’association des élevages à l’agriculture facilite l’utilisation des sous-produits végétaux dans les rations animales et favorise la fertilisation organique des sols grâce aux excréments animaux.

Les paysanneries africaines ont en fait déjà maintes fois montré leur capacité à innover et à modifier leurs systèmes de production en tenant compte des évolutions du marché et des besoins des populations. Ainsi le recours à la tractation animale et aux engins attelés leur a-t-il permis, fréquemment, d’associer plus étroitement agriculture et élevage et de rehausser simultanément les rendements à l’hectare et la productivité par actif agricole, tout en assurant le plein emploi de la main d’œuvre disponible.
Ainsi en a-t-il été au cours des trois dernières décennies dans quelques régions de l’Afrique soudano-sahélienne où, grâce à l’emploi d’équipements attelés (charrues, charrettes, etc.), les exploitants agricoles ont été en mesure de substituer progressivement leur ancien système d’agriculture sur abattis-brulis par des systèmes de culture dans lesquels les parcelles régulièrement amendées avec des matières organiques peuvent être désormais cultivées tous les ans, sans perte apparente de fertilité, du moins pour les agriculteurs ayant un nombre de bovins suffisant pour fumer leurs terres.

L’entretien d’un parc arboré de néré, karité et acacias, au sein même des champs cultives permet de fertiliser ces derniers avec les éléments minéraux puisés en profondeur par leurs racines et restitués dans la couche superficielle des sols lors de la chute de leurs feuilles. Tant et si bien que ces régions qui exportent du coton, des mangues et de la noix de cajou, sur le marché international, parviennent aussi à produire des excédents céréaliers.

D’où l’appel des scientifiques impliqués dans la récente « Evaluation internationale des connaissances, des sciences et technologies agricoles, pour le développement » (IAASTD) (1) à repenser la fonction des chercheurs en agriculture et à prendre davantage en compte les pratiques et savoir-faire « traditionnels » accumulés par les paysans. Sans doute faudrait-il donc que les chercheurs acceptent tout d’abord de reconnaître que l’objet de travail des agriculteurs ne se réduit jamais à un simple terrain cultivable ou à un troupeau, mais consiste plutôt, à chaque fois, en un agro-écosystème d’une plus ou moins grande complexité.


Sécuriser l’accès des paysans au foncier agricole et pastoral

Mais les obstacles à l’accroissement des productions agricoles et à la résolution du problème de la faim et de la malnutrition ne résultent pas tant des contraintes agro-écologiques auxquelles doivent faire face les paysanneries africaines que des conditions socio-économiques et politiques dans lesquelles ces dernières peuvent tant bien que mal avoir accès aux terres cultivables, aux surfaces pâturables, aux eaux de surface et souterraines, ainsi qu’à la biomasse disponible sur les divers terrains.

Dans les pays d’Afrique centrale et de l’ouest, où l’Etat se considère comme le propriétaire éminent de l’ensemble du territoire national et où les terres cultivables et de parcours ne font pas l’objet d’une réelle appropriation privée, il est devenu urgent, semble-t-il, d’assurer davantage les droits d’accès des familles paysannes au foncier agricole et les droits d’usage des ressources naturelles en milieu rural. La précarité des droits d’usage sur les terres et les autres ressources naturelles semble en effet un frein à la réalisation d’investissement à long terme pour la mise en œuvre de système de production plus intensifs, à l’hectare. Mais l’histoire récente a montré que l’octroi de titres de propriété privée « en bonne et due forme », peut être à l’origine de conflits sociaux particulièrement violents entre les populations considérées comme autochtones et celles arrivées plus tardivement.

Aux droits fonciers détenus par les pouvoirs publics, se surimposent encore fréquemment des droits fonciers coutumiers auxquels les agriculteurs locaux font bien souvent davantage référence. Au principe selon lequel l’usufruit de la terre est aujourd’hui garanti à celui qui la travaille, s’oppose fréquemment les droits revendiqués par les descendants des premiers défricheurs ou occupants. Lorsqu’interviennent des conflits d’usage sur les terres ou les eaux, les diverses parties ne savent plus très bien auxquels des deux types de droit il convient de faire appel et il en résulte de si fortes incertitudes que les agriculteurs et éleveurs ne se risquent pas à faire des améliorations foncières et de gros investissements à rentabilité différée, en sachant qu’ils ne seront pas sûrs de pouvoir en bénéficier ultérieurement des avantages.

Ainsi les agriculteurs qualifiés d’allochtones hésitent-ils à planter des arbres ou faire des aménagements destinés à l’irrigation ou au drainage dans les régions où l’affectation des terrains agricoles est encore de fait sous l’autorité des héritiers des familles ayant été à l’origine de la fondation des villages. Ces descendants des lignages fondatrices se considèrent en effet comme les véritables « propriétaires » des terrains et ne souhaitent généralement pas voir d’autres personnes y planter des arbres, sachant que les plantations arborées doivent être généralement encloses pour être à l’abri des destructions occasionnées par les animaux en divagation et peuvent apparaître comme un moyen de marquer définitivement des droits d’usage sur les terres parmi les plus fertiles. Le fait de planter des arbres apparaît en effet de plus en plus fréquemment comme le prélude à une privatisation et à une marchandisation des droits fonciers.

Il est à noter qu’aux abords des grandes villes, nombreux sont déjà les « maîtres de terres », issus des chefferies traditionnelles, qui ont commencé depuis quelque temps à vendre certains des terrains dont ils avaient le contrôle à des commerçants ou à des fonctionnaires. Ces derniers entreprennent alors généralement de faire immatriculer les parcelles qui leur ont été vendues de façon à en faire de véritables propriétés privées. Et le système de culture mis en place ultérieurement par ces « agriculteurs du dimanche » font surtout appel à de la main d’œuvre salariée, le plus souvent journalière, travaillant dans des conditions de grande précarité.

