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giovedì 30 novembre 2017

Summit Europa Africa: ancora una volta promesse che non potranno essere mantenute



Per la quinta volta la compagnia di giro si ritrova, questa volta in Costa d’Avorio, per mostrare quanto forte sia la preoccupazione degli europei nei confronti dell’Africa. Bene, bravi, applaudiamo e chiniamo la testa.

Teatro logoro, anche se questa volta c’era il nuovo Pinocchio francese che ha riempito di promesse peggio che se si credesse Babbo Natale.

Che l’Unione Europea cominci a sentire l’acqua che gli tocca il culo, è cosa assodata. L’equazione: più migranti uguale più voti all’estrema destra preoccupa molti paesi e molti governanti, ma soprattutto la solita cricca affaristica che nella “stabilità” garantita dai governi di grande coalizione trovano il terreno ideale per portare avanti i loro loschi affari.

Come al solito questi summit sono preparati in anticipo da una schiera di sherpa il cui unico interesse individuale è di farsi bello agli occhi del proprio padrone, per cui non uno solo di loro osa dire e scrivere e difendere le tesi che disturbano. In primis, come in tanti ci sforziamo di dire, nel mondo delle ONG, non certo nelle agenzie delle nazioni unite, il problema centrale delle terre e dell’acqua.

Il lento ma costante movimento in uscita dalle campagne africane ha una ragione di fondo che è legata a filo doppio alla volontà pervicacemente sostenuta dal mondo occidentale, di voler imporre dei sistemi di amministrazione fondiaria basati su codici (come quello napoleonico) estranei alle realtà locali. Il tutto per “modernizzare” ed “attirare” gli investimenti. I risultati ottenuti finora sono molto evidenti. Non riconoscere i vari sistemi di diritto consuetudinario e non farne la base per un sistema socialmente legittimo, ha aperto la porta a ogni sorta di avventurieri nascosti sotto bandiere di falso “investimento” e con l’unico risultato di aver cacciato via quantità immense di popolazioni rurali. Questo è un fenomeno partito da molto lontano, grazie alla benedizione della Banca Mondiale e di una schiera di intellettuali di terz’ordine ma titolati nelle grandi università occidentali; il tutto veniva a inserirsi sulla soperchieria coloniale di obbligare quei paesi a “specializzarsi” in produzioni che servivano solo a noi, paesi colonizzatori. Le grandi piantagioni di canna, di ananas, di caffè, cacao e tutto il resto hanno dato il la alla più grande e rapida distruzione di sistemi agrari millenari. Con l’accelerazione di questi ultimi decenni il messaggio che è arrivato nelle campagne è stato chiaro: dovete andarvene perché abbiamo bisogno noi delle vostre risorse.

Partiti nelle periferie urbane, ingrossate a dismisura, pian piano hanno iniziato una migrazione verso nord. Noi vediamo solo la punta dell’iceberg, che non potrà che aumentare nei prossimi anni dato che, da un lato, la demografia resta in crescita molto forte in quasi tutti i paesi africani e, dall’altro, l’assoluta incapacità delle nostre classi dirigente di capire che bisogna cambiare radicalmente il paradigma di sviluppo. Cacciare via i nefasti comandi della banca mondiale e azzerare quel mondo di intellettuali neoliberalismo che sognano di eliminare completamente le istituzioni democratiche per lasciar libero spazio al Dio mercato, spingere per dei cambi totali e radicali di classi dirigenti nei paesi africani (esattamente l’opposto di ciò che sta succedendo nello Zimbabwe) e promuovere quindi una filosofia che parta dalla loro storia e geografia. Riconoscere i diritti consuetudinari, riconoscere i diritti delle popolazioni pastorali, e accompagnarle nel loro sviluppo verso maggior democraticità interna in particolare nei confronti delle donne e dei più giovani.

Ovvio che tutto questo necessiterebbe una vera rivoluzione, che noi europei in promisi dovremmo fomentare. Una rivoluzione dal basso e contro gli interessi della finanza. Invece preferiamo far finta di nulla, occuparci dell’albero che ci nasconde la foresta.

Parliamo anzi blateriamo tanto sul problema dell’immigrazione: cose dette e stridette oramai da decenni, mentre una sana riflessione sulle cause profonde non viene portata avanti da nessuno. Quando abbiamo provato ad aprire quelle porte maledette, nella conferenza sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale realizzata a Porto Alegre nel 2006, bastarono poche settimane per far sì che vari rappresentanti dell’unione europea, associati alla banca mondiale, facessero arrivare il messaggio ai piani alti della FAO che queste cose non s’avevano da dire e ancor meno da fare. La montagna partorì un topolino, delle direttrici volontarie che non hanno avuto assolutamente nessun impatto. La ruberia delle terre e dell’acqua continua, i vari landlord nazionali (politici, generali e quant’altro) e internazionali (fondi pensione, imprese private e pubbliche) non sono mai stati felici come adesso: privatizzano (a loro beneficio) le risorse e socializzano i costi, a carico della società e di quei poveracci a cui non resta altro che camminare e partire.

Ce ne fosse uno dei gaglioffi che ci governano che osasse spiegare quale sarebbe la teoria che hanno in mente per fermare questi (e i futuri) flussi in modo strutturale. A parte costruire barriere, magari sparargli come sognano quelli della Lega, non si sa cosa fare. Si discute di integrazione e di quote paese, mentre alla porta abbiamo flussi che saranno dieci e cento volte più grandi. Noi continuiamo a distruggere casa loro, ma la demografia ci dice che fra pochi decenni raddoppieranno, per cui saranno sempre di più a partire e, per ovvie ragioni geografiche, verranno qui.

Continuare ad appoggiare queste classi dirigenti vuol dire rendersi complice di questa distruzione di massa: il fatto che sia spalmata in lungo lasso di tempo non toglie che sia una distruzione di massa. Gli unici a trarne beneficio sono le grandi industrie (minerarie, petrolifere,…estrattive in genere) e tutti i parassiti che vivono delle mazzette estratte da quei forzieri. Tutto quel capitale viene poi riciclato dalla finanza internazionale, che ne studia ogni giorno una nuova per affondare ancor più rapidamente qui poveracci, l’ultima è l’idea (incredibilmente appoggiata dalle nazioni unite) di metterci sopra anche le assicurazioni private. Peggio che andar a giocare alle tre carte con quei tipi che girano negli autogrill: se uno pensa che un poveraccio del Malawi possa guadagnarci contro gli assicuratori europei tipo AXA e Allianz, allora vuol dire che crede ai miracoli. Io no, e mi batto contro tutto questo.


Stasera il circo di Abidjan chiude, ognuno è già partito a farsi fotografare con qualche start-up che crea lavoro per una-due persone e per far vedere che i nostri soldi servono a qualcosa. Finite le foto è ora di riprendere l’aereo. Si rientra più velocemente. Di sicuro più velocemente di sei poveracci che marciano a piedi. Ma ricordatevi, chi va piano va sano (magari non in questo caso) ma va lontano (anche se ne ammazzano tanti prima). Arriveranno, …. tenetelo a mente. Continuate a votare questi partiti e saprete di cosa diventata co-responsabili.

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