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venerdì 27 agosto 2010

Giurisprudenza post-coloniale e diritto indigeno

“La falsità riguardante il fatto che l'acquisizione di potere intacchi la proprietà deve ormai essere messa al bando. Il cambio di governo, in se stesso, non concerne i diritti degli indigeni sulla terra”. Ciò è sottolineato dalla Corte Suprema del Belize in un'importante sentenza del 28 giugno che conferma la proprietà territoriale delle comunità Maya Ke'kchí e Mopán in virtù del proprio diritto consuetudinario esistente già prima del colonialismo tanto spagnolo come britannico. Si potrebbe pensare che il diritto territoriale di queste comunità sia ormai consolidato, invece, nella stessa sentenza, sono resi noti i principi coloniali che minacciano la posizione indigena non soltanto nel caso del Belize.
La sentenza non esprime un concetto giuridico nuovo per il Belize. Questo, di per sé, era già stato impostato da un altro verdetto della stessa Corte Suprema del 18 ottobre del 2007, ma riguardava solo due della decina di comunità che adesso hanno rivendicato la loro posizione e, tra l'altro, il Governo del Belize non se ne è occupato, e i proprietari terrieri non indigeni non hanno riconosciuto, dopo la prima sentenza, il diritto consuetudinario della proprietà indigena. Adesso si ricorre alla Corte per rinforzare il diritto indigeno alla terra e perché la Corte stessa si dichiari a favore di tutte le comunità Maya del sud del Belize. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti completamente. La sentenza del 2010 riconferma quella del 2007 dichiarando che “la proprietà territoriale indigena esiste in tutte le comunità Maya del Distretto di Toledo e che, ove esista, conferisce diritti collettivi e individuali alla proprietà secondo le sezioni 3.d e 17 della Costituzione del Belize”.

Il riferimento alla Costituzione è importantissimo per il rafforzamento del diritto indigeno. Gli articoli menzionati non lo affermano, ma l'interpretazione da parte della Corte lo comprende. Nella parte della Costituzione intitolata “Protezione di diritti e libertà fondamentali”, la succitata sezione 3.d tutela il diritto alla proprietà di fronte all'espropriazione arbitraria, mentre la sezione 17 concerne i principi, i casi, le condizioni e le forme per le quali l'assegnazione pubblica delle proprietà sia legittima. La Corte sa che ignorare il diritto indigeno corrisponderebbe ad un'espropriazione illegittima e, per questo motivo, la proprietà territoriale delle comunità indigene gode di tale riconoscimento e di queste garanzie di natura costituzionale. La Corte sa che il rafforzamento promuove una rettifica della Costituzione del 2001 che introduca nella Premessa un riferimento all'esistenza dei popoli indigeni: “Lo Stato del Belize (…) necessita politiche statali (…) che proteggano l'identità, la dignità e i valori sociali e culturali dei beliceños, compresi i popoli indigeni del Belize”. In realtà questa è una menzione abbastanza ambigua, sembra riferirsi ad essi come appartenenti al Belize senza un'identità propria. La Corte peggiora ancora di più le cose riducendo inavvertitamente nella sua citazione il termine peoples a people, ovvero popolo a popolazione.

La Corte sa che la Costituzione è un rafforzamento, e così la interpreta, concludendo: “É oggi un precetto costituzionale che le politiche del Belize debbano proteggere l'identità, la dignità e i valori sociali e culturali dei Maya come deve essere fatto rispetto agli altri beliceños”. Inoltre da questa interpretazione della Costituzione, la Corte ricorre ad un fondamento più specifico per il diritto indigeno, quello della giurisprudenza delle alte corti dei Paesi del Common Law, quello della diaspora britannica in tutto il mondo. Un diritto che può considerarsi internazionale, ovvero di un'internazionalità peculiare del post-colonialismo, offre la base per il riconoscimento e la garanzia del diritto territoriale per le comunità Maya del Belize. Ciò che è importante è che il cerchio non continui ad allargarsi per questa sentenza. Il diritto interamericano, qui, in pratica non appare. E si ignora il diritto più propriamente internazionale, quello degli strumenti delle Nazioni Unite. Si prende in considerazione qualche documento della Commissione Interamericana dei Diritti dell'Uomo per questioni di fatto, per questioni di diritto, però non si consulta la giurisprudenza della Corte Interamericana dei Diritti dell'Uomo, anche se questa, nella vicina Costa Rica, è quella che ha elaborato la dottrina del diritto consuetudinario della proprietà indigena.