Dans les régions où les agriculteurs ont considérablement étendu leurs surfaces mises en culture, aux dépens de terre de parcours précédemment dévolus strictement au pâturage des troupeaux conduits par les éleveurs nomades, semi-nomades ou transhumants, ces derniers souffrent désormais bien souvent du surpâturage auquel sont désormais dramatiquement soumis les trop rares espaces pastoraux non encore investis par les cultivateurs. Les différends entre les deux catégories sociales n’ont cessé de s’aggraver au cours des dernières années, comme en témoignent les conflits de plus en plus violents dans le Darfour et bien d’autres régions sahélo-soudaniennes. Les hostilités commencent presque toujours lorsque, de retour prématurément d’une vaine pâture vers les zones cultivées, les troupeaux occasionnent de gros dégâts sur les cultures non encore moissonnées. Les éleveurs apparaissent alors presque toujours comme les premiers coupables ; mais le fait est que ces derniers agissent ainsi après avoir vu progressivement se réduire l’étendue de leurs terres de parcours au profit de celles mises en culture.

De toute évidence, il devient urgent de définir les droits d’usage et d’usufruit des diverses parties (agriculteurs, éleveurs, bûcherons, etc.) et de mettre en place des instances d’arbitrage reconnues par toutes les parties pour résoudre les différends et prévenir les guerres civiles. Il n’y aura sans doute pas de solutions viables à long terme dans ces régions, sans que ne soient créées les conditions socio-économiques pour que pour toutes ces parties soient à même d’intensifier leurs systèmes de production et d’associer toujours plus étroitement agriculture, élevage et cueillette, avec la mise en place d’arbres et arbustes à usage multiple (alimentaire, fourrager, médicinal, etc.) pouvant avoir aussi des effets bénéfiques sur la fertilité des sols et la capacité de résistance de ces derniers à l’érosion.

Mais rien n’indique pour autant que la privatisation du foncier agricole, via la remise de titres de propriété facilitant l’achat, la vente, la location et la cession en gage, des terres cultivables, puisse devenir la panacée. Le risque serait en effet de voir très vite apparaître une extrême concentration foncière au profit de quelques riches propriétaires absentéistes, avec l’émergence d’une classe de paysans sans terre condamnée à migrer massivement vers les nouveaux bidonvilles. Le plus urgent est de conforter les droits d’usage et d’usufruit des producteurs qui mettent en valeur les terrains agricoles et pastoraux depuis déjà un certain temps. Mais plutôt que de vouloir imposer d’en haut un nouveau droit foncier unique, devant être appliqué par toutes les parties, les Etats seraient sans doute bien inspirés d’inciter ces dernières a renégocier elles-mêmes leurs droits d’usage et d’usufruit respectifs sur les divers types de terrains, ainsi que sur les puits et les forages. Une certaine subsidiarité peut s’avérer indispensable en la matière.

Le problème est que dans bien des régions où les droits des producteurs sur le foncier ne sont pas encore assurés, certains Etats n’hésitent plus aujourd’hui à vendre d’immenses étendues plus souvent originaires du Moyen Orient et de l’Asie ou du Sud. Certes, cet « accaparement de terres » n’est pas vraiment une nouveauté, puisque de grandes compagnies européennes et nord-américaines (Michelin, Unilever, Firestone, etc.) disposent déjà de vastes plantations en Afrique pour l’approvisionnement de leurs industries en matières premières d’origine agricole. Mais le phénomène prend cette fois-ci une ampleur considérable et vise désormais à ravitailler les pays d’origine en produits alimentaires et en agro-carburants. Le drame est que les terrains ainsi vendus, ou loués dans le cadre de baux emphytéotiques, sont le plus souvent confisqués à des agriculteurs et des éleveurs qui les mettent déjà tant bien que mal en valeur. Ces producteurs risquent donc une brutale paupérisation et les nations concernées pourraient souffrir de pénuries alimentaires accrues.

Il serait en effet illusoire de penser que les compagnies étrangères à qui sont ainsi confiées des surfaces importantes vont les mettre intensivement en valeur et créer ainsi des emplois productifs et rémunérateurs pour les nations d’accueil ; car pour réaliser des taux de profit conséquents sur de telles étendues, il sera plus avantageux de miser sur la réalisation d’économies d’échelle en substituant la main-d’œuvre par des machines et en pratiquant des systèmes de production fort extensifs, avec de faibles valeurs ajoutées à l’hectare, tout comme ce qui peut déjà être observé dans maints latifundiums d’Afrique du Nord et du Sud.

Dans les pays d’Afrique australe où la concentration de la propriété foncière privée héritée de l’histoire coloniale est encore à l’origine de fortes inégalités sociales, la juxtaposition de très grandes exploitations et d’une multitude de paysans minifundiaires ou sans terre fait en effet toujours obstacle à une intensification durable des systèmes de culture et d’élevage. D’où le fait que des réformes agraires destinées à redistribuer les terres cultivables et pâturables au profit des paysans pauvres s’y révèlent encore absolument nécessaires.

Les propriétaires fonciers absentéistes, qui ne travaillent pas eux-mêmes directement leurs terres et ont recours à des ouvriers agricoles, sous la direction de gérants qui sont eux-mêmes salariés, n’investissent en effet généralement du capital dans leurs grands domaines qu’en vue d’y réaliser un taux de profit au moins égal à celui qu’ils obtiendraient dans les autres secteurs d’activités (spéculation immobilière, commerce, industrie, etc.). Ils n’ont alors guère souvent intérêt à y mettre en place des systèmes de production agricole intensifs en travail et en intrants, hautement productifs à l’hectare. Ils préfèrent alors bien souvent substituer la main d’œuvre salariée par des machines et font réaliser des systèmes de culture et d’élevage extensifs qui ne donnent que de maigres rendements à l’unité de surface, mais n’exigent en contrepartie que peu de capital et de travail.

La substitution de la main-d’œuvre salariée par des machines est alors fonction des gains de productivité que procurent les nouvelles techniques et de l’évolution des rapports entre les prix des matériels et de la force de travail. Le licenciement des ouvriers peut intervenir sans attendre la création d’emplois à l’extérieur des exploitations et il n’est pas rare d’observer des systèmes de production peu intensifs en travail dans des régions où sévit pourtant un chômage chronique.

