Una settimana di riposo, soprattutto se fatta a Rio de Janeiro, fa sempre bene. Se poi questo capita nel periodo della vittoria delle sinistre sul decrepito mondo berlusconiano, stiamo ancora meglio. Oggi è ancora tempo di festeggiamenti, di pensare che forse sia iniziato un periodo nuovo per l’Italia e che finalmente possiamo pensare al nostro martoriato paese senza le mani rapaci di una banda di ladri e opportunisti come quelli che da troppo tempo hanno usurpato il potere e cercato di trasformare il paese in un reame dei balocchi.
Ma pur innalzando un calice in onore alle vittorie di Milano, Napoli, Trieste, Cagliari e tutto il resto, resta l’amaro in bocca per lo stato delle cose che i nuovi sindaci troveranno. Lo Tsunani berlusconiano si è moltiplicato in una serie di sindaci rapaci ed inetti che hanno portato solo voracità e rapina. Incapacità di pensare lo sviluppo e quindi incapacità di governare le dinamiche di una società complessa, troppo complessa per chi, come loro, l’unica cosa che li interessava era la caccia al bottino.
Stare a Rio in questi giorni è servito anche per guardare più da vicino cosa succede laggiù, con la prima Presidente donna, e un governo del partito dei lavoratori (PT) ininterrotto dal 2002. Abbiamo molto da imparare ma, purtroppo, ancora una volta sono lezioni in negativo. Il PT nacque alla fine degli anni 70 per iniziativa personale di Lula, con l’idea di farne un partito diverso, eticamente diverso, contro un’idea della politica che non fosse altro che affarismo. C’era un po’ dell’ ascetismo del PCI di Berlinguer nella mistica del PT che, pian piano, riuscì a vincere elezioni locali e a far crescere una classe politica venuta dal basso, chi dalla guerriglia, chi dalla chiesa e molti dal mondo del lavoro. Il trionfo del 2002 fu come quando Mitterrand vinse in Francia nel 1981: un mondo nuovo si apriva in uno dei più grandi paesi del sud del mondo. Lula, alla quinta campagna presidenziale, arrivava alla magistratura più alta con una forza personale che nessun presidente aveva mai avuto prima di lui. Furono mesi di speranze per un cambiamento strutturale, nella lotta per la riforma agraria, contro la fame e per una vita più degna per quei milioni di poveri che lo avevano portato al governo. Poi, come nel caso francese, la realpolitik prese il sopravvento e la paura di spaventare i mercati borsistici e i grossi capitali nazionali ed internazionali, si impresse un continuismo di fondo nella maggior parte delle politiche: da quella monetaria a quella agraria, alla lotta contro la fame.
Ma rimaneva l’idea che fosse un governo nuovo e una classe dirigente diversa, più etica. Poi, come uno tsunami, arrivò lo scandalo del “mensalao” dove si scoprì che anche il PT faceva quello che tutti i partiti brasiliani hanno sempre fatto: comprare voti in cambio di favori (e soldi) e che la nuova élite al potere assaporava il gusto del potere e della miscela soldi, sesso e potere. Fu un risveglio brusco, che quasi costò la rielezione a Lula che, solo per il rotto della cuffia, riuscì a dimostrare (?) di non esser stato al corrente di nessuna di quelle pratiche. Certo, pensare che colui che ha fondato il partito e che ne rappresentava la direzione politica non sapesse cosa succedeva a casa sua, fu un boccone difficile da digerire. Lo scandalo costò il posto al primo ministro (che nel secondo mandato venne sostituito da Dilma Rousseff, l’attuale Presidente della Repubblica) e al ministro dell’economia, Palocci.
Quest’ultimo scomparve dal radar politico per alcuni anni. Dilma, sulla spinta del carisma di Lula, vinse facilmente le elezioni l’anno scorso, e si mise all’opera per creare il suo governo. Ed eccolo tornare, dal nulla, in prima fila: Palocci venne imposto come primo ministro. Segnale inequivocabile che certe pratiche ad alto livello sono considerate come errori veniali. Il PT non parla più di etica nella politica, non si vede più come un partito diverso e gli scandali che li riguardano sono oramai moneta comune come per qualsiasi altro partito. Sono trascorsi pochi mesi e il passato torbido di Palocci è riemerso in queste settimane con un nuovo scandalo legato alla moltiplicazione incredibile (e fin’ora mal giustificata) della sua fortuna personale nei quattro anni seguenti alla sua uscita dal governo Lula. Gli amici brasiliani con cui ho parlato tutti mi raccontano con gli occhi che guardano verso il basso, la loro difficoltà a ritrovarsi ancora una volta in mezzo a scandali di questo tipo. Per colmare la misura anche lo scandalo precedente è ritornato sulla stampa, tirandolo in banco anche per quelle storie. Il prezzo da pagare è carissimo: la coalizione che appoggia il governo è un po’ stile l’armata brancaleone dell’ultimo governo Prodi, imbarcando comunisti e religiosi della Igreja Universal. Proprio in questi giorni è stato messo in discussione un Codice Forestale, promosso da un deputato comunista, per aumentare le possibilità di desmatamento delle foreste e per lasciar le mani libere agli imprenditori del legno e della soja. Un testo tremendo, che è stato approvato dal Parlamento, con molti voti del PT a favore, in cambio dell’impegno da parte dei partiti della coalizione, molti dei quali fanno affari col mondo impresariale di cui sopra, a difendere il ministro Palocci e a non votare una commissione d’inchiesta.
Che tristezza. In 5 mesi di governo non si vede una sola mossa nuova, l’inflazione è alta, il costo della vita galoppa e per la gente comune diventa sempre più difficile arrivare a fine mese. Rio è in mano a poche famiglie che si stanno dividendo la città in vista della Coppa del Mondo e delle Olimpiadi. La speculazione immobiliare è all’opera a tutto spiano, e sopra tutto questo, solo mancava questa immagine del governo federale e della sua Presidente che per salvare il suo ministro deve scendere a patti con i settori più retrogradi del parlamento, quella bancada ruralista che è ai limiti della legalità e con legami con i pistoleros perennemente in azione contro i sindacalisti e la gente che lotta per i diritti civili dei popoli indigeni nelle foreste dell’amazzonia. Una gran brutta settimana: 4 morti da mettere nelle tacche dei pistoleri, una pessima legge approvata dal Parlamento, e un governo impegnato a difendere l’indifendibile, con l’argomento (di Craxiana memoria): così facevan tutti, perché io no?
Ecco perché il calice della vittoria vuol essere un incitamento a tirar su le maniche e partire su basi forse meno rivoluzionarie, ma che ci evitino di ricadere anche noi in pratiche del genere. Abbiamo un impegno grande davanti a noi, un impegno di fronte a chi chiede finalmente pulizia, serietà e un modo nuovo di far politica. Ma non per ritrovarci fra pochi anni a contare ancora una volta gli errori commessi. Coraggio, il lavoro ci attende, tutti!
martedì 31 maggio 2011
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