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mercoledì 26 maggio 2010

Quale cibo? Intervento a Ferrara

Ecco il testo dell'intervento di stamattina a Ferrara nel quadro del Festival dei Diritti.

Nella presentazione si insiste molto sulla questione della PARTECIPAZIONE e del rischio di cadere nella PARTECIPOLAZIONE neologismo (forse) firmato Hernan Mora Corrales (Particupalacion), che mette assieme la Partecipazione con il rischio di Manipolazione.

Neologismo piaciuto ai partecipanti, penso lo sentiremo ancora...

QUALE CIBO, PER CHI?LA SICUREZZA ALIMENTARE TRA RICCHEZZE E POVERTÀ

La PRIMA domanda é: PERCHE’ INTERVENIRE? Cioè perché noi, esterni ai sistemi locali ci permettiamo di incidere su queste realtá? Chi ce lo ha chiesto?

La SECONDA domanda riguarda il COME INTERVENIRE

E la TERZA ed ultima riguarda il COSA SUCCEDE DOPO l’intervento.

Alla PRIMA domanda possiamo rispondere cosí:
Esiste una relazione stretta fra sicurezza fondiaria e sicurezza alimentare. Il primo a spiegarlo chiaramente fu Josué de Castro col suo libro la Geografia della Fame nel 1946. Per cui se realmente vogliamo lottare per una maggiore sicurezza e sovranitá alimentare bisogna aprire la discussione sui diritti sulle terre.
Noi interveniamo perché i governi ce lo chiedono, quindi la domanda diventa: come mai i governi cominciano a diventar sensibili a questo tema? Possiamo immaginare varie ragioni, ma sicuramente alla base esiste una consapevolezza maggiore da parte delle comunitá locali (includendo le comunitá indigene) e delle organizzazioni che lavorano con loro, dei loro diritti, in primis sulla terra, per cui alzano la voce e si fanno sentire. Capita poi che a volte gli investitori esterni, nazionali o stranieri, ascoltino queste voci e cosí succede che magari anche un Ministro comincia a riflettere e pian piano si rende conto che forse qualcosa deve essere fatto. Questo “trickle-up” (gocciolamento verso l’alto – per usare una metafora al contrario – il solito trickle down) succede sul serio, tanto che siamo arrivati, con questo meccanismo a far sí che l’intera Unione Africana si interessasse alla questione fondiaria ed iniziasse un profondo processo di riflessione, aperto non solo ai governi ma anche alla societá civile. Un primo passo, ma importante.
Deve essere peró chiaro che se decidiamo di intervenire su una richiesta unilaterale di uno degli attori, importante finché si vuole, ma sempre uno solo, esiste un rischio di rispondere alle attese di quel attore (governo) e non dell’insieme degli attori. Bisogna anche capire chi siano gli altri attori interessati, e quali siano le loro percezioni del “problema” (messo fra virgolette perché alcuni degli attori potrebbero non vederlo come un problema).
Potremmo quindi riassumere dicendo che interveniamo non solo perché ce lo chiedono ma fondamentalmente perché se ce lo chiedono vuol dire che il modus operandi usato fin’ora non va piú bene e qualcosa deve essere cambiato.
Il rischio ovviamente è quello di prendere partito per gli interessi di quelli che vengono da fuori e percepire le comunitá locali e le loro regole, usi e costumi come dei “blocchi” allo “sviluppo” e lavorare nell’ottica di dare sicurezza fondiaria agli investitori, di fatto marginalizzando ancor di piú le comunitá locali.

Arriviamo quindi alla SECONDA domanda: come intervenire. Chiaramente ognuno puó dire la sua, ma nel nostro caso ci preme approfittare dell’occasione per far capire agli attori di peso, governo, investitori nazionali e stranieri, che l’unico modello che puó funzionare in questo contesto è quello INCLUSIVO delle comunitá locali. In altre parole, solo facendo sí che alla fine del processo tanto le comunitá locali come gli investitori si sentano piú sicuri e convinti di aver trovato un accordo win-win (vincente vincente), solo allora avremo innescato un processo di riduzione delle potenziali conflittualitá e di possibile mutuo soccorso per uno sviluppo di tutti e piú trasparente. Il COME farlo è ovviamente la parte piú complicata: noi c’abbiamo lavorato parecchi anni sul terreno ci siamo accordi che il modus operandi non andava più bene, come sottolineato prima. La grande domanda che ci siamo posti: Come creare le condizioni necessarie per aumentare o a volte costruire le coalizioni crescenti tra i governi (e soprattutto le frange più innovatrici dentro ai governi) e le organizzazioni della società civile? Abbiamo sentito quindi il bisogno reale di esplorare e ridefinire le caratteristiche delle risorse umane necessarie per FACILITARE questo processo di convergenza crescente e di collaborazione tra questi attori. Abbiamo deciso di usare il termine Facilitatore Territoriale per definire questa nuova figura professionale, più che di un singolo individuo, si tratta di un team multidisciplinare. Persone dotate delle caratteristiche proprie della mediazione culturale, interpretariato linguistico, conoscenze legali, usi , costumi locali..