Il Belize non ha ratificato la Convenzione Americana riguardante i Diritti dell'Uomo, quindi la giurisprudenza della Corte Interamericana dei Diritti dell'Uomo non lo vincola. Questo giustifica il fatto che la si ignori? Così sembra che lo interpreti la Corte Suprema. D'altronde in Belize, non vige neanche, per esempio, il diritto australiano o il diritto canadese, ma la Corte ricorre alla giurisprudenza dell'uno o dell'altro per dar fondamento alla propria. La spiegazione del fatto che per questa sentenza della Corte Suprema del Belize si ignori il diritto interamericano sui Diritti dell'Uomo si trova altrove piuttosto che nella mancanza di ratificazione della Convenzione Americana sui Diritti dell'Uomo. Finisce per incontrarsi in una complicità di fondo ancora coloniale che può funzionare tra gli alti tribunali nell'ambito del common law e non, invece, a questi livelli, con il Sistema Interamericano dei Diritti dell'Uomo.

A prima vista, la sentenza è post-coloniale nel senso di anti-coloniale. Si afferma con insistenza che né il colonialismo spagnolo nel secolo XVIII, quando queste zone furono di fatto dominate dalla Spagna, né il colonialismo britannico a partire dal secolo successivo, il XIX, estinsero il diritto indigeno alla proprietà della terra e che da lì trae esso stesso una forza che oggi si formalizza e si consolida con il riconoscimento e la garanzia costituzionali. Molto bene. È una regola dalla quale potrebbero certamente apprendere gli organismi di giustizia degli Stati latinoamericani. Inoltre risulta che nel mondo del common law tale proposta non è così netta come sembra o come proprio la Corte Suprema del Belize la formula. Il post-colonialismo si regola e l'anti-colonialismo si restringe nella sua stessa sentenza. Il colonialismo non rimane completamente scongiurato. Qualche effetto non proprio favorevole per il diritto indigeno permane.

Nel caso delle comunità indigene maya del Distretto di Toledo, il problema pratico più importante che oggi si presenta è quello dello sfruttamento e dell'invasione del territorio indigeno da parte di contingenti non indigeni che perorano non solo l'inesistenza, a loro intendere, del titolo di indigeno, ma anche, in alcuni casi, dei diritti propri del common law. Gli argomenti sono esposti dalla deposizione di un proprietario terriero che si è costituito in parte di questo secondo giudizio, quello del 2010, o che ha dovuto farlo poiché richiesto dalle comunità. La sentenza deve discutere il valore delle concessioni del diritto per principi e forme del common law in opposizione al diritto indigeno. In una società di origine coloniale la questione si concentra sull'autorità della concessione della terra da parte della Corona o, a partire dall'indipendenza, dallo Stato. Non eravamo rimasti che il colonialismo non intacca il diritto indigeno? Come si può ancora discutere riguardo alla possibilità che queste concessioni possano conservare un qualche valore di fronte alla proprietà indigena?

Beh, se ne discute. La sentenza lo fa valutando le concessioni che possano avere valore secondo la giurisprudenza del common law. Tanto per lo Stato di oggi come per la Corona di ieri, si richiede la clausola esplicita di estinzione del diritto indigeno perché lo stesso ceda di fronte a concessioni passate o presenti. Se, come di solito accade, questa clausola non figura in forma esplicita, il diritto indigeno si salva. Tuttavia, il colonialismo che è stato buttato fuori dalla porta è entrato dalla finestra. Ancora oggi si verifica che il diritto indigeno non è del tutto immune al colonialismo. Non lo è a questo post-colonialismo. Il potere coloniale della Corona si è trasformato in risorsa di potere costituzionale dello Stato. La crepa attraverso la quale si è introdotta la minaccia al diritto indigeno è quello della giurisprudenza del common law che, effettivamente, non ha tagliato totalmente il suo cordone ombelicale con il colonialismo. È un contesto nel quale questa sentenza della Corte Suprema del Belize può ricorrere alla giurisprudenza non solo del Canada o dell'Australia, per esempio, ma anche, senza vergognarsene, a quella dei tribunali britannici nell'Africa dei tempi peggiori del colonialismo aperto.