La relative prospérité de l’agriculture latifundiaire, dite « blanche » ne doit donc surtout pas faire illusion : A quelques exceptions près, l’aisance des grands farmers provient en effet bien davantage de l’extension considérable des surfaces exploitées au sein de chacune des unités de production que d’une quelconque intensification des pratiques agricoles ; et il existe en fait une relation inverse entre la taille des exploitations et leur efficacité économique, les plus grandes d’entre elles étant celles qui font le moins usage de la force de travail disponible. Le recours à des engins motorisés de très forte puissance (tracteurs de plus de 100 chevaux, moissonneuses-batteuses automotrices, etc.) a permis d’y réaliser bien souvent les travaux culturaux avec une main d’œuvre salariée de moins en moins nombreuse. Des systèmes d’élevage extensifs sont encore pratiqués de nos jours au sein de ranchs de plusieurs centaines, voire de plusieurs milliers d’hectares. L’élevage des ruminants est pratiqué le plus souvent sur des prairies encloses, de grande dimension, n’exigeant que des soins forts limités et ne procurant que peu d’emplois. Mais cette technique du ranching est précisément celle qui procure un taux de profit élevé, du fait qu’elle entraîne de faibles coûts monétaires pour les exploitants.

Seule une redistribution égalitaire des terres permettrait alors la création d’exploitations agricoles de taille moyenne au sein desquelles les paysans travailleraient eux-mêmes directement leurs terres en ayant intérêt à mobiliser au mieux leur propre force de travail familiale disponible en vue d’y produire toujours davantage. Les producteurs qui travaillent pour leur propre compte au sein de telles exploitations familiales ont souvent une plus fine connaissance des terrains sur lesquels ils doivent se rendre fréquemment et sont donc plus à même d’agir à bon escient que les gérants de grandes exploitations capitaliste ou patronales qui ne participent pas directement aux travaux, ne visitent que très épisodiquement leurs parcelles ou leurs troupeaux, et ne bénéficient souvent même pas de l’expérience de leurs parents.

L’association agriculture-élevage, fréquemment pratiquée au sein des exploitations agricoles familiales marchandes de taille moyenne, rend souvent aisé le recyclage des résidus de culture pour la litière ou l’affouragement des animaux, et celui des déjections animales pour la fertilisation des sols ; elle évite donc bien des gaspillages dans la gestion de la biomasse disponible et diminue les achats d’intrants en conséquence, tout en ayant généralement des effets favorables sur l’environnement : maintien du taux d’humus, moindres pollutions des nappes phréatiques, etc. Pour peu que les paysans aient les moyens de diversifier leurs systèmes de culture et d’élevage, les exploitations familiales de taille moyenne sont celles où les fonctions de protection de l’environnement et de préservation des potentialités productives des écosystèmes sont les mieux assurées. Et cela d’autant plus que les paysans peuvent avoir intérêt à transmettre à leurs enfants des exploitations agricoles en bon état. L’intérêt de promouvoir l’essor d’exploitations agricoles familiales marchandes de taille moyenne ne réside donc pas seulement dans leur capacité à réguler l’exode rural en relation avec les opportunités de travail extérieur ; il concerne aussi directement le caractère écologiquement « durable » des processus de développement.

Soumettre les échanges internationaux aux exigences d’un développement « durable »

Mais si les paysanneries africaines qui travaillent pour leur compte au sein de leurs propres exploitations agricoles familiales ont presque toutes effectivement intérêt à pratiquer les systèmes de culture et d’élevage les plus conformes à l’«intérêt général » (ou du moins a l’intérêt du plus grand nombre), il n’en reste pas moins vrai que très nombreuses sont celles qui éprouvent de sérieuses difficultés à acquérir les équipements qui leur seraient nécessaires pour ce faire. Elles ne parviennent guère en effet à obtenir les revenus suffisants qui leur permettraient, tout à la fois, d’assurer la consommation familiale, d’épargner, d’investir et d’accroître progressivement leur productivité, de façon à produire davantage d’aliments tout en s’adaptant peu à peu aux conséquences du réchauffement climatique global.

Les bailleurs de fonds internationaux et les gouvernements seraient donc bien inspirés de réorienter une partie de leurs financements en faveur des exploitations agricoles familiales et des systèmes de production agro-écologiquement intensifs, les moins émetteurs de gaz à effet de serre. Mais il conviendrait plus encore de protéger de toute urgence ces agricultures paysannes de la concurrence directe et indue des grandes exploitations du « Nord » ayant systématiquement opté pour faire des économies d’échelle sans réelle prise en compte des coûts environnementaux. Car c’est bien l’insuffisante compétitivité des agricultures africaine, face à la concurrence d’exploitations agricoles moto-mécanisés étrangères, qui explique la pauvreté et la malnutrition dont sont encore victimes de trop nombreuses populations rurales et urbaines.

N’oublions pas en effet que l’écart de productivité nette du travail qui existe entre un paysan africain qui récolte ses céréales à la faucille et l’exploitant qui a recours à la moissonneuse-batteuse automotrice en Europe est dans un rapport de 1 à 200 !

Les émeutes de la faim intervenues en 2007 et 2008 dans de nombreuses capitales africaines doivent être considérées comme un avertissement, car les Etats du « Nord » excédentaires en céréales tendent à réduire leur aide alimentaire et préfèrent vendre leurs gains sur les marchés les plus solvables lorsque les prix de ces derniers s’élèvent brutalement sur la marche mondiale. Les gouvernements africains qui se sont exagérément reposés sur des importations a bas prix de céréales, sucre, viande et poudres de lait, en provenance des quelques puissances excédentaires en produits alimentaires, ont brutalement découvert les risques inhérents a une telle politique, du fait de l’extrême vulnérabilité dont sont désormais victimes leurs populations.

Les nations africaines ont, en fait, plus que jamais, besoin d’assurer par elles-mêmes la majeure partie de leur approvisionnement alimentaire, de façon à ne plus risquer des disettes ou des famines lors des périodes où la nourriture vient à manquer sur le marche mondial. Et il importe donc de protéger leurs agricultures vivrières à l’égard des importations à bas prix en provenance des pays à agriculture hautement productives et subventionnées, par le biais de droits de douane conséquents, afin que les paysans africains puissent bénéficier de prix rémunérateurs, indicatifs et stables. Les ressources fiscales ainsi perçue par les Etats africains pourraient alors être utilisées pour la création d’emplois au sein de chantiers à haute intensité en main-d’œuvre avec une rémunération des travailleurs qui sortiraient du chômage, permettant ainsi à ces derniers d’acheter la nourriture devenue plus chère.