Siamo così arrivati ad una proposta che parta dalla visione territoriale delle comunitá locali, con un esercizio di costruzione progressiva della territorialitá comunitaria, lavorando con gruppi separati e integrando le visioni delle donne e degli uomini, con una legittimazione da parte di tutti gli attori confinanti, in modo da far sí che i limiti di questi territori siano quelli effettivamente riconosciuti dagli altri e non solo quelli autodichiarati dal gruppo, ed infine tradotti in coordinate geografiche via GPS e, attraverso il processo giuridico, arrivare all’emissione di un certificato o titolo in nome delle comunitá. Il COSA sia scritto nel titolo dipende ovviamente dalla legislazione del paese, altro capitolo sul quale lavoriamo fin dall’inizio quando ci viene chiesto di intervenire. Ma il punto critico non è questo, quanto il principio della NEGOZIAZIONE che segue il processo di delimitazione. Diciamo innanzitutto che senza accordo fra le parti non puó fare e finire la delimitazione: per cui in caso di conflitto bisogna fermarsi e vedere le cause profonde e se esiste una possibile soluzione. Senza accordo non si delimita nulla. Chiaramente bisogna star attenti anche durante questi processi di delimitazione per capire COSA si sta delimitando: Ci sono diritti delle comunitá stanziali ma anche diritti delle comunitá mobili, pastori e bisogna star attenti a non togliere agli uni per dare agli altri: la delimitazione non deve diventare fonte di conflitti, cosa che, a volte, invece succede.

Ed eccoci alla TERZA domanda: la delimitazione è un’azione strumentale per creare conoscenza reciproca sui diritti degli uni e degli altri e sul fatto che sia meglio cercare un’intesa con le comunitá locali piuttosto che piazzarci sopra un intervento esterno, indipendentemente da chi sia l’investitore, senza aver “bussato alla porta”, esserci presentati, aver chiesto permesso e aver negoziato con loro. Con la delimitazione si rende evidente, anche nel catasto locale e nazionale, che esistono dei diritti (li rendiamo evidenti, perché in realtá sono diritti che esistono da sempre) e che, se un investitore vuol avere accesso a quelle terre lí, dove si trova la comunitá, deve andare lí a parlare e negoziare con loro. Il quanto e il come è ovviamente materia in evoluzione. Si vuol evitare che il consenso delle comunitá sia comprato con una bottiglia di grappa data al capo comunitá; vorremmo che il processo fosse totalmente trasparente ed equitativo. Questo necessita di anni di formazione in modo che le comunitá e loro rappresentanti abbiano le capacitá per negoziare con persone che magari nemmeno parlano la loro lingua ma che sono piú business oriented. Bisogna pian piano far sí che gli agenti del governo giochino pulito, e non siano troppo facilmente ricattabili e corruttibili (anche questo necessita decenni di lavoro). Peró questo è verso dove tendiamo col nostro lavoro. Preparare le basi per far si che i diritti locali siano riconosciuti FORMALMENTE, che servano come base per una discussione sul “se permettere l’entrata” di un investitore o no, e quindi siano un passo iniziale di un processo di cittadinanza attiva alla quale arriveremo chissá fra quanti anni.

Poi, per chiudere, vi diró che stiamo iniziando a lavorare anche all’interno delle comunitá, solo adesso, dopo che 15 anni di lavoro ci hanno permesso crearci una certa credibilitá. Lo scopo è di partire la discussione sui diritti delle donne rispetto alla terra, dato che spesso quando rimangono vedove (causa HIV o altro) succede che vengano messe alla porta e perdano i loro diritti fondiari. Anche questa discussione è legata alla sicurezza alimentare, ma solo dopo che si sia creata questa credibilitá è stato possibile proporla, senza esser visti come degli intrusi: di fatto è UN CAMMINO VERSO GLI ALTRI quello che stiamo proponendo, un riconoscimento dei diritti, da conoscere a da rispettare, a partire dal piú basico, la terra, per poter poi costruire una societá piú giusta.

Grazie a tutti.

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