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giovedì 3 marzo 2022

To kill or not to kill?


Questo è il dilemma, penso io, che si pone Vladimiro in queste ore. Uccidere il Presidente democraticamente eletto, con oltre il 73% dei voti, a rischio di farne un Che Guevara o un Thomas Sankara ucraino, dando ancora più forza alla resistenza nazionale, e mettendosi lui, Vladimiro, per sempre fuori dal girone internazionale, diventando un paria, assassino, che gli verrà rinfacciato ovunque vada, oppure lasciarlo in vita, col rischio che tutta la strategia basata sull’idea di rimpiazzare il governo attuale con uno fantoccio, vada a farsi friggere?

 

Non deve essere facile trovarsi nei panni di Vladimiro. Magari penserà a tutte le truffe commesse fin da quando Eltsin lo mise a fare il capo di stato (a interim all’inizio), a cambio del primo decreto da lui firmato che offriva un salvacondotto a Eltsin e famiglia proprio quando le tenaglie della giustizia iniziavano a farsi vicine. Oppure penserà alle truffe organizzate quando era la mano destra del sindaco di San Pietroburgo, intascando milioni di euro ma lasciando dietro di sé prove compromettenti che lo costrinsero a far ammazzare qualche giornalista troppo curioso. Oppure penserà alla Cecenia, a quanto semplice era bombardare e distruggere tutto, cosa che anche li capisce che sarebbe difficile da applicare nel caso ucraino.

 

Non credo sarà capace di dirsi di essere stato un idiota completo, passando da una posizione difendibile, nel contesto della RealPolitik attuale, e cioè la volontà di far rispettare quella zona cuscinetto promessa dopo lo sbriciolamento dell’URSS e mai mantenuta dall’Occidente, a una posizione che lo rende impresentabile a quasi tutti, a parte i pochi sodali rimasti, Bielorussia, Corea del Nord, Venezuela, Cuba, Nicaragua e Siria. Non vorrei trovarmi nei panni di sua moglie, che dovrà subire le ire private di uno che si credeva un grande stratega e che adesso non sa come venirne fuori salvando la faccia. È possibile che la prenda come un punching-ball per la sua rabbia, dato che il metodo della violenza è l’unica cosa che ha in mente.

 

Comunque la si prenda, Vladimiro ha fatto un casino dal quale gli sarà difficile venirne fuori. Stringendo i cordoni della borsa e mettendolo al bando da tutte le manifestazioni pubbliche, atti magari simbolici ma che nella nostra società dell’immagine contano assai, lui e i suoi sodali hanno davanti giorni neri. Non credo sia un caso che neanche la Cina ha votato contro la mozione all’assemblea generale dell’ONU, limitandosi ad astenersi. Credo che anche lei cominci a pensare che quel metodo lì, ha dei costi molto maggiori di quanto si potesse prevedere, per cui aspetterà di vedere come ne viene fuori Vladimiro il piccolo, prima di pensare seriamente a invadere Taiwan. Il problema è che Vladi il piccolo, come i bambini arrabbiati, è capace di farne di tutti i colori, sentendosi messo all’angolo (per colpa solo sua). Non può cacciare nessuno dei suoi ministri, dato che le decisioni le prende da solo, nessuno vuole parlare con lui avendo capito che lui le promesse non le mantiene (ricordate che due giorni prima di invadere l’Ucraina aveva giurato che le sue truppe si stavano ritirando?) e quindi è capace di dire ai suoi carriarmati di andare avanti fino alla Moldavia o chissà dove. 

 

Una menzione speciale va fatta al sindaco di Kiev che, di fronte ai soldati russi catturati e a quelli morti, ha mandato un messaggio pubblico alle madri russe perché venissero a prenderli, così da vedere con i loro occhi cosa sta combinando Vladimiro il piccolo.

 

 

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