Il bello di seguire le vicende europee da lontano è che una specie di filtro automatico si piazza fra te e quei lontani paesi. Hai una visione diversa, il che non vuol dire migliore o più completa. Per esempio oggi gran parte dei giornali italiani titola sulla Brexit, mentre i francesi sono alle prese con l’infinita vicenda del candidato alle presidenziali Fillon e le inchieste che oramai riguardano lui, sua moglie e i figli. Nipoti non ne ha ancora, per cui al prossimo giro entreranno gli amici e i soci in affari, come è già successo con quel tipo che gli ha offerto vestiti fatti a mano di ottima fattura per quasi 50mila euro.
I francesi cominciano ad aver paura che Marine Le Pen possa addirittura vincere e che questo significhi la fine dell’Europa. Gli inglesi se ne vanno, faranno di tutto per far sì che queste negoziazioni vadano male per noi europei, e dato il livello di divisione interno, questo scenario esiste, aprendo di fatto la porta ad altri paesi propensi a guardare con simpatia l’esempio britannico.
Gli europeisti si consolano dicendo che la Le Pen non andrà mai oltre il 40% per cui è un falso problema, nel senso che tutto dipenderà da chi sarà lo sfidante che uscirà vincitore nel primo turno, di fatto diventando automaticamente il futuro presidente. A questo aggiungono i segnali in arrivo dalla Scozia, con la voglia di organizzare un referendum che confermi la loro volontà politica di entrare (o non uscire) dall’Unione e quindi rompendo, di fatto, la Gran Bretagna in stati sovrani indipendenti.
Tutto un gran daffare insomma, che gira attorno al futuro dell’Europa. La vera domanda che sorge spontanea ogni giorno di più diventa proprio quella: ha ancora un senso “questa” Europa?
Mi capita di scrivere qualcosa ogni tanto, giusto anche per ricordarmi l’evolversi delle mie stesse riflessioni, poi di parlarne con qualcuno, Charlotte e pochi altri… capisco le posizioni dei giovani che, come lei, un lavoro ce l’hanno in questo momento e che, grazie a Erasmus hanno potuto andare in giro. Dall’altro lato i miglioramenti tecnologici e l’abbassamento dei prezzi dei voli europei e non, non dipende granché dalla mitica Unione (quest’estate finalmente elimineranno il roaming, ma anche lì ci hanno messo anni, facendo comodi regali alle imprese di telecomunicazione). Girare costa molto meno che un tempo, telefonare non costa nulla, quindi se uno vuole girare lo fa anche senza Unione, e difatti lo fanno anche in tante altre regioni del mondo.
Insomma, non può essere questa la ragione principale. Col tempo che passa sono, siamo, in molti a pensare che quella gamba che manca all’Unione, quella “politica”, assieme a quella economico-commerciale, di fatto non potrà nascere perché oltre alla poca volontà dei politici attuali di rimettere in discussione il modello fondatore della UE, le occasioni storiche sono già passate, e quei treni non si possono più prendere.
Quando si assiste allo disfacimento di un partito socialista come quello francese, sacrificato dal suo stesso Presidente in nome di una ortodossia politica che, secondo lui, arriva dai trattati conclusi dalla Francia con il resto dell’Europa e altri partner commerciali esterni, capisci che qualcosa non va più. Non si tratta nemmeno di un caso come l'italiano, dove è più una questione di personalità. La questione francese ci riguarda da vicino perché segnala la rinuncia di cambiare questa società e di restarci dentro, lasciando che siano altre forze, non democratiche e non elette, come le banche, multinazionali e in generale la finanza, a comandare.
Il livello di disprezzo pubblico al quale è sceso Hollande, lo ha obbligato a non presentarsi alle elezioni, ma ciò non è bastato: il suo candidato in pectore (quello vero), Macron, si è candidato fuori dal partito, per accelerarne la scomparsa. Quello interno, Valls, è stato eliminato dagli stessi sostenitori del partito che gli hanno preferito un dissidente come Hamon il quale, povero, raccoglie meno consensi che il candidato della Francia Indomita, Melenchon. Si distrugge un capitale politico storico, quello da cui lui stesso proviene, e questo basandosi sull’assioma che il modello economico non si può cambiare. Che cose del genere le dicano la Merkel e i suoi sodali si capisce, ma che lo dica Hollande, eletto proprio sulla promessa di andare a rinegoziare quei trattati, allora ti vien voglia di dire, che se ne vadano tutti al diavolo.
L’Unione poteva diventare qualcosa di diverso, una vera forza propositiva mondiale, ma ha perso il treno, nel 1989 (leggere l’articolo di Serge Halimi sull’Europa da rifare: http://www.monde-diplomatique.fr/2016/07/). Il falso europeismo di Mitterand e Kolh ha fatto privilegiare baruffe di piccolo cabotaggio fra di loro, invece di approfittare della caduta del Muro e poi della scomparsa dell’Unione Sovietica per lanciare un’Europa unita basata sui principi di giustizia sociale e pace, rispondendo così a quanto i popoli europei volevano all’epoca. Non l’hanno fatto, il treno è passato e a noi è rimasto in mano l’euro (e la speranza, vana, di Prodi, che quello fosse solo l’inizio, ma che poi la gamba politica sarebbe arrivata).
L’inizio della fine data quindi dal novembre 1989. Quest’anno, o il prossimo, sarà solo la certificazione che questa Europa non serve più; bene che se ne vada l’Inghilterra, questo potrebbe essere uno scossone salutare per ripensare l’impianto dalla base. Ma non succederà perché servirebbe qualcosa di ancora più forte. Il mio sogno sarebbe l’elezione di Melenchon, l’unico, assieme alla Le Pen, che affronta a muso duro questa Europa oramai percepita solo come fonte di problemi. Ovvio che io sto con lui e non con la Le Pen, che mescola ragioni di fondo a un brodo di (mancanza di) cultura per toccare gli istinti più bassi della popolazione, istigare paura e non speranza. Vincesse uno di loro sarebbe il terremoto; vincendo il candidato delle banche e della finanza, Macron, oppure la versione della destra ultraliberale di Fillon, l’Europa continuerà a fare danni a tutti noi.
Ma ricordatevi che da anni oramai l’Unione è un dead man walking. Bisognerà certificarlo prima o poi, e riprendere a tessere un cammino diverso, che non può passare dalla finanza, a nessun costo. L’Europa sarà dei popoli o non sarà.
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