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mercoledì 15 novembre 2017

Dubbio amletico: la cultura può giustificare lo sfruttamento?



Sono innumerevoli gli esempi che abbiamo davanti. Prendo quello che mi è capitato stamattina guardando un ottimo reportage di SkyArte su villa Tivoli.

La bellezza del luogo, dei giochi d’acqua e di tutto il resto sono fuori discussione. Ma se poi ci fermiamo a considerare due cose: lo scopo della villa e con quali soldi è stata fatta, allora magari ci resta un sapore d’amaro in bocca.

Il “committente”, Ippolito d’Este, cardinale e arcivescovo italiano, la fece costruire come monumento a lui stesso dedicato e, perché fosse chiaro a tutti, alle sue ambizioni papali, che fece dipingere in uno dei saloni della villa. All’epoca era normale che la casta al potere mischiasse sacro   e profano. Il padre era stato il duca Alfonso d’Este, suo nonno il papa Alessandro VI e sua madre Lucrezia Borgia. Con tali ascendenze era chiaro che il giovane Ippolito non sarebbe finito a lavorare in un call-center. Appassionato della bella vita e delle belle donne, definito come un uomo senza scrupoli e dedito alla corruzione, ricevette in dono dallo zio l’arcivescovado di Milano e a 11 anni (cioè quando doveva magari andare in seconda media) ricevette dal papa l’investitura ecclesiale. 

Con i soldi che la famiglia aveva rubato nelle generazioni precedenti e con quelli messi da parte nel suo duro lavoro (ma senza chiedere mutui per 40 anni tassi da strozzini), decise di dar sfogo alla sua passione per il bello facendo rifarei nuvola villa che sarebbe stata d’ora in poi conosciuta come Villa d’Este. 

Riportiamo tutto ciò ai giorni nostri: mettiamo che Totò Riina avesse avuto un’infanzia migliore, avesse potuto frequentare anche lui i cardinali romani e qualche testa coronata e avesse conosciuto qualche leggiadra fanciulla e tanti artisti moderni e, a quel punto, avesse deciso di regalarsi una splendida dimora dalle parti sue da far ombra alla reggia di Caserta o a queste villette tipo quella d’Este. I soldi non sarebbero stati un problema, e nemmeno la manovalanza, immigrata magari, da sfruttare fino all’osso. Oggi l’Italia disporrebbe di un altro capolavoro da  visitare e mi vien da chiedere se saremmo tutti felici e contenti oppure no. 

Pensate poi all’effetto domino: “El Chapo”, punto sul vivo da cotanta bellezza, avrebbe sicuramente ingaggiato i migliori killers, i migliori trafficanti e an che i migliori architetti per rivaleggiare con “O Curtu”, e adesso anche il Messico avrebbe una, che dico, tante splendide dimore da far visitare ai turisti, invece delle tante fosse comuni di Sinaloa e dintorni. E non sarebbe finita lì. Pur con tutti i loro limiti intellettuali, i ndranghentisti calabresi sarebbero riusciti a capire l’importanza di passare alla storia in questo modo, nonché di trovare anche un altro modo per ripulire le montagne di soldi di cui non sanno più che farne. Alla fine anche don Pietro Savastano, e forse addirittura il figlio Genny si sarebbero lanciati nell’edilizia monumentale e nello spendere e spandere per la cultura. Ciro no, perché neanche con tutta la buona volontà sarebbe capace di uscire dalla pallida imitazione dello stile Pietro Savastano. Avremmo avuto tanti dibattiti sulla qualità delle opere, ma li avremmo riveriti e ringraziati per sempre. Saremmo lì su internet ad acquistare i biglietti on-line per visitare queste dimore e queste bellezze, che farebbero impallidire la Grande Bellezza, ridotta a magazzino resti antichi, e tutti a dire grazie a questi ladri, sfruttatori, corrotti e quant’altro.


Buona giornata.

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