Mais il va de soi que si on plaide pour que les nations africaines soient autorisées à taxer leurs importations de produits vivriers, il faudrait aussi que l’Europe cesse de vouloir exporter à tous prix les surplus agricoles pour la production desquels ses agriculteurs perçoivent des subventions. D’où l’urgence de la voir reformer sa politique agricole commune (PAC) dans ce sens, avec l’instauration de quotas de production lui permettant d’éviter de telles braderies sur les marchés internationaux.

L’Union européenne devrait bien évidemment aussi renoncer à vouloir a tout prix intégrer des clauses de « libre » échange des produits alimentaires, lorsqu’elle « propose » des « Accord de Partenariat Economique (APE) aux Etats africains. Et il conviendrait de mettre fin au plus tôt aux négociations actuellement entreprises au sein de l’Organisation mondiale du commerce (OMC), dans le cadre du « cycle e Doha » et qui ne tiennent pas compte de l’insécurité alimentaire de trop nombreuses populations africaines.

Les négociations internationales en cours ne prennent pas non plus en considération le réchauffement climatique global dont les nations africaines risquent d’être les premières victimes, malgré les engagements pris par plusieurs des parties signataires du Protocole de Kyoto. Le rapport publié conjointement en juin 2009 par l’OMC et le Programme des Nations Unies pour l’environnement (PNUE), qui s’efforce de montrer « combien il serait difficile d’appliquer un mécanisme d’ajustement aux frontières qui réponde aux préoccupations des industries nationales tout en contribuant à la réalisation de l’objectif plus vaste d’atténuation du changement climatique global » , (2) n’augure rien de bien encourageant en la matière. Pas plus que le communiquZ final du sommet du G8 tenu le mois suivant à l’Aquilla (Italie) qui, pour résoudre de toute urgence la question alimentaire mondiale, préconise d’accroître la productivité agricole en mettant l’accent sur les petits exploitants, mais insiste encore davantage sur la nécessité de conclure au plus vite les négociations commerciales déjà engagées dans le cadre du « Cycle de Doha ».

De ce point de vue, la Conférence des Parties de la convention des Nations Unies sur les changements climatiques (CCNUCC), qui s’est tenue en décembre 2009 à Copenhague, s’est révélée for décevante. Certes, les Etats du « Nord » ont annoncé leur volonté d’aider financièrement les Etats les plus pauvres du « Sud » à s’adapter aux conséquences du réchauffement climatique ; mais on sait bien que bien des promesses formulées en septembre 2000, lors de la rédaction des Objectifs du millénaire pour le développement n’ont pas été tenues. Force est donc de reconnaître le peu d’effets que peuvent avoir de simples résolutions sans caractère contraignant.

Les modalités concrètes des financements envisages à Copenhague restent très largement à définir et plusieurs Etats envisagent de faire appel à des fonds privés, tout comme pour le financement des « mécanismes de développement propres » dont les paysanneries africaines n’ont guère bénéficié pour l’instant. Ne risque-t-on pas de voir de grandes sociétés transnationales tenter de se « refaire une virginité » et de faire planter des arbres à croissance rapide sur d’excellentes terres agricoles, au nom de la fixation de carbone et de la compensation de leurs émissions de gaz à effet de serre, et tout cela aux dépens des cultures vivrières ?

Les paysanneries africaines devraient légitimement demander à bénéficier prioritairement des processus de financement internationaux accordés dans le cadre des « Mécanismes de développement propre » (MDD) définis à Kyoto, de façon à pouvoir mettre en œuvre les techniques les plus à même d’assurer à la fois l’adaptation de leurs systèmes de production agricole aux changements climatiques et l’atténuation des émissions de gaz à effet de serre.

En vue d’obtenir les financements internationaux, les paysanneries africaines devraient en effet pouvoir ne pas mettre seulement en avant la vulnérabilité de leurs agricultures et les efforts à réaliser pour adapter celles-ci aux changements climatiques. Ils devraient aussi pouvoir faire valoir aussi leur capacité à mettre en œuvre des techniques agricoles susceptibles de séquestrer du carbone dans les sols et dans la biomasse cultivée. Le problème est que les représentants des « Etats » impliqués dans les négociations ne sont guère nombreux à connaître l’existence de ces techniques paysannes pourtant déjà éprouvées et sont plutôt enclins à écouter les refrains mercantiles des grandes firmes de l’agrobusiness.

Mais au-delà des quelques résolutions et engagements qui pourraient éventuellement résulter de la prochaine « Conférence des parties » envisagée à Mexico, la question à résoudre de toute urgence ne serait-il pas de concevoir de nouvelles modalités de gouvernance mondiale, plus démocratiques, moins conciliantes à l’égard des intérêts des grandes entreprises agro-industrielles et commerciales, moins crédules par rapport aux vertus des seules « forces du march » », plus conformes au droit de chacun à une alimentation correcte et plus respectueuses de l’environnement dont vont devoir hériter les générations futures ? Une Organisation mondiale de l’environnement (OME) auprès desquelles les paysanneries et les associations environnementales pourraient faire valoir les intérêts des citoyens ne devrait-elle pas finalement faire contrepoids à l’actuelle OMC ?

NOTES
1) International Assessment of Agriculture knowledge, Science and Technology
2) Commerce et changement climatique. Rapport établi par l’Organisation mondiale du commerce et le Programme des Nations Unies pour l’Environnement. Wto.org/french/booksp_climate_f.pdf


* Marc Dufumier est professeur à Agro Paris Tech. Cette communication a été présentée lors du colloque organisé par la Fondation Gabriel Peri et le Parti de l’indépendance et du travail-Sénégal, à Dakar, les les 18 et 19 mai 2010

L’Afrique, une terre à louer

PRISE DE CONTRÔLE | Le continent subit une véritable ruée mondiale vers ses terres agricoles. Cette frénésie foncière, au lieu de favoriser son développement, vire à l’exploitation. C’est la conclusion, explosive, d’un rapport que la Banque mondiale semble vouloir dissimuler.

