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mercoledì 2 marzo 2022

Quando l’acqua tocca il c…o, si impara a nuotare (forse)


Dalle nostre parti si è sempre sentito questo proverbio. Poi magari, come tutte le regole, anche questa soffre d’eccezioni: io ne sono l’esempio, dato che non ho imparato granché a nuotare, giusto a stare a galla…

 

Comunque, torniamo a bomba, cioè l’invasione russa in Ucraina. Aspettando che qualche mafia metta un contratto sulla testa di Putin e “risolva” così il problema alla fonte, restano delle considerazioni da fare. Alcune riguardano la nostra (europea) dipendenza energetica dai fossili e da uno in particolare, il gas, e da un paese in particolare, cosa sulla quale si è già ben spiegato il vicepresidente di Lega Ambiente sul “Domani” in edicola oggi. A me viene più spontaneo di pensare al di fuori dei nostri confini europei, prendendo a spunto l’invito dell’amico Massimo Gillone su FB che pone la seguente domanda: a quando l’esclusione di Israele dalle competizioni sportive, per invasione della Palestina?

 

Chiariamo per chi non volesse capire: la responsabilità piena della Russia non è in discussione, il fatto che altri lo abbiano fatto prima di loro e che tanti lo facciano ancora vale come la giustificazione di Ghino di Tacco, alias Il Cinghialone, quando dichiarava, di fronte alle accuse di truffe, ruberie e ladrocinio del partito socialista che “così fan tutti”. Quindi bisognerà far pagare a Putin il giusto prezzo, ma questo non toglie che si è scoperchiato, finalmente (o almeno spero) il vaso di Pandora delle asimmetrie comportamentali di noi occidentali (quelli che, per definizione, stanno nel giusto – rido amaro).

 

Ho da poco finito di leggere un’opera collettiva di vari studiosi francesi su quella che è stata definita la Franceafrique, cioè le modalità di controllo e sfruttamento totale di Parigi nei confronti dei suoi territori colonizzati. Prima, durante e dopo le indipendenze, si è sempre e solo cercato il modo meno visibile e meno costoso (in termini politici ma anche economici) per controllare le leve del potere e non lasciar mai spazio a una crescita democratica locale. Oltre al danno, i paesi africani francofoni hanno dovuto sopportare anche la beffa dell’ineffabile presidente Sarkò che nel famosissimo (e tristemente celebre) discorso di Dakar, dichiarava che « l'homme africain n'est pas assez entré dans l'Histoire ». Ricordo ancora come fosse ieri il libro di David Van Reybrouck, Congo, sulla colonizzazione belga in Congo, roba che farebbe classificare i belgi come dei barbari ben peggiori di molti altri. In realtà, basta andare a leggere un po’ le pratiche coloniali di tutti i paesi, e ovviamente troveremmo una gran maggioranza di paesi europei convinti che andando ad ammazzare e violentare le popolazioni locali, distruggendo le loro culture e i loro modi di vivere, noi stessimo portando la “civiltà”. Stendiamo (o no?) un velo pietoso sui comportamenti della Chiesa cattolica che non può pensare di redimersi perché adesso ha una figura come papa Francesco. Colpe accumulate nei secoli, per le quali non c’è stato nessun vero pentimento e nessun vero rimborso. 

 

Si è creduto per tanti decenni, particolarmente dal dopoguerra in poi, che fosse sufficiente nascondere la polvere sotto il tappeto, metterci sopra una retorica fondata sul futuro, per pensare che si potesse dimenticare tutto questo. Quante volte abbiamo sentito che grazie alla protezione americana abbiamo vissuto il più lungo periodo di pace mai visto dall’umanità… Ecco, una pace fondata sul principio neoliberale di esternalizzare i conflitti laddove costassero meno (per le nostre opinioni pubbliche). Cercare di fare un elenco dei conflitti dal dopoguerra in poi sarebbe troppo lungo, e ognuno di noi ne ha sicuramente qualcuno in mente. Il conflitto fra Israele e la Palestina è sicuramente il più incredibile errore della storia occidentale, creato a bella posta al finire della seconda guerra con la decisione di imporre la creazione dello Stato di Israele in terra di Palestina, senza nessun lavoro preparatorio con le popolazioni locali e senza nessuna compensazione, peggio ancora, senza nessun controllo e censura di quello che gli ebrei avrebbero fatto in quella regione fin dal primo giorno.

