Già a maggio si cominciava a respirare aria di elezioni. La Repubblica, per mettere le mani avanti, individuò sei riforme da non tradire:
“Ci sono l'attesissima legge sul biotestamento; quella sulla cittadinanza, ferma al Senato dalla fine del 2015; l'introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura; l'approvazione del nuovo codice antimafia; la legalizzazione della cannabis e infine la riforma del processo penale.”
Siamo a fine novembre, legislatura agli sgoccioli e nessuna di queste riforme naviga in buone acque. Questo di fatto sarà il lascito di questo governo e della maggioranza (PD, Alfano, Verdini…) che l’appoggia. Un nulla che ha avuto la fortuna di incrociare una mini congiuntura internazionale favorevole per cui anche le previsioni di crescita nostrane sono passate al segno positivo. Messa da parte questa casualità, la navigazione continua a vista, con le consuete lotte interne ai vari partiti e movimenti e con la gente normale che oramai ne ha le tasche piene di questo sistema politico per cui, per il momento, si limita a disertare in maniera crescente gli appuntamenti elettorali, ma che in un prossimo domani potrebbe anche prendere derive di altro tipo.
Lo Stato latita a tutti i livelli, i servizi di base sono sempre più malmessi, non parliamo dello stato delle infrastrutture pubbliche, delle non-ricostruzioni nelle zone dei terremoti, il disinvestimento nella scuola, insomma un panorama che ci porta ogni giorno di più ad avvicinarci a quei derelitti paesi dell’Est ex-sovietico. Chi ci sia stato in questi anni, fatte poche eccezioni in alcuni grandi centri, si è sempre portato a casa una impressione di fondo di un degrado tremendo, dentro un’architettura sovietica che schiaccia gli esseri umani, un disinteresse totale per qualsiasi cosa sia “comune”, e per una rabbia che senti crescere. Partiti e movimenti di estrema destra sono stati i più svelti a proporre di incanalare tutto questo dentro i soliti schemi razzisti. Un nemico grosso, facile da individuare e poco importa che sia colpevole di qualcosa o meno. Resta che l’operazione si sta dimostrando vincente, e tutto lascia pensare che l’estrema destra aumenterà ancora nei prossimi anni, fino a tornare al potere.
Da noi come al solito, figli e nipoti dell’esegeta con la gobba, si tira a campare. Come diceva il Gobbo di stato, sempre meglio tirare a campare che tirare le cuoia, ma qua i confini si fanno ogni giorno più labili.
In tanti fanno a gara per suggerire al PD e agli altri partiti e movimenti di sinistra quale sarebbe la strada maestra per evitare l’irrilevanza alla quale sembrano destinati. Pochi sembrano ricordare come il PD sia il partito dei 101 traditori che affondarono la candidatura Prodi alla presidenza della repubblica. Un partito, e un leader, imbevuti di narcisismo, senza più nessuna base di valori da difendere, e senza nessuna capacità vera di autocritica. Il treno, forse l’ultimo, che abbiamo visto passare e che avrebbe potuto portare a pensare dialogo e negoziazione di un altro tipo anche con i 5S, è passato al momento dell’ultima elezione del presidente. Qualcuno si ricorderà che i 5S avevano proposto Stefano Rodotà come candidato, una persona stimata da tutta la sinistra e non solo, che avrebbe potuto dare un senso e ridare credibilità a istituzioni sempre più latitanti. Il PD nemmeno per un momento pensò a fare un passo di lato, dicendo al suo candidato di lasciar spazio a Rodotà, grande vecchio del partito comunista e leader indiscusso di tutti quei movimenti che si rifacevano al tema dei beni comuni. Prodi volle giocarsela, così si chiusero tutte le porte possibili con i 5S, Rodotà venne tagliato fuori e con lui tutti quelli che ancora avevano una speranza di un futuro migliore.
Poi è andata come è andata, adesso ci ritroviamo Mattarella, Renzi che cerca di giocare le sue carte da dietro, l’MDP che se ne è andato e che cerca di rimettere in piedi i cocci di quella sinistra movimentata fuori dal PD. Pisapia non sa da che parte andare, ma insomma, è molto probabile che questi due blocchi, PD da un lato, con appoggio di una parte della destra (Alfano) e il MDP e alleati dall’altra, perderanno le elezioni ma soprattutto avranno dimostrato che con queste persone ai comandi non si può sperare altro. Grandi leader a sinistra non ce ne sono. In Francia per anni ci si trastullò con il gran rifiuto di Jacques Delors che a fine 1994 decise di rinunciare a correre per le presidenziali del 1995, poi vinte da Chirac. Il partito socialista non si rimise mai da quella scelta e abbiamo visto come è andata a finire quest’anno.
In Italia avevamo avuto LA grande occasione quando Cofferati riuscì a portare 3 milioni e mezzo di italiani in piazza contro il governo Berlusconi nel 2002. Tutto il sindacato era con lui e molti dei quadri alti del Partito; insomma tutti aspettavano il gran salto, cioè la dichiarazione di andarsene dal PD per fondare il Partito del Lavoro. Cofferati non lo fece, e ancora oggi chi ha lavorato con lui si mangia le dita. Fu paura o cosa? Non lo sapremo, ma resta il fatto che persa quell’occasione siamo andati verso scelte sempre meno chiare trasformando un patrimonio di idee e valori in un feudo di galli disposti a tutto pur di far fuori gli altri.
Persino l’Unione Europea, con un ritardo che molti commentatori oggi indicano di quasi trenta anni, si è finalmente accorta che sul tema africano bisogna fare qualcosa di diverso e di più forte. L’analogia è sempre il piano Marshall, vedremo (e torneremo a parlarne) nei prossimi giorni. Dicevo che persino l’UE ci arriva, mentre i nostri galli nostrani sono troppo impegnati per darsi battaglia che per avere tempo per studiare e dire qualcosa su questi temi internazionali.
Non ci resta che sperare che si acceleri il movimento di uscita generazionale, che si chiuda l’esperienza di questa sinistra incapace di pensare, sofferente di afasia e sempre più lontana. dal cuore delle gente comune.
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