ANDRÉS ALLEMAND | 12.08.2010 | 00:00


C’est une petite bombe. Le vénérable Financial Times a affirmé à la fin de juillet détenir un rapport détonnant de la Banque mondiale, que celle-ci s’apprête à révéler un de ces prochains jours, au cours du mois le plus creux du calendrier international. Selon le quotidien économique, le document dresse un tableau particulièrement alarmant: de plus en plus d’investisseurs étrangers (publics ou privés) s’arrachent les terres arables des pays les plus pauvres. A des conditions désastreuses pour l’économie et les populations locales. Surtout en Afrique.

Le phénomène, bien sûr, n’est pas nouveau. Mais il a pris des proportions étonnantes ces cinq dernières années. Et affolantes depuis la crise alimentaire mondiale de 2008. Car des gouvernements du Nord ont soudain réalisé qu’ils ne pourraient pas toujours garantir à leur population l’accès aux produits agricoles de base.

Pour un euro l’hectare

Ainsi, la Chine, en pleine croissance économique, voit sa population consommer de plus en plus d’aliments qu’elle n’arrive pas à produire en suffisance. Dans les pays du Golfe, déjà désertiques et redoutant de surcroît les effets du réchauffement planétaire, la sécurité alimentaire passe par le contrôle de terres à l’étranger. S’ajoute à cela le boom des agrocarburants à chaque fois que les prix du pétrole partent à la hausse. De quoi expliquer cette frénésie foncière qui, à son tour, provoque l’entrée en scène des spéculateurs, à la recherche de nouveaux marchés suite à la crise financière mondiale.

Forcément, c’est en Afrique que les conséquences sont les plus spectaculaires. Le continent, en effet, dispose encore de vastes terres peu exploitées et très bon marché. Sur 800 millions d’hectares considérés comme arables, seulement un quart seraient cultivés. Du coup, au Soudan, par exemple, des investisseurs étrangers auraient déjà pris le contrôle de quatre millions d’hectares, c’est-à-dire l’équivalent de la surface totale du territoire helvétique. Cela, dans un pays certes immense, mais en grande partie désertique. En Ethiopie, où la location annuelle ne coûte qu’un euro par hectare, quelque 800 baux à long terme auraient été signés depuis 2007 avec des investisseurs étrangers. Sur tout le continent, on estime qu’au moins 20 millions d’hectares ont déjà été cédés. Mais peut-être le double ou même le triple, selon les sources.

L’ennui, reconnaît la Banque mondiale, c’est que ces investissements, loin d’être une aubaine pour le continent noir, finissent par nuire à des populations déjà pauvres et à des économies précaires. Car les acquéreurs ciblent les pays avec les législations les plus faibles, arrachent des locations à prix cassés, à des taux d’imposition ridicules voire inexistants, sans forcément créer de l’emploi ni développer les infrastructures locales.

Des populations spoliées

Or, les vastes surfaces louées aux étrangers sont souvent habitées. Et des familles de paysans les cultivent depuis des générations sans pour autant détenir de titres de propriété reconnus par les autorités. Ces populations sont souvent déplacées sans contrepartie et leurs terres polluées sans vergogne.

C’est déjà le Financial Times qui avait révélé, à la fin de 2008, un incroyable contrat négocié à Madagascar par la compagnie sud-coréenne Daewoo Logistics. L’accord prévoyait le contrôle de la moitié des terres arables du pays pour une durée de 99 ans. Le tout gratuitement. Le deal fut abandonné, après avoir contribué à un coup d’Etat.

Dans un tout autre genre, en Ouganda, les Chinois ont fait venir leurs propres ouvriers et leurs propres semences, rapportait récemment Radio France Internationale.

L’aveu embarrassant

Au Cameroun et au Mozambique, ils négocieraient l’arrivée de 10 000 colons… pour y cultiver du riz.

Bref, à quelques exceptions près, les investissements étrangers, activement encouragés par la Banque mondiale, auraient fait davantage de mal que de bien à l’Afrique. Un comble, quand on sait qu’un milliard d’êtres humains souffrent encore de la faim et qu’ils se trouvent en majorité sur le continent noir. Et ce décalage risque d’empirer, car la population mondiale va passer de 6,8 milliards d’individus actuellement à 9 milliards en 2050.

http://www.tdg.ch/actu/monde/afrique-terre-louer-2010-08-11

Pour une politique agricole saine, durable, juste et solidaire

http://www.bastamag.net/article1088.html

Les négociations sur la réforme de la Politique agricole commune en 2013 ont commencé. 334 organisations européennes appellent à « attaquer de front la PAC actuelle ». Il est temps, selon elles, que la population européenne se réapproprie véritablement sa politique agricole et alimentaire. Un appel pour que cette réforme marque un tournant vers une réelle « agriculture paysanne », juste et solidaire.

Nous représentons une grande diversité d’organisations - voir liste ci-dessous- qui sont inquiètes de l’avenir de l’alimentation et de l’agriculture en Europe. Comme dans d’autres régions du monde, de plus en plus de personnes militent pour système alimentaire durable, plus équitable et plus participatif. Nombreuses d’entre elles sont engagées activement dans la construction d’une alternative viable aux mécanismes actuels de production, distribution et consommation alimentaire- et ce depuis la base. Ce nouveau système de production alimentaire et d’agriculture est résolument bâti sur un certain nombre de fondamentaux : l’équité, le droit universel à l’alimentation, la démocratie et la transparence.

A travers l’Europe, de nombreuses activités se développent dans ce sens, comme par exemple la production locale d’aliments, les marchés de proximité, les réseaux d’approvisionnement locaux, les échanges de semences etc. En outre, de nouveaux mouvements émergent, comme les "Villes en transition" (Transition Towns), les zones libres d’OGM, tandis que les débats organisés au niveau local et national sur les politiques alimentaires démontrent un intérêt et un soutien croissant de la population pour une autre forme d’alimentation et d’agriculture.

