domenica 9 gennaio 2011
L2: La Grande Régression - Jacques Généreux
JG é un Prof. di Sciences Po a Parigi che da anni lavora alla rifondazione dell'analisi politica, economica e sociale. Questo libro è considerato di più facile lettura e, da un certo punto di vista lo é, sempre dipendendo dal livello a cui piazziamo le capacità medie del lettore a cui ci riferiamo. Quindi vi riassumo il contenuto in maniera ancor più "leggera"; magari mescolerò opinioni mie, ma globalmente penso (spero) di essere fedele allo spirito del libro.
Il punto di partenza è la crisi attuale, che cominciamo a sentire sempre più vicina a noi, ma nello stesso tempo così impalpabile che difficilmente riusciamo a mettere a fuoco il "cosa posso fare"? La reazione più comune è quella di lasciarsi andare allo scoramento e, di fatto, continuare nello stesso schema culturale, emozionale e di vita nel quale siamo immersi da molti anni a questa parte. La tesi di JG é che il sistema attuale sia figlio delle scelte compiute da uomini e donne, partiti e governi, negli ultimi 30 anni. Non si tratta di una crisi caduta dal cielo, ma della consequenza logica di un ritorno in forze di un modello capitalista basato sul dominio sempre più assoluto della rentabilità sola e unicamente del capitale, a scapito di tutti gli altri fattori che fanno società e sistema. Un modello che ha bisogno di darsi un supporto "culturale" (lo spirito imprenditoriale, la libertà individuale) in modo da confondere meglio le acque e far sì che la gente non si renda conto di essere caduta nelle sabbie mobili.
Si tratta di un modello che, col mito della libera concorrenza, vuol far credere esista una competizione fra uguali, come una partitina di calcio nel campetto della parrocchia quando hai dieci anni, e che da ciò risulti una felicità di tutti (per aver giocato), così da far scendere i prezzi unitari e tutti ne beneficiano. Nella realtà sappiamo che non esiste questo mito e che, se guardiamo più da vicino, vediamo che "alcuni" beneficiano (cioè quelli che dettano le regole del gioco) e "molti" pagano il conto. Più si "globalizza" il mondo più si concentrano le ricchezze in poche mani e più aumenta la povertà globale. Ricordiamoci che, da quando questo modello mitico è stato inculcato nella mente di noi tutti (dal 1980, con l'arrivo di Reagan e della Tatcher), sono passati 30 anni praticamente senza nemici veri (i russi sono scomparsi ufficialmente dal 1989 ma in realtà la dichiarazione difallimento data dall'arrivo do Gorbaciov al potere nel 1985) e quindi nelle migliori condizioni per dimostrare la superiorità di questo modello economico-finanziario. 30 anni, e in questo lasso di tempo la povertà nel mondo continua ad essere attorno ai 2 miliardi di persone, e quasi un miliardo ancora non si nutre a sufficienza. Questo è il dato vero, da cui partire. Siamo immersi in un modello che produce povertà e JG si impegna a spiegarci che non è casuale, ma frutto della dinamica interna propria al modello: scelte politiche, di governi e di Stati. Questo capitalismo non può farcela se non aumentando la povertà e concentrando la ricchezza, e quindi é sbagliato continuare a sperare di venirne fuori se non cambiamo radicalmente di modello.
La contraddizione di fondo, verso la quale stiamo andando a sbattere, riguarda non tanto il modello culturale di supporto, cioè un sistema televisivo e mediatico che ogni giorno ci bombarda con messaggi non tanto subliminali di quanto migliore sia il mondo globalizzato attuale, fatto di "individui liberi" che possono comprare ogni giorno le "offerte" tre per due, i saldi di fine stagione, l'ultimo modello di qualsiasi cosa etc. etc.. no, il vero problema è che al di là di condizionarci come dei polli d'allevamento a voler comprare ogni cosa a ogni costo (cosa che gli riesce abbastanza bene direi, basta leggere Guido Rampoldi, Repubblica di oggi, 9 gennaio dove dice, testualmente, a proposito della globalizzazione: "sempre sia benedetta"), per poter esercitare questo diritto-dovere c'è bisogno di ... soldi. Cioè quella stessa classe che viene ogni giorno di più spinta verso la povertà, con calma ma con costanza, è quella stessa che dovrebbe continuare a comprare la merce e i prodotti che ogni minuto viene messa sul "mercato". Oggigiorno si può arrivare a produrre senza operai, ma ancora non si è arrivati a vendere senza compratori. Quindi se si riduce il numero di quelli che comprano, cioè si riduce il loro e nostro potere acquisitivo, prima diventerà più feroce la competizione fra i produttori (per ridurre i loro prezzi, quindi eliminando mano d'opera, delocalizzando sulla Luna, senza condizionamenti morali, ecologici e sociali e via di seguito), e in seguito il sistema scoppierà perchè non avrà più olio nel motore.
