Forse piú che chiamarlo pomposamente Paraguay, dovrei limitarmi a chiamarlo Asunción nel día a día dato che non riesco mai a uscire da qui. Riunioni e sempre riunioni, in giro in macchina, ministerio, ONG, il solito ristorante al Roque, di fianco l’ INDERT e poi ancora riunioni.
Passi per la piazza, oramai colonizzata dagli indios che aspettano e sperano, chissá cosa poi, dato che in due anni di governo i titoli emessi per riconoscere i loro territorio si contano sulle dita di una mano. Chissá come dev’essere sentirsi cosí, spogliati della cosa, forse l’unica che per te conta veramente qualcosa. Secondo me debe darti una tristeza interna che non riesci nemmeno a trasmettere, ed allora vai avanti .. ti metti in stand by.. pura sopravvivenza, muori di fame, di malattie, ma soprattutto muori del nulla che sei per gli altri.
Lo leggi negli occhi che non ci sei: due anni che insisto, come uno stupido a dire che se un governo dice che inizia la stagione del cambio, cosa di piú simbolico di partire da lì, dalle radici? Chi sei? Da dove vieni? Ma non si muove nulla, e allora capisci che il razzismo è una bestia strisciante, che ti si appiccica addosso, senza distinzioni di colori politici e per questo che poi nessuno fa nulla.. e loro sono lì…
Sono passato di sera attorno alla piazza, e ti cogli a pensare che nemmeno vuoi vederli, vuoi toglierteli dagli occhi, non vederli. Ma siamo noi quelli lì in piazza, dobbiamo ricordarcelo, noi dovremmo imparare le loro lingue perché noi siamo andati a casa loro, noi abbiamo preso le loro donne e le loro terre e adesso siamo qui a elemosinare un riconoscimento che a noi costa tutto l’oro del mondo ma che non potrá mai risarcire quello che gli é stato fatto.
Giri per le strade e vedi pochi passaggi pedonali, tutti oramai vanno in qualcosa di meccanico, dai bus alle megamacchine, nuove di palla; cittá estesa, che non guarda il fiume, si cerca in un guardarsi attorno che é il sintomo del malessere che c´ha dentro. Ovunque posi gli occhi li trovi li, poveri, che chiedono umilmente qualcosa, e con 1000 pesos ti togli il pensiero.
Librerie: beh, siamo in america latina, e quindi sono poche e rare. L’unico paese dove ne ho trovate di belle da perdersi dentro è la Colombia, Bogotá in realtá; certo poi anche in Brasile, ma insomma per chi ama leggere é sempre uno struggimento venire in questi posti. Costano cari e la scelta è sempre quella che é. Ma qui si scrive e si pubblica, non è analizza e pubblica. Lasci perderé i giornali perché tanto a parte il calcio e i chismes e le foto di vita sociale non c`è altro che i morti e le mille pagine di annunci di vendita. Non credo aver visto un cinema che sia uno, ma ripeto la mia conoscenza é limitata. Hanno un mercatino simpatico in centro, vi consiglio di andarci, anche se magari é un po´pesante, molto lavoro all’uncinetto, tovaglie etc.. che insomma secondo me stancano presto noi europei ma in america latina hanno un mercato.
Della cucina ho giá parlato in posts precedenti. La novitá di ieri é stata il “cocido” che non ha nulla a che vedere con quello dominicano: é semplicemente della yerba mate messa a cuocere con uno strato di zucchero con sopra delle pietre bollenti che caramellizzano il tutto; ci versi sopra l’acqua calda e poi, una volta mescolato iltutto, metti nei termos; qui lo prendono mattina mezzogiorno (e sera).
Comunque trovi anche dei buoni caffé e té. Buoni ristorantini da 5 euro e forse meno; la milanesa impazza che sia di carne o pesce. Salse, maionese, kétchup e tutto il resto, come piovesse.
Una presenza religiosa fortissima: terra di frontera dove ci si disputa anche l’ultimo (possibile) credente: salesiani, CL, sette varie, sono tutti qui. Quelli di Moon sono anche fra i grossi proprietari terrieri se puó interessare.
Torno a casa, a leggere e scrivere i miei sogni: sono fatto cosí, mi lascio prendere dai sogni altrui e cerco di aiutare a trasformarli in realtá. Non è casa mia, lo so, ma le ingiustizie sono quelle dappertutto per cui perchè non provare a combatterle anche qui? Secondo me Lugo ci prova, e voglio essere al suo fianco quel giorno. E quei territori riusciremo a restituirli, e vorrei esser qui il giorno che non saranno piú in piazza a mendicare, ma verranno per dire: grazie, torniamo a casa nostra.
sabato 28 agosto 2010
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