In questo scenario il dominio coloniale può continuare ad avere un peso ancora maggiore. Il potere che deriva dal colonialismo, quello che viene trasferito dalla Corona allo Stato, non intacca in principio il diritto indigeno, ma lo porta a creare un vuoto. Alla proprietà indigena si richiede, per consuetudine, una traccia o una continuità intergenerazionale di occupazione effettiva dallo stesso momento del primo incontro. Ciò implica che, se un popolo indigeno si sposta a causa di una pressione coloniale, perde il diritto avuto in origine e non lo acquisirà più in futuro. È un argomento che fa innervosire molto la parte non indigena in questo caso, per il quale la questione essenziale nel giudizio risulta di fatto quella di dimostrare che i Maya attuali del sud del Belize discendono dai Maya dello stesso luogo al tempo dell'arrivo degli spagnoli, riferendosi anche al secolo XVI invece che solo al XVIII. La prova principale risulta quindi quella fornita da specialisti di storia aleatoria non indigeni e non quella delle prove e delle testimonianze fornite dalla parte indigena. Anche questi sono gli effetti della persistenza del colonialismo attraverso la giurisprudenza del common law.

Tutto ciò può inoltre spiegare l'altra mancanza normativa in questa sentenza, la più importante, quella del diritto prettamente internazionale dei diritti dell'uomo. Come potrebbe mantenersi in vita questo substrato coloniale se si recepisse la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni per trovare anch'essa fondamento e in quest'ultima soprattutto il diritto indigeno? Che si mantenga adesso questo silenzio appare più evidente perché la sentenza anteriore, quella del 2007, si esprimeva in altro modo: “È interessante, inoltre, la Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settembre del 2007. Ovviamente le risoluzioni dell'Assemblea Generale, diversamente da quelle del Consiglio di Sicurezza, non sono ordinariamente vincolanti per gli Stati. Tuttavia, quando queste risoluzioni o Dichiarazioni contengono principi di diritto internazionale generale, non c'è da sperare che gli Stati le ignorino”. Ciò si diceva nel 2007, allora perché non si riprende il discorso adesso?

Si ha una spiegazione apparente. Nel 2007 era avvocato della parte indigena James Anaya, l'attuale Relatore Speciale delle Nazionali Unite sulla situazione dei diritti umani e le libertà fondamentali degli indigeni, le cui affermazioni erano rivolte già all'introduzione dei condoni al diritto internazionale, così come all'interamericano, sui Diritti dell'Uomo. Questa non risulta essere, in realtà, una spiegazione, se non addirittura il contrario. La sentenza del 2010 ha tenuto continuamente davanti agli occhi quella del 2007, a volte copiandola letteralmente, ma prescinde dai suoi fondamenti di diritto internazionale sui Diritti dell'Uomo. Concludendo, sembra non esserci altra spiegazione che quella di una certa continuità del colonialismo in un mondo che, come quello del common law, sembra essere post-coloniale. Quello della tradizione spagnola ne conserva meno le strutture.

L'alleanza dei capi Maya del Belize pubblica un comunicato celebrando la sentenza e assicurando che quest'ultima garantisce alle rispettive comunità il diritto di libera determinazione sui loro territori. Bisogna vedere se è davvero così. Sono inoltre molti gli anni di lotta attraverso il diritto per il riconoscimento che si è appena raggiunto. Lo stesso comunicato non dimentica un'altra sezione, quella della “Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni per il quale il Belize votò a favore nelle Nazioni Unite”. Il passaggio dal common law al diritto internazionale dei diritti dei Diritti sull'Uomo per dare fondamento al diritto indigeno rafforzerebbe sicuramente la sua posizione a livello costituzionale.

Traduzione di Rossella Scordato

http://www.asud.net/it/dalla-redazione/5-mondo/1244-giurisprudenza-post-coloniale-e-diritto-indigeno.html
(Fonte originale: alainet.org, NdP)

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