Non si tratta della Cina o dell'India: loro al massimo ci permettono di vedere in modo accellerato, come quando mandiamo avanti i film con tasto 2x o 4x, quello che succede naturalmente con un modello basato sulla distruzione dei legami sociali e il cui unico scopo oramai è diventato la retribuzione dei soci delle società multi e transnazionali. La rentabilità del capitale, tutto e subito, vale come regola suprema, al di sopra di qualsiasi vincolo morale e di società. Quando i Cinesi e gli Indiani vorranno mangiare come gli americani, consumare energia come loro, bene, cosa faremo? Ma la colpa è dei cinesi? Hanno o no diritto anche loro alle stesse libertà individuali che questo modello propone come base centrale della sua religione?
Quindi usciamo dal panico cinese, indiano e torniamo con i piedi per terra. Non facciamoci distogliere dai falsi problemi: la Cina e l'India rappresentano l'albero che nasconde la foresta.
Il punto è di sapere se questo modello si possa cambiare o, meglio, cosa si possa fare? Su questo, pare a me, JG è un po' limitato: di fartto il suo messaggio è che il voto resta l'arma che abbiamo nelle nostre mani. Nel ricordarci che si tratta di un modello che trae origine nelle scelte politiche di Stati e Governi e Partiti, con una colonizzazione che riguarda oramai anche gran parte dei partiti di sinistra, il suo messaggio in favore del "voto" lascia un po' perplessi.
Non che io sia contro al voto, ma la questione mi sembra vada al di là di questo. Quando l'offerta politica è quella che è, non solo in Francia (paese sul quale è basata l'analisi di JG), ma anche da noi e altrove, il voto non credo risolva da solo granchè. Bisogna ricominciare a costruire, ri-fare società, a partire dai movimenti locali, sociali, riscoprire l'impegno personale, lo studio e la voglia di incazzarsi (ricordatevi il post di alcuni giorni fa su INDIGNATEVI); fare gruppo e da lì partire per rifare partiti e movimenti. Concentrarsi sui temi forti, la distruzione del piante, l'affamare un miliardo di persone e metterne altri 2 in stato di povertà.... C'è molto lavoro, soprattutto quando ci rendiamo conto che giochiamo in campo esterno, con i media (e molti centri del sapere, università e scuole comprese) controllati dagli esegeti del modello dominante. Ma la rivolta non è basata su astratti principi ideologici, di questo dobbiamo renderci conto. La rivolta è basata sull'analisi fredda del movimento storico dove ci ha portato questo modello. Andando avanti così avremo solo e sempre di più ribellioni di piazza (guardate l'Algeria e la Tunisia in questi giorni, ma vedrete che nei prossimi mesi ce ne saranno ancora altrove), povertà e, alla fine, la contraddizione centrale: o si ritorna a rendere più felice la gente, a mettere l'equilibrio ecologico e sociale di massa al centro delle politiche oppure se continuiamo a cercare il beneficio immediato, una specie di lotteria permanente, sappiamo già come andrà a finire, come nelle lotterie che vediamo ogni giorno in televisione: l'unico a vincere è sempre lo Stato.
Ritorneremo tutto l'anno su questi temi.. questo era solo l'inizio.
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Ciao Paolo. L'analisi è interessante e fa pensare ... pesantemente!!! Ma da persona concreta quale io sono ti cheido: cosa devo fare per far cambiare le cose? Mi trovo a girare come una trottola nel mondo. Da est a ovest. E cosa vedo? Che nazioni come il Canada adottano modelli più egualitari di quelli dell'est (leggi soprattutto Russia). E anch'io nel mio piccolo mi adeguo: sogni di comprarti la borsa firmata, di fare la vita da nababbi che viene sempre più spesso rappresentata nei mezzi di comunicazione. Sogno di vincere al Superenalotto (comunque non gioco!!!) per smettere di lavorare! E questa mia confusione si incasina sempre di più: da una parte la voglia di una vita "tranqui", dall'altra la smania di avere di più (anche per costruire un futuro a chi cis ta vicino). E come lo risolvo questo prblema? mi sembra di essere bilateralizzata!!! Baci. Michela
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