Cependant les actions à la base et les seuls mouvements locaux ne suffisent pas. Nous pensons qu’il est temps de construire une large coalition de mouvements au niveau européen afin d’attaquer de front la PAC actuelle (Politique Agricole Commune) ainsi que les projets de la Commission européenne et de nos gouvernements pour le renouvellement de la PAC en 2013. Leur vision de l’avenir est de maintenir , comme objectif principal de cette PAC, la « compétitivité » mondiale de l’ industrie agro-alimentaire européenne. Or c’est maintenant que démarre le processus politique pour la définition de la nouvelle PAC 2013. Nous pensons qu’un message fort doit être envoyé aux législateurs, pas seulement à ceux qui décident des politiques européennes mais aussi dans nos propres pays, afin de leur expliquer notre vision d’une PAC qui soit compatible avec les défis du 21ème siècle.

Nous avons élaboré une Déclaration alimentaire européenne : « Pour une Politique Agricole et Alimentaire Commune saine, durable, juste et solidaire ». Elle décrit les lignes directrices dont nous pensons qu’elles doivent former la base des objectifs de la PAC pour les décennies à venir. Nous invitons autant d’organisations, groupes et individus que possible à signer cette déclaration et à s’en servir comme un outil pour amorcer le débat sur le type de politique alimentaire et agricole dont nous avons besoin. Nous vous demandons également de faire suivre cette déclaration à d’autres groupes de base, organisations de la société civile, associations travaillant dans le domaine environnemental et alimentaire, engagés dans la construction d’un meilleur système alimentaire.

Cette déclaration est la première étape dans notre effort pour construire un large mouvement en vue d’obtenir des politiques et des pratiques de souveraineté alimentaire en Europe, Union Européenne incluse. Nous préparons également un forum européen en 2011, qui rassemblera des personnes et des organisations motivées par ces questions et qui veulent unir leurs forces afin de parvenir ensemble à nos objectifs communs. Si vous êtes intéressé(e) par la préparation de ce forum ou pouvez nous apporter une aide dans son organisation, merci de nous contacter.

Déclaration alimentaire européenne
Nous, soussignés, croyons que l’Union Européenne a besoin de répondre aux défis urgents auxquels l’Europe est confrontée en matière d’agriculture et d’alimentation.

Après plus d’un demi-siècle d’industrialisation de la production agricole et alimentaire, l’agriculture paysanne a été fortement réduite en Europe et les cultures alimentaires locales ont régressé. Aujourd’hui, notre système alimentaire est dépendant des carburants fossiles, ne reconnaît pas l’eau et la terre comme des ressources limitées, et soutient des régimes alimentaires mauvais pour la santé, riches en calories et en graisse, et pauvres en fruits, légumes et céréales. A l’avenir, le prix croissant de l’énergie, la perte drastique de biodiversité, le changement climatique et la diminution des terres et de l’eau disponibles sont un défi pour la production alimentaire. Dans le même temps, une population mondiale en expansion fait face à la fois à la faim, qui s’étend, et aux maladies chroniques de suralimentation.

Nous ne réussirons à répondre à ces défis qu’avec une approche complètement différente vis à vis des politiques agricole et alimentaire et des pratiques. L’Union Européenne doit reconnaître et soutenir le rôle crucial de l’agriculture paysanne dans l’approvisionnement de la population. Toutes les personnes devraient avoir accès à une alimentation saine, sûre, nutritionnelle. Les manières dans lesquelles nous cultivons, distribuons, préparons et mangeons devraient rendre honneur à la diversité culturelle de l’Europe, tout en fournissant l’alimentation de manière équitable et durable.

La Politique Agricole Commune (PAC) actuelle est en débat pour être réformée pour 2013. Après des décennies de domination des entreprises transnationales et de l’Organisation Mondiale du Commerce (OMC) sur le choix de politique agricole et alimentaire, il est temps pour la population en Europe de se réapproprier leur politique agricole et alimentaire : c’est l’heure de la souveraineté alimentaire. Nous croyons qu’une nouvelle politique Alimentaire et Agricole Commune doit garantir et protéger un espace citoyen dans l’UE et les pays candidats, avec la possibilité et le droit de définir ses propres modèles de production, de distribution et de consommation, à partir des principes ci-dessous.

La nouvelle Politique Alimentaire et Agricole Commune :

1. considère l’alimentation comme un droit humain universel, et non simplement comme une marchandise.

2. fixe comme priorité de produire l’alimentation humaine et animale pour l’Europe et de changer le commerce international agricole en le gouvernant avec équité, justice sociale et durabilité environnementale. La PAC ne doit pas porter tort aux systèmes agricoles et alimentaires des autres pays.

3. promeut des modes alimentaires sains, en se dirigeant vers des régimes basés sur les végétaux et une consommation moindre de viande, de graisses saturées, de produits riches en énergie et de produits hautement transformés, tout en respectant les modes alimentaires culturels et les traditions populaires.

4. donne la priorité au maintien d’une agriculture avec des paysans nombreux sur tout le territoire européen, qui produisent l’alimentation et maintiennent le paysage. Cela n’est pas réalisable sans des prix agricoles justes et sûrs, qui doivent permettre un revenu décent pour les paysan(ne)s, les salarié(e)s agricoles et des prix justes pour les consommateurs.

5. assure des conditions justes et non discriminatoires aux paysan(ne)s et salarié(e)s agricoles d’Europe Centrale et Orientale, et soutient un accès juste et équitable à la terre.

6. respecte l’environnement global et local, protège les ressources finies du sol, de l’eau, accroît la biodiversité et respecte le bien-être animal.

7. garantit que l’agriculture et la production alimentaire restent libres d’OGM, encourage les semences paysannes ainsi que la diversité des espèces domestiques et des cultures alimentaires.

8. cesse de promouvoir l’utilisation et la production d’agro-carburants industriels et donne la priorité à la réduction du transport en général.

9. assure la transparence tout au long de la filière alimentaire, de telle sorte que les citoyens sachent comment leur alimentation est produite, d’où elle provient, ce qu’elle contient et ce qui est inclus dans le prix final.

10. réduit la concentration de pouvoir dans la transformation et la distribution alimentaire et son influence sur ce qui est produit et consommé, et promeut des systèmes alimentaires qui raccourcissent la distance entre paysans et consommateurs,

11. encourage la production et la consommation de produits locaux, de saison, de haute qualité, reconnectant les citoyens avec leur alimentation et les producteurs.

12. engage des ressources pour enseigner aux enfants les compétences et les connaissances essentielles pour produire, préparer, et apprécier une alimentation saine et nutritionnelle.

