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martedì 8 marzo 2022

Quelli che dicono che non bisogna aiutare gli ucraini a difendersi


Sull’aria della canzone di Enzo Jannacci (Quelli che … quando perde il Milan dicono che è un gioco e poi vanno a casa e picchiano i figli… oh yeah!) mi vien da scrivere questo post dopo aver letto tanti, troppi messaggi sui social di gente informata e altri disinformati, gente da Bar Sport e gente da Talk-show televisivi, lì a dire, in sintesi, che Zelensky è un criminale, un pazzo invasato, megalomane, persona di estrema destra, coglione più pericoloso di Putin … (post vari su un messaggio pubblico di Francesco Martone).

 

Francesco Martone è stato senatore con vari partiti di sinistra, quindi pensavo di trovare un “amico” stile FB, ragione per cui mi ha sorpreso molto il suo testo ma ancor di più la mancanza assoluta di una dissociazione da quanto commentano i suoi seguitori. Martone però non è il solo a buttare in vacca l’eroico sforzo del popolo uscraino nel difendersi da un attacco militare che è già sotto inchiesta per crimini contro l’umanità.

 

Per una persona che ha studiato dovrebbe essere facile ricordarsi la parola Holodomor. Per quei tipi da Bar Sport che parlano per dare aria alla bocca, ricordo qui sotto brevemente di cosa si tratta:

 

Holodomor è il nome attribuito alla carestia che nel 1932 e 1933 fece morire milioni di Ucraini. Un genocidio secondo gli ucraini stessi. Anche se le cifre sono traballanti, come è ovvio che sia, partiamo da 2.9 milioni per arrivare a 10. Mica bruscolini, come direbbe il solito Totò. L’Ucraina era un paese agricolo di forte tradizione di agricoltura familiare. Il nonno di Putin, Baffone Stalin, decise che bisognava trasformare radicalmente quella struttura e collettivizzare il tutto.

 

Come si trova su wikipedia:

 “La strategia fu attuata in due periodi successivi:

·       dal 1929 al 1932 furono varate due misure, dette “collettivizzazione” e “dekulakizzazione”. La prima comporta la fine della proprietà privata della terra. Tutti gli agricoltori dovettero trovare un impiego nelle fattorie collettive create dal partito. La “dekulakizzazione” consiste invece nell'eliminazione fisica o nella deportazione di milioni di contadini piccoli proprietari terrieri. 

·       negli anni 1932-1933 furono attuate misure governative tali da mettere in ginocchio la popolazione sopravvissuta, e per la prima volta nelle campagne ucraine il tasso di mortalità divenne superiore a quello di natalità.


Negli anni quaranta Stalin disse al primo ministro inglese Winston Churchill che erano stati messi sotto accusa 10 milioni di kulaki e che "la gran massa era stata annientata", mentre circa un terzo era stato mandato nei campi di lavoro.” 

 

Questo è il ricordo storico che avevano gli ucraini quando, finalmente, hanno buttato giù l’ultimo fantoccio (Victor Janukovic) in mano ai russi nel 2014. Nessun dubbio che la destra estrema abbia giocato un ruolo molto evidente, ma è altrettanto sconsiderato considerare che la storia si sia fermata al 2014.

Ma la rivoluzione (arancione) era iniziata dieci anni prima, nel 2004, quando per la prima volta, un presidente fantoccio in mano ai russi veniva battuto in una competizione elettorale (che i russi non riuscirono a truccare del tutto). Viktor Yushchenko venne eletto presidente e i russi lo avvelenarono per cercare di eliminarlo come avrebbero fatto con Skripal successivamente. Questa prima esperienza non andò molto bene, perché la oligarchia e le mafie locali, ovviamente legate al potere (e quindi ai russi), non volevano certo perdere il potere o rinunciare alle pratiche di corruttela che gli permettevano di fare il buono e il cattivo tempo. La rivoluzione successiva, del 2014, aveva tolto definitivamente il fantoccio Janulovic e questa volta i russi avevano capito che indietro non si tornava. Ecco quindi la reazione con l’invasione della Crimea e l’annessione da parte russa (mai riconosciuta dalla comunità internazionale). La separazione tra pro-russi ad Est e pro-occidentali nel centro-ovest era diventata evidentissima e la conclusione ovvia sarebbe stata (se non ci fosse stata l’annessione della Crimea) di sedersi a un tavolo e negoziare l’eventuale indipendenza di quelle regioni. 

Ma vista la storia di soprusi da parte dei comunisti sovietici e russi, e l’annessione della Crimea, il clima oramai era troppo bollente per qualsiasi apertura di negoziato. 

Con l’arrivo di Zelensky, attraverso elezioni regolari vinte a larga maggioranza, si ricomponeva quel fronte cittadino contro la corruzione e lo strapotere degli oligarchi, che già nel 2004 aveva portato al potere un quasi sconosciuto Yushchenko. I problemi principali, ad Est come ad Ovest, erano gli stessi: corruzione e strapotere degli oligarchi, conditi con una grossa crisi economica.

E’ possibile pensare che l’elezione di un comico senza nessuna vera preprazione politica, e senza una base partitica che lo supportasse, venisse vista dagli oligarchi come una tempesta in un bicchier d’acqua e che tutto sarebbe finito male come la volta precedente. 