 

Con i decenni pian piano si sono risvegliati anche gli incubi che credevamo dimenticati, e cioè quelle popolazioni indigene, le “prime nazioni”, che avevamo sottomesso, classificato come sub-umane e che hanno iniziato il lungo cammino verso una loro esistenza pubblica e giuridica sul piano internazionale. 

 

Non c’è un solo paese europeo (non parlo neanche di americani, canadesi, australiani, neozelandesi…) che possa dirsi esente da colpe nei confronti delle popolazioni indigene locali. Per questo continuiamo a far finta di nulla.

 

Ma tornano, ed hanno iniziato a reclamare le loro terre e i loro territori. Le risposte degli occidentali sono simili a quelle del nostro governo (Berlusconi) e dei comandi dei carabinieri e della polizia al momento del G8 di Genova: criminalizzare il dissenso, togliere l’acqua dove nuotava questo pesce del pensiero diverso, non ortodosso e picchiare a morte chi osasse criticare. Toh!, mi sembra di star parlando dei russi, ed invece parlo del Cile del presidente uscente che, alla legittima richiesta dei popoli Mapuche di riprendersi la loro terra, ha risposto militarizzando il Sud del paese e inviando l’esercito. 

 

Noi europei non abbiamo detto nulla, dato che si tratta degli affari interni di un paese. Peccato però che questa sia la scusa dei cinesi quando vengono criticati per quello che stanno facendo agli Uiguri: se la scusa è dei cinesi, non ci va bene; ma se la usiamo noi, allora troviamo sempre un modo per giustificare.

 

La struttura che sta cominciando a scricchiolare un po’ dappertutto, non è tanto l’equilibrio Est-Ovest, ma quella più antica degli Stati-Nazione inventati alla fine del XIX° secolo. Ricordate la rivolta nel Chiapas nel 1994, oppure la guerra in corso nel Sahara, magari spostandoci un po’ a ovest qualcuno si ricorderà che esiste un popolo Saharawi che lotta da decenni perché sia riconosciuta la sua esistenza e il suo territorio. Anche qui gli esempi sono decine, forse centinaia, e su questo mondo che sta crollando non solo non si sente il ronzio di una mosca, ma si lascia che le forze del male (per usare una retorica americana e adesso russa) si impadroniscano anche dei pochi e fragili strumenti di dialogo internazionale, come le nazioni unite. L’operazione lanciata dal mondo economico-finanziario per impadronirsi non solo dei nostri sistemi alimentari, ma anche della base genetica sulla quale costruire i futuri prodotti iper-trasformati che ci faranno mangiare come polli d’allevamento, operazione denunciata da tempo da pochi (ma preparati) gruppi di opposizione della società civile, è diventata pubblica col World Food Systems Summit. Dietro questa finestra è il controllo generale delle nazioni unite da parte del settore privato, cosa già diventata evidente al summit del 2012 a Rio de Janeiro per i 20 anni del Earth Summit del 1992. Erano presenti più imprese del settore privato (includendo i settori finanziari e i grandi possessori di dati) che rappresentanti dei settori governativi e del mondo associativo. Già allora il disegno era chiaro, con la prima tappa che era di essere associati alle deliberazioni, mentre adesso prendono loro il comando.

 

La loro struttura tentacolare sta permeando sempre di più i governi di mezzo mondo, e la cosa che dovrebbe preoccuparci è che in assenza di un meccanismo riconosciuto, credibile, al di sopra delle parti, sarà molto ma molto difficile potersi sedere attorno a un tavolo per discutere del mondo da costruire.