Liste des signataires :

Europe

* European Coordination Via Campesina www.eurovia.org * Friends of the Earth Europe www.foeeurope.org * European Attac Network www.attac.org * Africa Europe Faith & Justice Network www.aefjn.org * MIJARC Europe www.mijarc.org * Seattle to Brussels Network www.s2bnetwork.org * Food and Water Europe www.foodandwaterwatch.org * Greenpeace Europe Unit http://www.greenpeace.org * Eurogroup for animals www.eurogroupforanimals.org * European Public Health and Agriculture Consortium www.healthyagriculture.eu * IFOAM EU group www.ifoam-eu.org * European Beekeeping Coordination

International

* FIAN International * Transnational Institute * Action Aid International * International Network Urgenci www.urgenci.net

Austria

* ÖBV-Via Campesina Austria * Global 2000 * Südwind * Dreikönigsaktion * Attac Austria * Slow Food Linz * SOL – Menschen für Solidarität, Ökologie und Lebensstil * Agrarbündnis * FIAN Austria * Gewerkschaft PRO-GE * ARGE Schöpfungsverantwortung * WWOOF Österreich * ARCHE NOAH * Grüne bauern und Bäuerinnen * Agrarattac * Bio Austria * KIV-UG * Center for Encounter and Active Non-Violence * Initiative Zivilgesellschaft * FAIRESSEN - Scheiblhofer Consulting * Bustani ya Tushikamane * Hier und Jetzt * WIDE * demeter * BOKU * IHEID * Kpv Hittisau * Biobauern-Forum.at * WWF * Alternative und Grüne GewerkschafterInnen / Unabhängige GewerkschafterInnen Oberösterreich

Belgium

* FUGEA * Movement d’Action Paysanne (MAP) * Vredeseilanden * vzw ’t Uilekot * Wervel * VODO * Netwerk Bewust Verbruiken * Attac Vlaanderen * Broederlijk Delen * EVA vzw * Friends of the Earth Vlaanderen en Brussel * Velt * Ecolife * Missionarissen van Steyl (Commissie Gerechtigheid, Vrede en Heelheid van de Schepping) * Bioforum Vlaanderen * Attac Bruxelles-Wallonie * Bevrijde Wereld * SOS faim * Jong Groen ! * Bioinfo * Entraide et Fraternité * Nature & Progrès Belgique * kasteel nieuwenhoven * Cirkel van Harmonie * transition network * Het Vrije Veld * Aardewerk * Eco-centrum Gent * Terra Reversa * Ecologie Libre A Ciel Ouvert * CNCD

Bulgaria

* Agrolink * Slow Food Convivia * UNECO * ADC KRONE

Czech Republic

* Hnuti Duha - FOE CZ * Foundation for Protection of Animals * Ecumenical Academy * Glopolis

Cyprus

* Friends of the Earth Cyprus

Denmark

* Frie Boender * Attac Denmark

Finland

* Attac Finland

France

* Confédération Paysanne * ATTAC France * CFSI * Peuples Solidaires en association avec ActionAid * Bretagne Vivante - SEPNB * Nature & Progrès * GRAPPE (GRoupement des Associations Porteuses de Projets en Environnement) * MINGA * Les Alterconsos * APLI * Les Alternatifs * TREFLE * Fromagerie Capribio * adear 32 * adabio * Asso Ecologie Etretat-Fécamp * La terre en héritage * terres de vent * MDRGF * Peuples Solidaires * Syndicat d’Agriculture Bio-Dynamique

Georgia

* Association for Farmers Rights Defence, AFRD * World Poultry Science Association Georgian Branch,WPSAGB * FoE Georgia

Germany

* Buko Agrarkoordination (D) * Bund für Umwelt- und Naturschutz Deutschland (BUND) * Agrarbündnis * Bestes Bio - Fair für Alle e.V. * Naturland * Biofair * Demeter * Saatgut Aktionsnetzwerk * Gentechnikfreies Europa e.V. * DEEPWAVE * FDCL * Slow Food Ulm * culinar-regional.de * Berggenuss * "RO-DE-RO"e.V. * Utopia * Greenpeace München e. V. * Save Our Seeds * Arbeitskreis Ökolandbau * Bioland * Brot für Hungernde * Schweisfurth Foundation

Greece

* NEAK

Hungary

* Alliance for Food Sovereignty, Hungary * SZOVET * Szövetség az Élő Tiszáért / Alliance for the Living Tisza * "A rák ellen, az emberért, a holnapért !" Alapítvány

Italy

* Italian Committee for Food Sovereignty (273 members) * Associazione Michele Mancino * Associazione Rurale Italiana * ATTAC * AUCI * Centro Internazionale Crocevia * CESTAS * Fair * FOCSIV - Volontari nel mondo * Fondazione Diritti Genetici * Mani Tese * Movimento Lotta Fame nel Mondo * Movimento Sviluppo e Pace * Slow Food Italia * Terra Nuova * WILPF, Italy * Coldiretti * DIMENSIONI DIVERSE * Ass. AMICI DEL SENEGAL * GAS AVIGLIANA * Gas ravenna * Bottega della solidarietà di savona * ass. cibopertutti * cooperativa ’E Pappeci * CRA * galpiceno * Apilombardia * CIDIS * Equa di S.Marco d’Urri * RNA CAMPANIA * Amici Beppe Grillo * giornale l’adige * associazione Pianeta Terra * terra TERRA * cittadina * JPIC Commission of leadership of Religious Institutes (USG/UISG), Rome

Luxemburg

* SOS Faim Luxembourg

Malta

Ta Qali Producer Group i

Netherlands

* A SEED Europe www.aseed.net * Afrika-Europa Netwerk * XminY Solidariteitsfonds * Vereniging Milieudefensie * Stichting Erfgoedfewassen * Boerengroep Wageningen * Human Error * Stichting Genethica * Transition Towns * Oyugis Integrated Project * Missiezusters van O.L. Vrouw van Afrika

Norway

* Norske bonde-og Smabrukarlag (Norwegian Farmers’ and Smallholders’ Union) * Oikos - Organic Norway * Utviklingsfondet/The Development Fund * Spire (Development Youth)