E’ anche ragionevole pensare che, come qualsiasi nuovo soggetto chiamato a una carica così importante, anche Zelensky doveva farsi le ossa, sbagliare come tutti, e pian piano trovare la strada e gli alleati politici per portare avanti la politica per la quale era stato eletto.

A partire dal momento che ha messo la barra ad ovest (seguendo una tendenza che era già evidente nella popolazione del centro-ovest), e ha mostrato interesse per aderire alla Nato eall’Unione Europea, Putin ha visto rosso.

Il problema, visto dalla parte di Putin, era che non poteva accettare di perdere (da quella che considera la sua zona d’influenza) un altro pezzo importante, dopo tutti gli altri paesi che, col crollo del muro, si erano girati ad Ovest. La minaccia ufficiale era la questione della Nato. E su questo ho già scritto in precedenza, cioè sul fatto che su quel tema specifico avesse molte ragioni, nel mondo della RealPolitik che, ci piaccia o meno, governa. 

Era quindi una questione da risolvere al tavolo delle trattative, così pensavamo in molti, e la concentrazione di forze militari ai confini, sembrava solo un espediente per fare pressione. Anche la richiesta di riconoscere le “indipendenze” dei territori del Donbass (cioè la loro annessione pura e semplice alla Russia), poteva starci, data la separazione di fatto tra i pro-russi e i pro-occidentali che si era costituita sul terreno. Si sarebbe gridato allo scandalo, ma alla fine, riconoscendo che non si poteva fare a Putin quello che gli americani non volevano fosse fatto a casa loro, il giusto prezzo sarebbe stato il riconoscimento di queste “indipendenze”, probabilmente il riconoscimento della Crimea, in cambio della rinuncia pura e semplice, scritta su carta intestata, della volontà di aderire alla Nato.

A questo punto, avevo scritto, si trattava solo di lasciar lavorare i diplomatici per trovare le parole giuste per far salvare la faccia a tutti. Ed è a questo punto che Putin ha deciso non solo di riconoscere le due repubblichette autoproclamate (il che poteva ancora essere parte del giochetto negoziale), ma ha iniziato l’invasione. 

Quando il primo carro armato ha varcato i confini ucraini al di fuori della zona del Donbass, è diventato pian piano sempre più evidente la paura vera di Putin non riguarda solo la Nato e la difesa militare (che avere i missili puntati verso casa dall’Ucraina o da qualche chilometro più in là, ai giorni nostri non cambia molto, soprattutto se pensiamo alle migliaia di testate nucleari pronte all’uso che ha Putin a casa), ma riguarda il concetto di democrazia. 

La Russia, che si chiamasse Unione Sovietica o Russia, non ha mai conosciuto un regime che si avvicinasse anche minimamente all’idea occidentale di democrazia. Putin vede questo sistema di pesi e contrappesi come un rischio enorme, per sé stesso e il regime (mafioso) che ha messo in piedi. Ha visto come delle rivolte popolari possano cacciare chi detiene il potere, e ha visto il potere che una stampa indipendente può avere contro questo stesso potere. Putin quindi non può correre il rischio che l’Ucraina, o una parte di essa, possa andare a finire nel girone dei paesi democratici. Questo è il virus da evitare, e lì non ci sono mascherine FP2 che tengano.

Quindi adesso è chiaro che Putin vuole andare fino in fondo, la bilancia indecisa fra l’uccidere o il non uccidere Zelensky, adesso pende fortemente per ucciderlo, costi quel che costi. L’Ucraina va conquistata e sottomessa. Poi ci penserà l’esercito, i campi di concentramento, l’oscuramento mediatico e di internet ad isolarla per il tempo necessario a far capire alla popolazione che è meglio non alzare la testa. Il modello è la Bielorussia, un paese in ginocchio, servo di Putin e dei suoi oligarchi, comandato da un fantoccio che prima di qualsiasi decisione, alza il telefono e chiede l’autorizzazione a Vladimiro.

Questo è il gioco attuale, e va fermato. Mandare armi, isolare la Russia, tutto il possibile va fatto per ricondurre Putin a (molto più) miti consigli. 

Il popolo russo non si merita un pazzo paranoico come questo soggetto. Adesso che il gioco è chiaro, non si potrà tornare indietro, Putin quello che non accetta è la democrazia, e in questo serve solo da sparring-partner al più grosso vicino, Xi, che aspetta solo di vedere quanto l’occidente sarà duro nel difendere questi principi. Che poi da noi ci siano altre forze, la finanza, i nostri oligarchi e le nostre mafie che si danno da fare per sabotare dall’interno questo ideale democratico, nulla toglie che questa battaglia bisogna farla, e vincerla. Altrimenti sarà un mondo diverso e peggiore, non solo perché l’Ucraina sarà in ginocchio a servire Putin, ma perché sarà iniziato il secolo delle democrature dittatoriali, e non credo che nemmeno quelle persone che scrivono commenti così idioti vogliano realmente andare a vivere sotto questi regimi. Se mi sbaglio, non hanno che da trasferirsi a Mosca e provare ad aprire il becco per criticare o dire una opinione libera, e allora vedranno chi aveva ragione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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