 

In qualche modo dovremo venir fuori da questa guerra che abbiamo in casa, cioè qualcuno dovrà essere capace di facilitare un processo di dialogo e negoziazione. Tutti sono d’accordo nel dire che Putin ha fatto male i conti e che ogni giorno che passa lo rende sempre più nervoso e mentalmente instabile, il che è un brutto segno. Perché una soluzione si trovi, come già scrivevo giorni fa, bisognerà che le diplomazie lavorino per trovare qualcosa che permetta di far salvare la faccia anche a Vladimiro, altrimenti quello è capace di premere il bottone nucleare. Ma qualsiasi sia la “soluzione”, ricordiamoci che non sarà mai strutturale, perché sono le fondamenta stesse dello stare insieme che si stanno sgretolando. Putin ce l’ha in casa questo fenomeno, nella versione che in teoria dovrebbe capire meglio, e cioè il riscaldamento climatico del permafrost che comincia a rendere instabili porzioni di territori della Siberia. Se non capisce l’instabilità dovuta alle dinamiche sociali, magari quelle in teoria più “neutre” o “tecniche” dovrebbero essere alla sua portata, anche se non sembra ancora il caso. Il suo modo di pensare ed agire, da trogloditi, è che a ogni tentativo di recuperare uno spazio libero e indipendente, risponde sempre inviando soldati e massacrando tutti, militari e civili, come la Cecenia ha insegnato.

 

Ma questo bradisismo sociale non ce l’ha solo lui in casa, ce l’abbiamo tutti, a cominciare dalla Francia che continua a non voler mollare i “suoi” territori o dipartimenti d’oltremare per ragioni geopolitiche, non democratiche quindi. L’Africa intera, suddivisa in Paesi riconosciuti dall’ONU sulla base degli interessi occidentali, ha iniziato un cammino di cui è difficile prevedere gli sviluppi: abbiamo già dimenticato che pochi mesi fa l’esercito dei tigrini stava arrivando a Addis Ababa con possibilità di far saltare anche questo regime? Abbiamo dimenticato che la Somalia, in quanto paese unitario, non esiste più da un pezzo, se non nella finzione ONU? E che dire della Libia? 

 

Insomma, davanti casa nostra è partito questo lungo cammino e l’unica cosa che vediamo sono gli immigrati sulle nostre coste. Nessuno li vuole, né in Italia né in Europa, poi però tutti i settori produttivi son ben contenti di avere della mano d’opera a prezzi stracciati, senza diritti e quindi senza possibilità di reclamare. 

 

Continuiamo a portare avanti il metodo Andreotti: tirare a campare! Il Gobbo diceva che era meglio questo, che tirare le cuoia. Il che dimostra che sarà stato una volpe in politica, ma che non ha mai capito che a forza di tirare a campare, cercando una soluzione qua, un’altra là, pregando e sperando nel buon Dio, finiremo anche noi per tirare le cuoia.

 

È tempo per cominciare a pensare più in grande. Qualcuno deve avere il coraggio e la forza di andare al di là del nostro naso, in questo caso questo conflitto in corso, e cominciare a porre i problemi strutturali dello stare insieme. Quando due sconosciuti (ai più) confinati antifascisti, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, scrissero, nel 1941, l’appello per una Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto (più noto successivamente come Manifesto di Ventotene), eravamo nel pieno di una guerra che sembrava dovesse essere vinta dai nazi-fascisti. Bisognava essere visionari per lanciare un messaggio del genere. Poi le cose andarono diversamente per i nazi-fascisti, persero la guerra e l’idea di costruire un’Europa unita cominciò a germogliare. L’idea è quella: si inizia mettendo un seme a coltura, proteggendolo dal freddo e poi si cerca di creare un ambiente favorevole per la sua crescita. Fra qualche decennio sarà un albero, grande, rigoglioso, oppure no! Dipenderà da noi, non solo iniziare, ma anche battersi perché si rafforzi, quindi cercare chi abbia voglia (e credo ci siano tante persone, associazioni ed altro) di mettere assieme forze ed energie per un futuro diverso e migliore.

 

 

 

 

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