Poland

* Attac Poland * ICPPC * EKOLAND

Portugal

* CNA * Plataforma Transgénicos Fora * MARP - Associação Das Mulheres Agricultoras e Rurais Portuguesas * ARP - Aliança para Defesa do Mundo Rural Português * ACOP - Associação de Consumidores de Portugal * interbio * MPI - Movimento Pró-Informação Para A Cidadania E Ambiente * SATIVA

Romania

* "Rencontres du Patrimoine Europe-Roumanie" - RPER * "Centrul Independent pentru Dezvoltarea Resurselor de Mediu" CIDRM * "Centrul de Informare asupra Organismelor Modificate Genetic" InfOMG * "Eco Ruralis - in sprijinul taranilor ecologici si traditionali" * Slow Food Turda + Slow Food Cluj Transylvania * Asociatia ARIN * Asociatia AGORA" - Grup de Lucru pentru Dezvoltare Durabila * Fundatia Eco Civica * Asociatia Mai Bine" / The Association for the Better * Asociatia Fermierul Cozia * Asociatia Gib Bio Grup * Fundatia Speranta Sfantul Stefan * Asociatia Valea Soarelui * Asociatia Fair Trade Efectul Fluture * Asociatia Sighisoara Durabila * BIO COOP - Cooperativa de gospodari bio * Asociatia Eco Assist * Microregiunea Poganyhavas * Asociatia Hosman Durabil * Cooperativa Escar Prod * Clubul Ecologic Transilvania * WWOOF Romania * Asociatia Prietenii Pamantului Galati * Asociatia Zdreanta * Asociatia Focus Eco Center * Asociatia Re.Generation * Centrul de Resurse pentru Initiative Etice si Solidare” CRIES * Asociatia pentru Sustinerea Agriculturii Taranesti” ASAT * Asociatia pentru Mediu si Turism Ulmul Cerasului * TERRA Mileniul III * Asociatia Turda Fest * Asociatia Ecologica Turismverde * Asociatia Bio Romania * Asociatia ALMA-RO * Reteaua de Actiune pentru Clima Romania * Fundatia KESARION - pentru o viata romaneasca traditionala * Asociatia Alburnus Maior - Rosia Montana * Asociatia ROPAM

Slovakia

* CEPTA – Centre for Sustainable Alternatives

Slovenia

* Drustvo za razvoj slovenskega podezelja (Slovenian Rural Development Network)

Spain

* Sindicato de obreros del campo, Andalucía * Sindicato Labrego Galego * Federación Estatal de Pastores * Attac Spain * Plataforma Rural / Alianzas pour un mundo rural vivo * Amigos de la Tierra España * Veterinarios sin Fronteras-VETERMON * Nou Sud * AGA - Asociación Galega de Apicultura * Ecologistas en Acción * izquierda unida * APAEM * La Garbancita Ecológica * Grupos Autogestionados de Konsumo (GAKs) de Madrid * landare * RED DE SEMILLAS * Agroalimentaria do Eume * Passionists International * iNGENIERIA SIN FRONTERAS * UNIO APICOLA * CERAI * Manttangorri Produktu Ekologikoak

Sweden

* Attac Sweden * Swedish society for nature conservation, Göteborg * Fältbiologerna

Switzerland

* L’autre Syndicat * Plateforme pour une agriculture socialement durable * Swissaid * Ethik-Labor * TERRA VERDE Bio-Gourmet AG * Bioforum Schweiz * FiBL * ProSpecieRara * Media Research Group

Turkey

* CIFTCI-SEN- Farmers’ Union Confederation : “Union of Tea”, “Union of Hazelnut”, “Union of Olive”, “Union of Grape”, “Union of Tobacco”, “Union of Sunflower”, “Union of Grain”, Union of Animal Breeders) * TARIM OR KAM- SEN / Union of Public Employees in the Agriculture and Forestry Branch * Initiative for Rural Development (38 organisations) * No To GMOs Platform (75 organisations) * KECI - Urban Initiative in solidarity with Farmers * Ecological Farmers’ Association * IMECE Eco-village, Natural Life and Ecological Solutions Association * Turkish Agricultural Economics Association * Bogatepe Environmental Life Association * Bogatepe Development Co-operative * Kuyucuk Village Development Co-operative * Kuyucuk Village Bird Sanctuary Protection and Tourism Development Association * Buyukcatma Natural Food Producers’ Association * Yolboyu Village Development Co-operative * Bogazkoy Development Co-operative * Slow Food Adapazari Convivium,Slow Food Alacati-Cesme Convivium,Slow Food Ankara Convivium,Slow Food Fikir Sahibi Damaklar Convivium,Slow Food Gaziantep Convivium,Slow Food Igdir Convivium,Slow Food Izmir Bardacik Convivium,Slow Food Kars Convivium,Slow Food Samsun Convivium,Slow Food Tire Convivium,Slow Food Urla Convivium,Slow Food Yagmur Boregi Convivium, Slow Food Alacati-Cesme Convivium * Ecology Collective * anima istanbul * GDO HAYIR PLATFORMU * ödp * Tohum Izi * Arkitera Architecture Center * ITU * Nature Society * Repolitical Movement * Mysia olive oil * Turkish Medical Associationµ * Bugday Association * Seed Trace * karahan * Keyveni Kurumsal Hazır Yemek * antalya tarım il müdürlüğü * Aydin Damizl Siğir Yetiştiricileri Birligi (Cattle Breeders Association Of Aydin) * Buket

United Kingdom

* War on Want * UK Platform for Food Sovereignty * Scottish Crofting Federation * One Planet Food Scotland * Munlochy Vigil * World Family * Soil Association * Transition Town Farnham * Practical Action * Falkland Centre for Stewardship * Localise West Midlands * Loaf Social Enterprise * Campaign for Real Farming * SGR * Abingdon Carbon Cutters * TEAG * Sustainable Blewbury * Hampshire Fare * Sisters, Faithful Companions of Jesus * Small and Family Farm Alliance

Non European countries

* Moving Water | A Helpful Source !, Nicaragua

* ANAG-Associacao Nacional dos Agricultores da Guine-Bissau

* LTL Farm, United States * Association for Sustainable Development in Bangladesh