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venerdì 8 aprile 2011

L 17: Ndranghetown - Paola Bottero



176 pagine, 9,50 euro, distribuito da PDE per Agenzia X, nuova collana INCHIOSTRO ROSSO

Questa volta i commenti vanno in presa diretta con l'autrice, che li leggerá sicuramente oggi o domani.

"Ma è davvero una storia? O è nulla più che la proiezione del futuro prossimo, il peggiore dei futuri possibili, ma anche il più probabile? Scrivere questo noir mi è servito ad avere più chiari e delineati i miei fantasmi" (citazione di PB).

La speranza ha due figli bellissimi: lo sdegno per le cose come sono e il coraggio per cambiarle (S. Agostino). Paola si presenta cosí nel suo blog. Io, che per anni ho vissuto in via S. Agostino (a Vicenza), ho trovato un’atra frase che riassume questi stessi concetti: Esiste la bellezza e l’inferno degli oppressi; per quanto possibile vorrei rimanere fedele a entrambi (A. Camus).

Cara Paola, come ti dicevo l’altra sera, lo avremmo divorato questo libro. Christiane è arrivata a metá ed io l’ho giá finito. Metto i miei commenti, in attesa dei suoi.

Dirti che sia bello non serve molto. Lo é. Credo anch’io, come hanno detto alla presentazione a Cosenza che la ndrangheta, le mafie, si combattono anche parlandone, uscendo dal muro di omertá, infrangendo quella prima regola obbligatoria per chi vuol accettare di stare dalla loro parte.
L’angolo proposto è sicuramente spiazzante ed ovviamente suscita molta curiositá. Forse sulle due pagine finali, dopo la trasformazione di Silvio in mare si potrebbe dire che non sono proprio chiarissime, ma è un altro il punto che volevo sollevare. Non sono uno specialista di questi temi e rifletto a partire da letture di giornali e discussioni con amici, ma mi era parso di capire che il confine definitivo tra il mondo delle mafie e quello dello Stato è che uno (loro) sono delle sanguisughe del secondo. Cioè non sia immaginabile una mafia, una ndrangheta che si fá Stato, SuperStato che comanda tutto. L’essenza stessa del loro fare affari è sulle spalle di qualcuno, per cui l’idea stessa di Stato non mi sembra combinabile con la loro. Uno Stato puó diventare dominato d auna cricca malavitosa, ma questa cricca avrá pur sempre bisogno di appoggiarsi ad una struttura, a delle istituzioni da cui succhiare il sangue.
Quello che dipingi nel libro è un futuro che assomiglia all’evoluzione del mondo berlusconiano attuale, svuotarci di idee e valori e riempirci di balocchi per lasciarci meglio comandare. Ma come sappiamo bene dai vari processi intentatigli e dalle varie inchieste fatte, il mondo di Silvio B. è fatto sulle spalle nostre, rubando alle istituzioni quello che sia possibile rubare ma lasciandole in piedi nel loro ruolo. Quando prova a sostituirsi e “fare” Stato, si vede subito che non funziona, perché il suo codice genetico funziona solo prendendo dagli altri. Il tuo libro ci dipinge una Onorata societá che, cosa paradossale, avrebbe risolto addirittura il problema della fame ma, cosa piú discutibile nella struttura del romanzo, il fatto di esser arrivata a costruire la societá ideale, horwellaina, dove Loro psosono controllare tutto, vita e morte, gusti e bisogni, togliendo di fatto l’antagonismo sociale, appiattendo il tutto alla fine che lo stesso piccolo Silvio comincia a chiedersi che senso abbia tutto questo: diventare il caso supremo se poi nesusno ti invidia o vuol prender eil tuo psoto, se tutto è cosí paitto, a cosa serve? C’è, intrinsecamente, il riconoscimento che le due dis-onorate societá (di qua e di lá dello stretto) non possono diventare UNA, e non psosono mettersi d’accordo per governare il mondo e tutto il resto, proprio perché loro esistono nell’antagonismo reciproco e nello scroccare allo Stato le risorse che li fanno arricchire. Senza Stato, e facendosi loro Stato, diventano necessariamente arbitri di situazioni sociali che le societá moderne tutte affrontano (male o bene) attraverso i vari meccanismi istituzionali piú o meno democratici. Che le mafie diventino Stato gli fa perdere l’essenza di esser mafia, le va scendere di un gradino, non salire. Farsi Stato vuol dire doversi farsi carico dei bisogni di ttuti, che sono diversi e in contratso, per cui l’unica possibile via d’uscita è di poter controllare il tutto, eliminando le differenze, i valori e gusti e tutto il resto. Ma allora arrivi, per forza, al paradosso di Silvio piccolo che vuol sí diventare il primo capo supremo ma che, al momento di arrivarci, capisce che la vera domanda, irrisolta, è: perché? Di fatto l’incoronarlo capo supremo, senza piú nessuna competizione, con un controllo totale su tutto, economia, societá, bisogni e tutto il resto (includendo, ripeto, la fame del mondo) difatto ti avvicina all’idea di Fukuyama e la sua Fine della Storia.
Come vedi mi ha fatto scrivere molto… magari un giorno poi ne parliamo dal vivo. Un abbraccio forte, Paolo
PS. Sará nella mia top ten quest’anno.

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